Dal versante terminologico il
sostantivo parabole compare 50 volte nel NT, e tranne che nella Lettera agli
Ebrei che lo riporta due volte, le altre volte si trova nei sinottici,
mentre il termine è del tutto ignorato in Giovanni e nel resto del Nuovo
Testamento. Il quarto vangelo preferisce a parabola il termine
paroimia,
similitudine, tra le similitudini originali del quarto vangelo c’è il buon
pastore (Gv 10) e quella della vite e i tralci (Gv 15). In questi casi forse è
più opportuna parlare di allegoria più che di parabola. Anche il Vangelo di
Tommaso riporta la parabola del seminatore anche se non trasmette la
relativa spiegazione.
Le parabole occupano un ruolo
centrale nella gesuologia, se siamo preoccupati del fatto storico, negare che
abbia raccontato delle parabole significa negare l’evidenza. È chiaro che anche
la stessa parabola esprime connotati diversi in ogni evangelista, ognuno
racconta le parabole in una sua prospettiva (redazione), in alcuni casi la mano
redazionale è massiccia, non ha timore di riscrivere la parabola, ma ciò non
significa che Gesù non le abbia raccontate, anzi, occupano uno spazio rilevante
nella sua vita.
Due tratti della ricerca
contemporanea su Gesù hanno posto attenzione sul contesto giudaico che risalta
dalle parabole, ambientate in contesto agricolo o rurale: il seminatore, la
zizania, il grano, il lievito, il granello di senapa. Solo raramente le parabole
riflettono un contesto urbano, in genere rurale, dove per rurale intendiamo sia
l’entroterra della Palestina, sia quello marittimo, non poche parabole sono
ambientate in ambiente di pesca. Alcuni autori come Crossan da ciò hanno dedotto
che Gesù fosse un analfabeta, uno che è vissuto negli ambienti limitrofi della
Palestina, le parabole dimostrano questa origine sociale di Gesù in una
Palestina analfabeta, non ne consegue che Gesù fosse analfabeta, il contesto
rurale e agricola caratterizza anche le favole di Fedro, è chiaro che un
racconto non riflette necessariamente l’origine o il contesto sociale di un
autore.
Le parabole hanno due orizzonti
fondamentali nel Nuovo Testamento, un orizzonte sapienziale che avvicina le
parabole di Gesù ad alcuni racconti parabolici dell’Antico Testamento, ma il
secondo orizzonte altrettanto importante è quello escatologico, le parabole
hanno una prospettiva sapienziale e una escatologica, come dice bene Fusco, le
parabole sono parabole del regno, dicono la presenza del regno e l’approssimarsi
del regno, tensione tra presente e futuro. Certo accanto al dato di fatto che
Gesù abbia raccontato realmente delle parabole c’è un altro fenomeno, si tratta
di un tipo di narrazione tipicamente sinottico, le parabole di Gesù nei
sinottici diventano segni in Giovanni: il segno delle nozze di Cana. In Giovanni
abbiamo una diversa modalità di presentare le parabole, per questo Gesù in
Giovanni non racconta le parabole, neanche Paolo racconta delle parabole di
Gesù, ci sono degli accenni (1Ts 4) ma non abbiamo una particolare attenzione
alle parabole di Gesù. Pertanto il fenomeno delle parabole è rilevante nelle
narrazioni sinottiche e tra questi l’autore che le svilupperà di più è Luca.
Sono importanti in Matteo e Marco, ma in Luca si racconta di più Gesù in
parabole. Attenzione al livello redazionale, quale è quindi la funzione delle
parabole nei diversi vangeli in cui sono raccontati.
Le parabole non sono state
inventate da Gesù anche se caratterizzano in modo particolare la sua
predicazione, il modello dell’AT più seguito è quello della parabola che Natan
racconta a Davide in occasione della morte di Uria l’Ittita (2 Sam 12,1-7), in
genere sono nominati anche Gdc 9,7-21 (il famoso apologo di Iotam), Is 5,1-7 (il
canto della vigna; anche Ez 15,1-8). Questi modelli dimostrano che l’AT conosce
il modello parabolico seguito da Gesù, mentre nella letteratura greca profana è
più difficile trovarle, c’è più spazio per allegorie e favole.
Volutamente Gesù non definisce i
personaggi delle parabole per diverse motivazioni:
-
Hanno
caratteristiche di non definizione, ci presentano eventi non storici ma
verosimili, i personaggi non sono ben definiti ma restano nell’anonimato: un
pastore, una vedova, un ricco, un fariseo. Solo in Luca abbiamo un
personaggio citato che è quello di Lazzaro (Lc 16,23) e tra l’altro qui solo
Lazzaro è nominato e non il ricco vestito di porpora e di bisso che fa parte
della parabola.
-
Quanto conta è l’azione, cioè
il riconoscimento del messaggio avviene tramite l’azione compiuta non
tramite la sua identità è tramite l’azione che è possibile ricondurre al
messaggio delle parabole.
-
Alcuni background sono molto
importanti il canto della vigna di Isaia, il pastore di Isaia. Il contesto
culturale delle parabole è importante, questo diviene decisivo per Mt
13,47-50 ad esempio, la parabola del capitolo 4 di Marco si comprende nel
terreno sassoso della Palestina dove avviene prima la seminazione, il
seminatore è meno sbadato di quello che può sembrare a noi quando ci dice
che del seme va nelle spine o nei sassi. Il retroterra Antico Testamentario.
è fondamentale per comprendere alcune parabole.
-
Alcuni personaggi sono
nell’anonimato perché si riferiscono all’agire di Gesù, Luca 15 le parabole
della misericordia, un padre con dei figli, un pastore con le pecore,
raffigurano proprio l’azione di Dio, c’è una teologia raccontata, il padre,
il pastore è Dio, una teologia non argomentata, ma raccontata.
-
Dal versante del lettore, il
lettore è chiamato come parte in causa, pensiamo alla parabola del buon
samaritano, è chiamato in causa il lettore mediante l’anonimato, non c’è
l’identità del destinatario perché ogni lettore sia coinvolto.
-
Infine il contenuto del
messaggio è variegato, coinvolge la teologia, la cristologia, in diverse
parabole Gesù è in azione, pensiamo ai vignaioli omicidi, l’ecclesiologia,
soprattutto in rapporto tra ecclesiologia e regno, il regno di Dio è più
grande della chiesa eppure si vede presente, si rende presente nella Chiesa.
Alcune importanti caratteristiche:
-
Ci sono due unità che meritano
attenzione, l’unità del tempo e dello spazio. Le parabole rompono questa
regola classica, non abbiamo né unità di tempo né di spazio, possono essere
collocate in qualsiasi dimensione cronologica, o in qualsiasi coordinata
spaziale, qualsiasi realtà etnica, non appartengono soltanto a un’etnia,
possono essere lette in qualsiasi contesto sociale. Qui la parabola assume
una dimensione universale, in questione è la persona umana.
-
Seconda caratteristica è che i
contesti sono diversificati, il contesto dell’agricoltura, della pastorizia,
ma non manca il contesto amministrativo, il mercante di Perle (Mt 13,45-46)
l’amministratore scaltro, molte volte i titoli delle parabole sono
fuorvianti, diventa spesso l’amministratore disonesto, ma è tutt’altro che
disonesto, contesto domestico, la dramma perduta. Ci rivela ben poco del
contesto in cui Gesù ha operato, non perché racconta la parabola del pastore
era un pastore, né perché racconta il seminatore, era un contadino, una
parabola può essere stata dettata non da ciò che Gesù ha vissuto, ma di ciò
che ha visto.
-
Un altro livello molto
importante è il rapporto tra la narrazione e il dialogo, Gesù non
improvvisamente si mette a raccontare delle parabole, è interpellato spesso
da chi lo segue, il dialogo tra Gesù e i suoi determini il sorgere della
parabola Lc 15,1-2. Per illustrare il fatto che Gesù mangia con i peccatori
racconta le parabole della misericordia, questa origine dialogica, è
importante nel comprendere il significato stesso delle parabole, senza il
contesto dialogico rischiamo molte volte di confondere le parabole. Sono
diversi gli esempi in cui fa sorgere le parabole da una domanda, il
samaritano in Luca è l’esempio più chiaro forse, nel giudaismo tutti si
interrogano su quale sia il prossimo che bisogna soccorrere, se soltanto un
ebreo in patria, se uno straniero. Gesù affronta questioni non teoriche ma
molto concrete. Le parabole sono la risposta al dialogo, la soluzione del
dialogo.
-
Un tratto ermeneutico
fondamentale è stato evidenziato da J.Dupont, il rapporto tra il racconto
delle parabole e la storia, noi spesso confondiamo questi due livelli
ermeneutici, la storia si differenzia dal racconto, la storia rappresenta
una serie di eventi storici realmente accaduti, una caratteristica della
storia moderna è la sua versione cronachistica, anche se non deve mai
ridursi alla cronaca, la storia è più della cronaca, ne dà anche il senso.
Il racconto non si gioca sulla storicità ma sulla possibilità storica, sulla
verosimiglianza, ciò che è raccontato è possibile non per questo necessario.
La storia rappresenta ciò che è avvenuto, il racconto ciò che è possibile.
Le parabole creano un contatto tra storia e racconto, la storia è che Gesù
si ferma a parlare e pranzare con i peccatori, Gesù realmente ha dialogato
con le categorie più povere e discusse della palestina, da qui la parabola
del buon samaritano che non è realmente accaduta ma è possibile che si
verifichi, la parabola non ha bisogno quindi di coordinate storiche per
essere raccontata.
-
Nelle parabole si verifica
quasi sempre ciò che chiamiamo mascheramento, che è l’estraneità del lettore
almeno apparente rispetto all’intreccio narrativo Mc 12,1-11, la parabola
dei vignaioli omicidi, Gesù sta parlando con scribi e farisei, la parabola
parte da lontano dal racconto di una vigna, questi vignaioli se ne sono
impossessati e alla fine hanno ucciso il figlio, i farisei cosa vogliono
fare? Uccidere Gesù. La parabola si caratterizza per un nascondimento, e
attraverso questo diviene rivelativa attraverso le azioni, sono le azioni
che svelano ciò che è nascosto, non attraverso il discorso, ma attraverso
gli atti diventa comunicativa. Questo rapporto tra mascheramento e
rivelazione ci fa comprendere cosa Gesù intendeva con i misteri del Regno
comunicato soltanto ai discepoli, Gesù ha fatto una predilezione? Perché
dietro non c’è la scelta di alcuni con esclusione di altri, dietro c’è
questa dinamica del nascondimento con rivelazione, tutti sono chiamati a
divenire discepoli di gesù affinchè nascondendo rivelino.
-
Tertium comparationis,
cioè il punto o il focus che rapporta la storia al racconto e che ci fa
capire come la parabola non è soggetta a una polisemia o a una presenza di
significati variegati, le parabole hanno una gerarchia di significati, se
non lo cogliamo non possiamo definire una parabola. Un esempio semplice è
Luca 15, Gesù si pone a parlare con i peccatori, i pubblicani, queste
persone escluse, questo evento storico determina la narrazione del Figliol
prodigo, il tertium comparationis quale è qui? Quello del figliol
prodigo? Assolutamente no, l’attore principale che attraversa tutte le
sequenze di queste bellissime parti è il Padre, non che il figliol Prodigo
non sia importante ma è secondario, personaggio principale è il Padre. Come
mai Gesù non parla di un figlio per giustificare il suo operato, ma del
Padre, avrebbe dovuto presentare il rapporto tra il figlio buono e un figlio
non buono. Vuole farci comprendere che il suo agire corrisponde a quello di
Dio, non presenta tre figli quindi ma due figli e un genitore. È il ponte di
connessione il tertium comparationis collega la parabola alla storia,
per questo la parabola non ha bisogno di spiegazioni, non c’è bisogno che
dica il padre buono è Dio, il figlio minore sono i peccatori, il figlio
maggiore sono i figli della casa di Israele, avendo dato questa spiegazione
l’avrebbe impoverita. Avrebbe mancato dell’aspetto più importante della
parabola che nel Padre c’è il suo agire, se avesse detto che il Padre è Dio
avrebbe impoverito la parabola, non avrebbe risposto alla questione
fondamentale che era la risposta al perché Gesù stava con i peccatori. Nella
parabola Gesù non è in causa, nascondimento, il ruolo di Gesù è nascosto in
quello del padre, l’agire di Gesù corrisponde non a un suo capriccio ma a
ciò che ha deciso nel suo invio: stare con i peccatori, la spiegazione
avrebbe ridotto il significato della parabola al rapporto tra gentili e
israeliti. Mc 4 la parabola del seminatore, nella prospettiva del tertium
comparationis a che si rapporta? Perché Gesù racconta questa parabola?
Il suo seme cade in tutti i tipi di terreno, l’atteggiamento di Gesù è
incentrato sull’insegnamento, sulla parola, Marco lo posizione su una barca
sul mare per poter evangelizzare quanta gente possibile, il cuore della
parabola è sul seme, sulla parola, è incentrata sul rapporto storico tra la
Parola e Gesù, su Gesù che semina la parola, non su Gesù che si fa carne,
questa è teologia, l’obiettivo della parabola è il seme della parola. Il
tertium comparationis non ignora gli altri aspetti, permette di definire
le parabole, gerarchizza le parabole, non ci nega che sia importante il
terreno, è importante il terreno che accoglie la parola, abbiamo altri
significati della parabola, possiamo fare tante applicazioni sulla parabola,
una miriade di significati, ma il tertium comparationis mette su una
gerarchia, gli altri significati vanno poste sotto il senso della parabola.
Il tertium comparationis non butta la parabola in balia di ogni
interpretazione, ma crea una gerarchia di significati, è fondamentale, una
volta identificato non ha bisogno di spiegazioni, diventa chiaro da se,
diremo secondo la tecnica dello svelamento e del mascheramento diviene
rivelativo di sé.
-
Insurrogabilità: il surrogato è
ciò che è artificiale rispetto alla realtà, il surrogato è il prodotto
minore, meno costoso rispetto all’originale, le parole non sono surrogabili,
molta parte del loro messaggio non si può svendere, ci dicono messaggi che
non si possono neanche raccontare in maniera semplice. Matteo, il servo
spietato, ci fa capire che Dio ci perdona di un debito smisurato che non si
può saldare, ci perdona qualcosa di assurdo e ci dice di perdonare qualcosa
di normale. Perdonare 70 volte 7 da questo nasce la parabola, indulgenza
incondizionata del padrone questo è il tertium comparationis. Per
spiegare qualcosa che non si può spiegare con argomenti, Gesù giunge al
paradosso, all’estrema conseguenza, nessuno può dirsi paragonabile al Padre
della parabola, non la si può riprodurre non ci può essere chi la può
vendere a 10 denari. La insurrogabilità della parabola ci fa cogliere come
c’è una rivelazione di Dio nella parabola stessa, come è insurrogabile il
pastore che va alla ricerca della pecora smarrita non è possibile,
appartiene soltanto a Dio, quale pastore lascia 99 pecore nel deserto e va
alla ricerca di quella smarrita? Rischia al ritorno di non trovare le 99 e
trovare l’altra morta, solo Gesù può farlo. Lo stesso alla parabola della
dramma, sarà costata più la festa con le amiche che la dramma.
Il rapporto tra la parabola e
l’allegoria
Il rapporto tra la parabola e
l’allegoria, l’allegoria è una significazione moltiplicata della storia, quando
io di fronte ad un avvenimento lo rileggo con vari significati, se non ci fosse
stata l’allegoria, la Bibbia non sarebbe rimasta tra i primi cristiani,
l’allegoria fa crescere la storia, Abramo ha due figli questa è la storia,
Isacco e Ismaele, questi due figli diventano progressivamente i credenti in
Cristo e gli Israeliti. Gerusalemme, a livello storico è la città, nel secondo
livello Gerusalemme diventa una Gerusalemme superiore, di lassù, che è libera ed
è nostra madre, non di quaggiù, alla Gerusalemme attuale si oppone la
Gerusalemme di lassù, terzo livello non è più solo quella di lassù che è
presente, ma quella escatologica, quarto livello addirittura è l’anima di ogni
credente. L’allegoria è partita dalla storia, dalla città è giunta sino
all’anima dei credenti. La parabola fa l’inverso, parte dal verosimile per
raggiungere la storia. Il movimento è inverso, la parabola non presenta una
storia allegorica, non presenta un allegoria della storia, un racconto invece
che per inverso va a incidere sulla storia. Non sempre l’allegoria e la parabola
comunque sono nettamente separabili, la parabola soprattutto nella spiegazione
dice qualcosa che sta al di là Mt 13,24-30, la parabola del grano e della
zizzania, la zizzania è tanta a un certo punto, il padrone dice di attendere,
poi abbiamo la spiegazione. Qui abbiamo una allegorizzazione della parabola, non
sappiamo se del tutto esatta perché spesso le spiegazioni tradiscono la parabola
stessa, quando la parabola è detta come allegoria abbiamo un restringimento di
significato. Il cuore della parabola del grano e della zizzania quale è? Il
tertium comparationis quale è? Oggi grano e zizzania stanno insieme, il
problema non è il futuro, non è ciò che si verificherà, ma ora come stanno
insieme bene e male come non si possono separare, nell’oggi è il problema, la
spiegazione determina lo spostamento verso la fine, tutta l’attenzione è rivolta
verso la fine, la spiegazione ha tradito la parabola perché nasce dalla
rilettura della comunità e c’è questo quindi perché si attendeva che il regno
dei cieli fosse trionfo del bene, e quindi è scoraggiata la comunità, quindi la
spiegazione ci dice come il bene alla fine trionferà, se per trent’anni abbiamo
intitolato la parabola del Figliol prodigo è perché le comunità cristiane
avevano bisogno di parlare del ritorno del figlio a casa. La parabola non è
allegoria.
Mt 22 parabola del banchetto
nuziale. Una serie di parabole unite dalla prospettiva escatologica, le parabole
dei due fratelli, dei vignaioli omicidi e delle nozze regali, sono legate
tramite una prospettiva escatologica, ha una prospettiva importante, quella di
avere impatto sul presente. La parabola delle nozze regali ha come tertium
comparationis l’escatologia della fine dei tempi. Il vestito dell’uomo che
non è degno di stare a nozze è una parabola nella parabola, se noi non ci
prepariamo degnamente saremo cacciati fuori. Potremo dire che la parabola ha due
punti focali, le nozze finali e la responsabilità umana, senza questa
prospettiva i due elementi della parabola entrano in contrapposizione.
Rapporto tra parabola e metafora
Una metafora è un paragone
abbreviato secondo la linguistica antica, secondo quella moderna un paragone
moltiplicato. Esempio di paragone abbreviato Giuda è come un giovane leone,
togliamo giovane, togliamo come, resta Giuda leone, qui abbiamo una metafora, si
toglie il come ed è ricca di significato, Giuda sarà forte come un leone,
potente, aggressivo, non è quindi un paragone abbreviato, ma un paragone che si
moltiplica di significato.
Che rapporto c’è tra parabola e
metafora? Molte parabole sono delle metafore ma non per sottrazione, togliendo
il come, ma per moltiplicazione, il granellino di senape è simile al regno dei
cieli cioè è molto piccolo e cresce a dismisura, moltiplicazione della parabola,
tanti significati. C’è una differenza fondamentale le parabole non sono tutte
metaforiche, alcune lo sono. In che cosa si differenzia allora? Che la metafora
per essere compresa è necessario il suo contesto, senza contesto non si
comprende, c’è bisogno del contesto, la parabola non necessariamente ha bisogno
del contesto per diventare comprensibile. Esempio di metafora cosa dice di Erode
Gesù? “dite a quella volpe di Erode”, vuol dire che Erode è furbo, astuto, ben
capace di gestire il suo governo, la stessa metafora in contesto Palestinese non
è un elogio di furbizia, ma di stupidità, mangia l’uva in qualsiasi tempo, l’uva
che è contesto messianico, la metafora si comprende solo nel contesto in cui è
posta, l’animale della furbizia è il serpente per la Bibbia. Nella parabola no,
il contesto non è necessario perché può assumere una portata universale.
La Parabola e la similitudine
La Parabola può anche essere una
similitudine, “il regno dei cieli è come…”, parabola e similitudine spesso sono
contigue, vicine, quando troviamo il termine come è un paragone o una
similitudine, nella similitudine manca l’intreccio narrativo, ad una dimensione
statica del confronto nelle similitudini si differenzia la dimensione narrativa
delle parabole.
La Parabola e l’apologo
L’apologo è un racconto di natura
irreale, gli alberi che tra loro si incontrano e scelgono chi debba essere re,
apologo molto diffuso è quello di Agrippa alla plebe romana, di fronte alla
plebe che scioperava, racconta il rapporto tra le membra e il corpo, la
repubblica partendo dallo stomaco che è il senato progressivamente ha bisogno
della cooperazione di tutte le membra, importante questo testo per capire
Corinzi 12. L’apologo personifica una realtà inanimata, un dente che si mette a
parlare con dito, si tratta di personificazione di una realtà, nelle parabole di
Gesù non ci sono ne oggetti ne piante che si mettono a parlare tra di loro.
Aspetti performativi delle
Parabole
Quali sono i tratti interpellanti
delle parabole?
-
Lettore è parte interna del
racconto, la parabola costringe il lettore attraverso il processo di
mascheramento e disvelamento Luca 10,30-37 Parabola del buon samaritano “Chi
è il mio prossimo?” tutto nasce da qui, è talmente lector in fabula
che la risposta non è della parabola, ci dice la parabola non chi è il
prossimo per me, ma sono io chiamato a essere prossimo, il problema non è
chi è il mio prossimo, ma di chi devo farmi prossimo. Luca 15,11-32 la
Parabola del Padre misericordioso, qui gli scribi e i farisei sono lettori
interni, paragonati al figlio maggiore, coinvolto improvvisamente nella
parabola, di fronte a un apparente estraneità dimostrano una piena
intromissione del lettore nel racconto, se non fosse stato per il
destinatario immediato Gesù non avrebbe raccontato nessuna parabola, le
parabole hanno la funzione di cambiare il modo di pensare del destinatario.
-
La seconda funzione, collegata
al lector in fabula e quella del lettore che spesso si trova fuori posto, si
attende un esito diverso delle parabole, si attende che il padre rispetto al
figlio maggiore si comporti in maniera diversa dal Padre della parabola,
nessuno si aspetta che un padrone dia la stessa paga a persone che avevano
lavorato ad ore diverse. C’è qualcosa nelle parabole che pone fuori gioco il
lettore, le parabole pongono in discussione il lettore, non soltanto gli
insegnano qualcosa. Non c’è bisogno delle parabole per insegnare, le
parabole sono più che un insegnamento, hanno una funzione di cambiamento.
Le parabole e il regno
La centralità del regno, il regno
di Dio si trova al centro delle parabole, regno di Dio secondo Marco e Luca,
Regno dei Cieli secondo Matteo, Gesù evangelizza in parabole, Gesù cominciò in
Marco subito dopo le tentazioni a predicare il regno, la predicazione del regno
di Gesù avviene soprattutto con le parabole anche se non sempre, anche
attraverso i detti sapienziali, i miracoli, le controversie, ma le parabole
svolgono un ruolo del tutto particolare, hanno la funzione di suscitare un
cambiamento nel lettore, le parabole allora sono tutte rapportate al regno, Gesù
con regno intende la presenza di Dio, dove è presente Dio, in Marco Dio è
presente nell’evangelizzazione di Gesù non dunque una localizzazione spaziale,
il regno non è fatto di spazio ma di relazioni, Gesù ha comunicato il regno
soprattutto attraverso le parabole.
Il regno si incontra nella
predicazione di Gesù, è l’approssimarsi del regno di Dio, Gesù si identifica con
il regno di Dio, ci dice tutto del regno di Dio, è la presenza del regno, dal
versante ecclesiologico abbiamo un analoga continuità la Chiesa è il regno
visibilmente, incontrare la Chiesa significa incontrare il regno, dire che il
regno di Dio è presente nella Chiesa è assertiva, asserisce, ma non nega, non
nega che il regno di Dio possa essere visibile anche al di fuori della Chiesa,
anche al di fuori di Gesù. Natura asservita non esclusiva.
Nelle parabole abbiamo tre
orizzonti fondamentali che sono rapportati tra loro, le prospettive
ermeneutiche:
-
La prospettiva escatologica,
per parlare delle parabole Gesù ha una prospettiva ben chiara, quella finale
della storia (Mt 21-24) dove l’escatologia diventa dominante, ma non solo
dove è esplicito anche dove è implicito è presente, ma non è una escatologia
chiusa in se stessa ma funzionale al presente, se c’è questa escatologia è
perché l’ascoltatore di adesso comprenda cosa fare, nessuna parabola
escatologica è per se stessa.
-
La dimensione etica,
soprattutto le parabole escatologiche hanno una funzione interpellante nel
presente, abbiamo detto, questo significa una funzione etica molto presente,
un’etica che impone una scelta, una scelta di carattere etico, esempio
classico la parabola del Buon Samaritano o del Tesoro nascosto nel campo, la
Perla Preziosa. Le parabole hanno una portata etica (la morale riguarda i
costumi, l’etica riguarda soprattutto il comportamento, nella morale i
costumi che appartengono a tutti rappresentano lo statuto, nell’etica la
scelta di ognuno permette il comportamento, le parabole di Gesù non hanno
una portata morale ma etica, non si dice cosa bisogna fare perché tutti
fanno così, ma cosa bisogna fare perché il regno lo chiede. L’etica è più
della morale, è la morale più la singolarità di scelta).
-
Dimensione sapienziale, le
parabole dei talenti, la parabole della lucerna accesa, delle 5 vergini
sagge, sono sapienziali, non solo etiche, cioè come vivere in questo mondo.
Insegna cioè a valutare ciò che resta da ciò che lasciamo, è sapienziale che
il padrone che cresce nel campo non vada in ansia, perché tanto il seme
cresce lo stesso, i proverbi dell’Antico Testamento sono delle parabole in
nuce, trovano lì il loro fondamento, grande portata sapienziale.
Prospettive teologiche
-
Sono cristologia in azione,
sono rivelative del modo di operare di Gesù, pensiamo alla parabola dei
vignaioli omicidi, da ultimo mandò il Figlio che viene ucciso, una parabola
che anticipa la passione di Gesù. Le parabole non ci dicono soltanto come
vivere ma ci dicono anche rivelazione, rivelazione della cristologia, se
Marco inizia con le parabole del regno è perché il seminatore che getta la
parola è Gesù stesso.
-
Le parabole hanno anche una
dimensione teologica, ma teologia proprio in senso letterale, soprattutto
quando ci rivelano la insurrogabilità del messaggio, solo le parabole ci
possono rivelare il volto misericordioso di Dio in modo così potente, le
parabole ci dicono di Dio del suo modo di fare, illuminanti soprattutto Mt
18, le parabole ecclesiologiche, e le parabole di Luca 15 della
misericordia.
-
La dimensione ecclesiologica,
ci rivela come le parabole sono state interpretate nella vita della Chiesa,
come leggere la comunità cristiana nelle parabole, il capitolo 18 di Matteo
è un discorso ecclesiale, in cui è spiegata la parabola del buon pastore,
della indulgenza, queste due parabole non ci dicono soltanto il modo di fare
di Dio, ma ci dicono cosa deve fare la Chiesa, il buon pastore non è più
Dio, ma è la comunità che deve cercare chi è perduto.
Le parabole ci rivelano un tratto
fondamentale delle vita di Gesù, le parabole non sono nate nella comunità
cristiana, sono state sviluppate sicuramente nelle comunità cristiane, ma sono
un tratto fondamentale della gesuologia, del Gesù storico, in tutti i confronti
con gli altri generi, non c’è una riducibilità delle parabole, le parabole non
sono metafore, similitudini, allegorie, sono qualcosa di originale, Gesù ha
saputo raccontare delle parabole che a prima vista sono semplici per tutti. |