CONCILI ECUMENICI
COSTITUZIONI
I
I a
Lo zelo della fede, il fervore religioso e un sentimento di compassione devono eccitare il cuore dei fedeli, perché tutti quelli che si gloriano del nome cristiano, toccati fin nelle più riposte fibre del loro cuore(1) dall'offesa fatta al loro Redentore, con moto aperto e potente sorgano a difesa della Terra Santa e in aiuto della causa di Dio.
E chi mai, illuminato dalla luce della vera fede, e meditando piamente i meravigliosi benefici che il nostro Salvatore ha elargito al genere umano nella Terra Santa, non si sentirebbe riscaldare da un sentimento di devozione e non arderebbe d'amore, e non proverebbe nell'intimità del cuore e con tutto l'ardore della sua mente compassione per quella Terra Santa, parte dell'eredità del Signore(2)? Quale cuore non sarebbe indotto alla compassione per essa dalle prove d'amore date dal nostro creatore in quella terra? E invece, purtroppo quella stessa terra, nella quale il Signore si è degnato operare la nostra salvezza (3), e che ha reso sacra col proprio sangue, per redimere l'uomo con la offerta della sua Morte, assalita audacemente e occupata a lungo da nemici scelleratissimi del nome cristiano e perfidi Saraceni, viene temerariamente tenuta soggetta e senza alcun timore devastata. In essa il popolo cristiano è barbaramente trucidato a maggior disprezzo del Creatore e con ingiuria e dolore di tutti quelli che professano la fede cattolica. Essi, insultando i cristiani, rimproverano loro con molte espressioni ingiuriose: "Dov'è il Dio dei cristiani?"(4).
Questo ed altro, che l'animo non può del tutto concepire né la lingua riferire, hanno acceso il nostro cuore ed eccitato il nostro animo, cosicché noi, noi che nell'oltremare non solo abbiamo udito quanto abbiamo accennato, ma l'abbiamo visto coi nostri occhi e toccato con le nostre mani (5), insorgessimo, secondo le nostre possibilità, a vendicare l'ingiuria fatta al Crocifisso, con l'aiuto di quelli che lo zelo della fede e della devozione spingerà a questa impresa.
E poiché la liberazione della Terra Santa deve riguardare tutti i cattolici, abbiamo ordinato di convocare questo concilio, affinché, dopo esserci consultati in esso con prelati, re, principi, ed altre persone prudenti, potessimo stabilire e ordinare in Cristo quanto giovasse alla liberazione della Terra Santa, e perché, inoltre, i popoli Greci fossero riportati all'unità della chiesa, - essi che con superba cervice tentarono di dividere in qualche modo la tunica inconsutile del Signore, e si sottrassero alla devozione e all'obbedienza della sede apostolica -; e fossero anche riformati i costumi, che sotto la spinta dei peccati nel clero e nel popolo si sono corrotti. In tutto ciò che abbiamo detto, guiderà i nostri atti e i nostri propositi, colui cui nulla è impossibile; (6) ma che, quando vuole, rende facili anche le cose difficili, e appianando con la sua grazia le vie ineguali rende diritte quelle scabrose (7).
Ad ogni modo, perché quanto abbiamo esposto potesse tranquillamente esser realizzato, dati anche i pericoli delle guerre e le difficoltà dei viaggi, cui avrebbero potuto andare incontro quelli che abbiamo creduto dover chiamare al concilio, senza alcun riguardo per noi e per i nostri fratelli, ma andando incontro, invece, spontaneamente alle fatiche, pur di preparare ad altri la tranquillità, siamo venuti nella città di Lione, pensando che qui quelli che erano stati convocati per il concilio potessero convenire con minor disagio e minori spese. Siamo venuti con i nostri fratelli cardinali e con la nostra curia, sottoponendoci al peso di pericoli vari, di incomodi diversi, di molti rischi, e qui, radunati tutti quelli che erano stati convocati al concilio o personalmente o per mezzo di rappresentanti adatti, abbiamo frequentemente trattato con loro dell'aiuto da inviare alla Terra Santa; ed essi, zelanti per vendicare l'ingiuria fatta al Salvatore, cercarono le strade migliori per recare soccorso alla Terra Santa, e come dovevano diedero i loro consigli e suggerimenti.
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Noi, dunque, sentiti i loro pareri, raccomandiamo la volontà e il lodevole entusiasmo che essi mostrano per la liberazione della Terra Santa. Ma perché non sembri che noi imponiamo sulle spalle della gente pesi gravi e insopportabili, che però noi non vogliamo toccare con un dito (8), cominciando da noi stessi, che professiamo di avere quanto abbiamo dall'Unigenito Figlio di Dio Gesù Cristo, per cui dono viviamo, per la cui grazia siamo mantenuti in vita e dal cui sangue, anzi, siamo stati redenti, noi e i nostri fratelli cardinali della santa Romana chiesa, al completo, per sei anni continui verseremo la decima di tutti i nostri redditi, frutti e proventi ecclesiastici come sussidio per la Terra Santa. Con l'approvazione di questo santo concilio, stabiliamo anche e comandiamo che per i predetti sei anni, da computarsi senza interruzione a cominciare dalla prossima festa della natività di S. Giovanni Battista, tutte le persone ecclesiastiche, di qualsiasi dignità o preminenza, condizione, ordine, o stato religioso o di ordine essi siano - e ad essi e alle loro chiese noi vogliamo che in nessun modo servano di scusa privilegi e indulti, con qualsiasi formula o espressione siano stati concessi, ché anzi revochiamo del tutto quelli che finora avessimo concesso - versino integralmente e senza alcuna ritenuta la decima parte di tutti i redditi, frutti e proventi ecclesiastici di ciascun anno, nei termini che seguono, e cioè la metà nella festa della natività del Signore, e l'altra metà nella festa di S. Giovanni Battista.
Perché, poi, sia salvaguardato con maggior zelo l'onore dovuto a colui che questa impresa riguarda direttamente, ai suoi Santi e in modo particolare alla Vergine gloriosa, del cui aiuto in questa ed in altre circostanze ci gioviamo, e sia più abbondante la sovvenzione alla Terra predetta, comandiamo che si osservi in tutto il suo rigore la costituzione del papa Gregorio [IX], di felice memoria, nostro predecessore, contro i bestemmiatori (9). Questi siano costretti dalle autorità dei luoghi dove si commette il reato di bestemmia e da quanti ivi esercitano la giurisdizione temporale a pagare integralmente la multa pecuniaria, e questa venga assegnata a chi raccoglie il denaro per la decima. Gli ordinari diocesani e di altri luoghi usino, se necessario, i mezzi coercitivi.
Ai confessori con giurisdizione ordinaria e a quelli che ascoltano le confessioni per un privilegio comandiamo rigorosamente di voler suggerire ed ingiungere a quelli che da essi si confessano di voler devolvere il denaro di cui abbiamo parlato a favore della Terra Santa con piena soddisfazione (dei loro peccati). Inducano anche quelli che dettano le loro ultime volontà, perché nei loro testamenti lascino qualche cosa dei loro beni in aiuto della Terra Santa, in proporzione di quello che possiedono.
Oltre a ciò comandiamo che in tutte le chiese venga posta una cassettina, chiusa con tre chiavi da conservarsi la prima presso il vescovo, la seconda presso il rettore della chiesa, la terza presso un buon laico; i fedeli siano esortati a deporre in essa, secondo l'ispirazione di Dio, le loro elemosine in remissione dei loro peccati. In queste stesse chiese, poi, una volta alla settimana, in un giorno determinato, indicato in anticipo dal sacerdote al popolo, sia cantata pubblicamente la messa per questa remissione dei peccati, specie per quelli di chi offre le elemosine.
Oltre a ciò, perché più abbondantemente si possa venire in aiuto alla Terra Santa, esortiamo e con ammonizioni ed esortazioni vorremmo persuadere re e principi, marchesi, conti e baroni, autorità, capitani e i duchi di tutte le altre contrade di ordinare che nei paesi soggetti alla giurisdizione di ciascuno di loro, ogni anno venga pagato da ciascun fedele un denaro del valore di un turonese o di una sterlina, secondo le consuetudini o le condizioni della regione, prescrivendo anche che venga pagata qualche altra piccola tassa a favore della Terra Santa, senza aggravare nessuno, in remissione dei peccati. Cosi, come nessuno si può scusare dal provare un senso di pietà per lo stato lamentevole della Terra Santa, nessuno sia escluso dal prestarle aiuto e dal merito.
Ancora: perché quello che provvidamente è stato stabilito riguardo agli aiuti alla Terra Santa non debba esser impedito per l'inganno, la malizia, l'astuzia di qualcuno, scomunichiamo ed anatematizziamo tutti e singoli quelli che frappongono consapevolmente, direttamente o indirettamente, in pubblico o di nascosto, qualche impedimento a che vengano pagate le decime, nel modo che è stato descritto sopra, in aiuto della terra predetta.
I c
Poiché, inoltre, i corsari e i pirati rendono inaccessibile la Terra Santa catturando e spogliando quelli che vanno e vengono da essa, noi scomunichiamo sia loro sia i loro principali sostenitori e favoreggiatori, proibendo assolutamente sotto minaccia di anatema che qualcuno possa comunicare consapevolmente con essi con contratti di compra-vendita. Imponiamo anche ai reggitori delle città e delle comunità che li ritraggano da questa loro iniquità e li impediscano. Altrimenti disponiamo che i prelati ecclesiastici esercitino nelle loro terre il rigore della chiesa.
Scomunichiamo, inoltre, e colpiamo di anatema quei falsi ed empi cristiani, i quali contro Cristo e il popolo cristiano forniscono ai Saraceni armi e ferro, con cui combattono i cristiani, legnami per galee, e per altri natanti; ed anche quelli che vendono ad essi galee e navi, o che attendono al governo delle navi piratesche dei Saraceni, o che per quanto riguarda le macchine o qualsiasi altra cosa danno ad essi qualche consiglio o prestano qualche aiuto che riesca di danno ai cristiani, specie della Terra Santa; e comandiamo che questi siano puniti con la privazione dei loro beni e che diventino schiavi di quelli che li catturano.
Stabiliamo, inoltre, che in tutte le città marittime, le domeniche e le altre feste, questa nostra disposizione venga pubblicamente ricordata, e che coloro non siano riammessi nel grembo della chiesa, finché non abbiano devoluto a favore della Terra Santa tutto quello che hanno percepito da un cosi indegno commercio, ed altrettanto del suo. Cosi saranno puniti, con giusto giudizio, proprio in ciò in cui hanno mancato. Che se non fossero in grado di pagare, siano castigati talmente, in altro modo, che la loro pena serva ad impedire in altri l'audacia di osare cose simili.
Proibiamo anche a tutti i cristiani, sotto pena di anatema, di recarsi nelle terre dei Saraceni, che abitano in oriente, o di trasportare là le loro navi per sei anni. Con ciò vi sarà, per quelli che volessero passare il mare in aiuto della Terra. Santa, maggior quantità di naviglio; nello stesso tempo sarà sottratto ai Saraceni l'aiuto non trascurabile che ne traevano.
Poiché, inoltre, è sommamente necessario per portare a termine questa impresa che i principi ed i popoli cristiani mantengano scambievolmente la pace, con l'approvazione di questo sacro, universale concilio stabiliamo che in tutto il mondo cristiano la pace venga da tutti osservata in tal modo, che quelli che sono in discordia vengano ricondotti dai prelati delle chiese ad una piena concordia o pace, o ad una stabile tregua da osservarsi inviolabilmente per sei anni; e chi per caso non si curasse di adeguarsi ad essa, vi sia costretto in ogni modo con la scomunica alle persone e l'interdetto alle loro terre, a meno che la malvagità di chi li ha offesi non sia tale da essere indegni di godere della pace. Se poi non tenessero in nessun conto la censura ecclesiastica, allora dovranno temere che venga invocato contro di essi dall'autorità ecclesiastica - quali perturbatori della crociata - il potere secolare.
Noi, quindi, confidando nella misericordia di Dio onnipotente, e nell'autorità dei beati Pietro e Paolo, con quel potere di legare e di sciogliere che Dio, anche se indegni, ci ha conferito (10), a tutti quelli che affronteranno il peso di passare personalmente il mare in aiuto della Terra Santa e ne sostengono le spese, concediamo la piena remissione dei loro peccati, purché se ne siano sinceramente pentiti col cuore e confessati con la bocca, e la retribuzione dei giusti e promettiamo l'aumento della gloria eterna. A quelli che non vi sono andati personalmente, ma che secondo le loro possibilità e il loro grado sociale hanno mandato a proprie spese persone adatte; ed a quelli, similmente, che sono andati personalmente ma a spese di altri, concediamo il perdono completo dei loro peccati.
Vogliamo e concediamo anche che di questo perdono siano partecipi, in proporzione dell'entità dell'aiuto dato e dell'intensità della propria devozione, tutti quelli che contribuiranno coi loro beni a sovvenzionare convenientemente quella Terra, o che daranno opportunamente il loro consiglio e il loro aiuto circa i problemi che abbiamo toccato sopra, e anche tutti quelli che metteranno a disposizione della Terra Santa le proprie navi, o che cercheranno di fabbricarne allo stesso scopo. A tutti, infine, quelli che si renderanno piamente utili in questa impresa, il pio e santo concilio universale concede l'aiuto delle sue preghiere e dei suoi beni spirituali, perché giovi degnamente alla loro salvezza.
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Non a noi, ma al Signore rendiamo gloria (11) ed onore; rendiamogli grazie perché, al nostro invito, è venuta ad un cosi sacro concilio una moltitudine tanto grande di patriarchi,
Primati, arcivescovi, vescovi, abati, Priori, propositi, decani, arcidiaconi, e di altri prelati delle chiese, sia personalmente, che per mezzo di idonei procuratori, ed inoltre di procuratori di capitoli, di collegi, di conventi.
Tuttavia, per quanto il loro consiglio sarebbe opportuno alla felice prosecuzione di un avvenimento cosi importante, e benché ci dilettiamo della loro presenza come di cari figli, e ne traiamo gioia spirituale, tuttavia per riguardo ad alcuni di loro; per gli inconvenienti che il loro numero causa; perché non debbano più soffrire i disagi dell'affollamento; ed anche perché la loro assenza non sia dannosa ad essi e alle loro chiese, noi, mossi da un sentimento di comprensione, col consiglio dei nostri fratelli cardinali, abbiamo deciso di provvedervi convenientemente. Cosi rimedieremo ai pesi che essi hanno, senza rinunciare al proseguimento di questa impresa, che intendiamo concludere con fervore di spirito e con indefessa sollecitudine. Disponiamo, quindi, che tutti i patriarchi, i primati, gli arcivescovi, i vescovi, gli abati e i priori da noi convocati con invito nominativo e speciale rimangano: essi non se ne andranno, senza nostra speciale licenza, prima che sia stato concluso il concilio. Gli altri abati, invece, e priori non mitrati, e gli abati e priori, che non sono stati da noi convocati nominativamente e in modo speciale, come pure i preposti, i decani, gli arcidiaconi, e gli altri prelati di chiese e i procuratori di qualsiasi prelato, capitolo, collegio, convento, hanno licenza di partire con la benedizione di Dio e nostra. Concediamo tuttavia che tutti quelli che in tal modo partono lascino, come sarà poi determinato, procuratori sufficienti per ricevere nostri ordini e quanto avremo stabilito nel presente nostro concilio, e quanto sarà comandato in futuro, con l'ispirazione di Dio. Tutti quelli, dunque, che recedono cosi dal concilio sarà sufficiente che lascino: del regno di Francia, quattro procuratori; del regno di Alemagna, quattro; dei regni delle Spagne, quattro; del regno d'Inghilterra, quattro; del regno di Scozia, uno; del regno di Sicilia, due; della Lombardia, due; della Toscana, uno; delle terre della Chiesa, uno, del regno di Norvegia, uno; del regno di Svezia, uno; del regno di Ungheria, uno; del regno della Dacia, uno; del regno di Boemia, uno; del ducato di Polonia, uno.
Inoltre, è giunto alle nostre orecchie che alcuni arcivescovi, vescovi, ed altri prelati, in occasione della loro convocazione al concilio, hanno chiesto ai loro sudditi un contributo esagerato e hanno estorto loro molto denaro, imponendo gravi tasse; per di più, alcuni, dopo aver imposto molti oneri, non sono neppure venuti al concilio. Poiché, però, non era né è nostra intenzione che i prelati, venendo ai concilio conciliassero la loro obbedienza cori l'aggravare i sudditi, ammoniamo tutti i prelati e ciascuno di essi in particolare, con fermezza, che nessuno di essi, col pretesto del concilio aggravi i suoi sudditi con tasse o tributi.
Se poi taluno avesse imposto qualche tassa ai suoi sudditi in occasione del concilio pur non intervenendovi, vogliamo e comandiamo tassativamente che restituisca loro immediatamente quanto avesse ricevuto da essi. Chi avesse aggravato i sudditi chiedendo contributi esagerati, cerchi di rimediare senza frapporre alcuna difficoltà. Ed in ciò cerchino di attenersi a queste nostre disposizioni in modo, che non sia necessario che noi vi poniamo rimedio con la nostra autorità.
II Della somma Trinità e della fede cattolica.
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Con fedele e devota professione, confessiamo che lo Spirito Santo procede eternamente dal Padre e dal Figlio non come da due principi, ma come da uno solo; non per due spirazioni, ma per una sola. Questo ha ritenuto finora, ha predicato e insegnato, questo crede fermamente, predica, confessa e insegna la sacrosanta chiesa Romana, madre e maestra di tutti i fedeli. Questo crede l'immutabile e vera opinione dei padri e dottori ortodossi, sia Latini che Greci.
Mla poiché alcuni, ignorando l'irrefragabile verità ora accennata, sono caduti in vari errori, noi, desiderosi di precludere la via a questi errori, con l'approvazione del santo concilio, condanniamo e riproviamo tutti quelli che osano negare che lo Spirito Santo procede eternamente dal Padre e dal Figlio, o anche asserire temerariamente che lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio come da due principi e non come da uno solo.
Della elezione e della potestà dell'eletto.
2. Dove si riscontra un maggior pericolo, li senza dubbio bisogna provvedere con maggiore opportunità. Ora, quanto grave discapito porti alla chiesa di Roma una troppo lunga vacanza, di quanti e quanto grandi pericoli sia piena, si può dedurre dalla considerazione del tempo passato e lo manifestano, se si esaminano con ponderatezza, i rischi che ha attraversato.
Perciò evidenti ragioni ci consigliano, mentre attendiamo con zelo alla riforma di cose di ben minore importanza, di non lasciare senza il rimedio della riforma - e ciò opportunamente - quei punti che presentano un maggior pericolo. Perciò intendiamo che conservino assolutamente intatta la loro validità tutte quelle precauzioni che i nostri predecessori ed in modo particolare papa Alessandro III, di felice memoria, hanno provvidenzialmente prese per evitare la discordia nell'elezione del Romano pontefice, non è, infatti, nostra intenzione diminuire la loro importanza, ma supplire, con la presente costituzione, a quelle manchevolezza che l'esperienza ha messo in rilievo.
Con l'approvazione, quindi, del santo concilio stabiliamo che se il papa muore in una città in cui risiedeva con la sua curia, i cardinali presenti nella stessa città aspettino gli assenti solo per dieci giorni. Passati questi giorni, sia che gli assenti siano venuti, sia che non siano venuti, si radunino nel palazzo in cui abitava il pontefice, ciascuno con un solo servitore, chierico o laico, come loro credono. Quelli tuttavia per i quali una vera necessità lo consigli, permettiamo che ne abbiano due, conservando lo stesso diritto di sceglierli. In questo palazzo tutti abitino in comune uno stesso salone, senza pareti divisorie o altra tenda; questo, salvo un libero passaggio ad una stanza separata, sia ben chiuso da ogni parte, in modo che nessuno possa entrare o uscire da esso.
Non sia permesso ad alcuno recarsi dagli stessi cardinali o poter parlare segretamente con essi; ed essi stessi non permettano che nessuno si rechi da essi, a meno che si tratti di quelli che, col consenso di tutti i cardinali ivi presenti, fossero chiamati per quanto è necessario alla imminente elezione.
A nessuno, inoltre, sia permesso mandare agli stessi cardinali o a qualcuno di loro un inviato o qualche scritto. Chi osasse agire in contrario, mandando un messaggero, o uno scritto, o anche parlando con qualcuno di essi, in segreto, ipso facto incorra nella sentenza di scomunica. Nel conclave, tuttavia, sia lasciata, naturalmente, una finestra, per cui vengano passate comodamente ai cardinali le cose necessarie da mangiare; ma a nessuno sia permesso di passare da essa ai cardinali.
Se poi - che Dio non voglia - entro tre giorni da quando i cardinali, come è stato detto, sono entrati in conclave, non fosse stato ancora dato alla chiesa il pastore, nei cinque giorni immediatamente seguenti, sia a pranzo che a cena i cardinali si contentino ogni giorno di un solo piatto. Passati questi senza che si sia provvisto, sia dato loro solo pane, vino ed acqua, fino a che non avvenga l'elezione. Durante il tempo dell'elezione i suddetti cardinali nulla percepiscano dalla camera papale, né di quanto possa venire alla stessa chiesa da qualsiasi fonte durante la vacanza; tutti i proventi, invece, durante questo tempo rimangano in custodia di colui, alla cui fedeltà e diligenza la camera stessa è stata affidata, perché da lui siano conservati a disposizione del futuro pontefice. Chi poi avesse ricevuto qualche cosa, sarà tenuto da quel momento ad astenersi dal percepire qualsiasi reddito che gli spetti, fino a che non abbia restituito completamente quanto in tal modo ha ricevuto.
Gli stessi cardinali, inoltre, si preoccupino di affrettare l'elezione, non occupandosi assolutamente di null'altro, a meno che non sopraggiunga una necessità cosi urgente da dover difendere la terra della stessa chiesa o qualche sua parte, o anche che non si presenti un pericolo cosi grande e cosi evidente, da sembrare a tutti e singoli i cardinali presenti, unanimemente, che si debba subito far fronte ad esso.
Che se qualcuno dei cardinali non entrerà nel conclave, quale sopra l'abbiamo descritto, oppure dopo esservi entrato ne uscirà senza manifesta causa di malattia, gli altri, senza affatto ricercarlo e senza più ammetterlo all'elezione, pro- cedano liberamente ad eleggere il papa. Se, inoltre, sopraggiunta una malattia, qualcuno di essi debba uscire dal conclave, anche durante la malattia si potrà procedere all'elezione senza richiedere il suo voto. Ma se, dopo aver ricuperato la salute o anche prima, volesse tornare dagli altri, o anche se gli altri assenti (quelli che abbiamo detto doversi aspettare per dieci giorni) giungessero quando l'elezione è ancora impregiudicata, quando, cioè, non è stato ancora dato alla chiesa il pastore, siano ammessi all'elezione in quello stato in cui essa si trova, pronti, naturalmente, ad osservare, con gli altri, quanto abbiamo premesso sia sulla clausura, sia sugli inservienti, sul cibo, sulle bevande e sul resto. Se poi avverrà che il Romano pontefice muoia fuori della città in cui risiedeva con la sua curia, i cardinali siano tenuti a radunarsi nella città nel cui territorio o distretto il pontefice è morto, a meno che sia interdetta o in aperta ribellione contro la chiesa Romana. In questo caso, si radunino in un'altra, la più vicina, purché anch'essa non sia sotto interdetto, o non sia, come già accennato, apertamente ribelle. Anche qui sia per quanto riguarda l'attesa degli assenti, che per quanto riguarda l'abitazione in comune, la clausura e tutte le altre cose, nel palazzo vescovile o in qualsiasi altro da scegliersi dagli stessi cardinali, siano osservate le stesse norme, che sono state date per il caso in cui il papa muoia nella città in cui risiedeva con la sua curia.
Però val poco emanare delle leggi, se poi non c'è chi le fa osservare, aggiungiamo e stabiliamo che il signore e gli altri rettori e magistrati della città in cui si deve procedere all'elezione del Romano pontefice col potere che per nostra autorità e con l'approvazione del concilio viene ad essi concesso, facciano osservare integralmente e inviolabilmente, senza frode o inganno alcuno, tutto ciò che è stato premesso, nel suo complesso e in ogni singola disposizione, attenti a non limitare i cardinali più di quanto è stato detto. I magistrati in corpo, non appena avuta notizia della morte del papa, prestino personalmente giuramento dinanzi al clero e al popolo della città, convocati appositamente, di osservare queste disposizioni. E se a questo proposito, commetteranno qualche frode o non le osserveranno diligentemente, qualunque preminenza possano avere, o di qualsiasi condizione o stato possano essere, cessi ogni privilegio per essi e siano per ciò stesso legati dal vincolo della scomunica e per sempre infami; siano esclusi a vita da ogni dignità,, né siano ammessi ad alcun pubblico ufficio. Stabiliamo inoltre che essi siano ipso facto privati dei feudi, dei beni e di tutto ciò che essi hanno avuto dalla chiesa Romana o da qualsiasi altra chiesa, di modo che questi beni tornino pienamente e liberamente alle chiese stesse, e siano senza alcuna opposizione a disposizione degli amministratori di queste chiese. La città, poi, non solo sia sottoposta ad interdetto, ma sia privata della dignità vescovile.
Poiché quando una passione rende schiava la volontà, o un obbligo la spinge ad agire in un determinato modo, l'elezione è nulla perché manca la libertà, preghiamo istantemente gli stessi cardinali per le viscere della misericordia del nostro Dio (12), li scongiuriamo per il prezioso sangue che egli ha sparso perché riflettono con attenzione sul loro dovere quando si tratta di eleggere il vicario di Gesù Cristo, il successore di Pietro, colui che regge la chiesa universale, e guida il gregge del Signore. Dimessa ogni privata passione, cessato il vincolo di qualsiasi patto, contratto, obbligazioni, e la considerazione di ogni accordo e intesa, non guardino tanto a sé o ai loro, non cerchino quello che è proprio (13), né i loro interessi privati, ma, senza che alcuno se non Dio forzi, nell'elezione, il loro giudizio, puramente e liberamente, mossi dalla semplice consapevolezza dell'elezione, cerchino il pubblico bene, tendendo unicamente con ogni sforzo e cura, per quanto sarà loro possibile, ad affrettare con la loro opera un'elezione utile e necessarissima al mondo intero, dando con sollecitudine alla stessa chiesa uno sposo degno. Chi poi operasse diversamente, sia soggetto alla vendetta divina, e la sua colpa non sarà perdonata, se non dopo grave penitenza.
Per parte nostra cancelliamo, annulliamo e rendiamo invalidi e dichiariamo assolutamente nulli i patti, le convenzioni, gli obblighi, gli accordi, le intese di qualsiasi genere, sia contratti col vincolo del giuramento, che in qualsiasi altro modo. Cosi nessuno sarà obbligato in alcun modo ad osservarli né potrà temere l'accusa di non aver mantenuto la parola trasgredendoli; meriterà piuttosto una giusta lode, poiché anche la legge umana attesta essere accette a Dio più queste trasgressioni, che l'osservanza di siffatti giuramenti.
I fedeli non devono confidare tanto in un'elezione quanto si voglia sollecita, ma piuttosto nel potere di intercessione dalla preghiera umile e devota; perciò aggiungiamo a quanto stabilito che in tutte le città e altri luoghi di maggiore importanza, non appena si abbia certezza della morte del
papa, celebrate dal clero e dal popolo in suo suffragio solenni esequie, ogni giorno si offrano a Dio umili preghiere fino a che notizie certe annunzino in modo sicuro l'avvenuta elezione. Si offrano umili preghiere al Signore, e si perseveri con devote suppliche, perché lui, che stabilisce la concordia nelle sue altezze (14) renda unanimi i cardinali nell’elezione, in modo che dalla loro concordia esca un'elezione sollecita, concorde ed utile, come esige la salvezza delle anime e richiede l'utilità di tutto il mondo.
Perché non avvenga che il presente decreto, cosi salutare, sia trascurato con la scusa dell'ignoranza, ordiniamo rigorosamente che i patriarchi, gli arcivescovi, i vescovi e gli altri prelati delle chiese e tutti quelli a cui è concesso spiegare la parola di Dio, nelle loro prediche esortino con zelo il clero e il popolo - che dovranno essere riuniti apposta a questo scopo a pregare con fiducia e frequentemente per il celere e felice esito di una cosa cosi importante; con la stessa autorità ingiungiamo loro non solo frequenti preghiere, ma anche l'osservanza di digiuni.
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Onde impedire, per quanto è possibile, inganni nelle elezioni, postulazioni e provviste ecclesiastiche, e perché le chiese non restino con pericolo a lungo vacanti o non venga differita la provvista dei personali, delle dignità e di altri benefici ecclesiastici, con decreto perpetuo decidiamo che se talora qualcuno si oppone ad una elezione, ad una postulazione o ad una provvista, sollevando difficoltà contro la forma, o contro la persona degli elettori o dell'eletto o di colui cui spettava la provvista, e perciò si interponga appello, gli appellanti, nel pubblico documento, o nelle lettere d'appello, espongano singolarmente ogni cosa che intendono obiettare contro la forma o le persone. Lo facciano dinanzi a persone qualificate, o a persona che in ciò renda davvero testimonianza alla verità, giurando personalmente di credere che quanto essi espongono in questo modo è vero e che possono provarlo. In caso diverso, tanto gli opponenti, quanto quelli che - messi in mezzo durante o dopo l'appello - aderiscono alla loro parte, sappiano che sarà loro proibito obiettare qualunque cosa che non sia contenuta in queste lettere o documenti, a meno che in seguito sia emerso qualche nuovo elemento o che sia sopravvenuta, quanto agli antichi fatti, la possibilità di provarli, o che ex novo siano venuti a conoscenza degli opponenti elementi passati che al tempo della presentazione dell'appello gli appellanti verosimilmente potevano ignorare e di fatto ignoravano.
Di questa loro ignoranza e della nuova facoltà di prova facciano fede col giuramento, da farsi di persona; ed in esso aggiungano espressamente che credono di poter sufficiente- mente provare quanto affermano.
Vogliamo, poi, che le disposizioni del papa Innocenzo IV (15) di felice memoria, contro coloro che non riescono a provare del tutto quanto hanno opposto contro la forma o la persona, conservino tutto il loro vigore.
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La cieca avarizia e una malvagia, disonesta ambizione, invaso l'animo di alcuni, li spinge a tanta temerità, da cercare di usurpare con inganni raffinati quello che sanno essere loro proibito dal diritto. Alcuni, infatti, eletti al governo delle chiese, poiché per la proibizione del diritto non possono, prima della conferma della loro elezione, ingerirsi nell'amministrazione delle chiese che soli chiamati a governare, fanno in modo che questa venga loro affidata in qualità di procuratori o economi.
Ma poiché non è bene favorire i sotterfugi degli uomini, noi, nell'intenzione di provvedere più opportunamente, con questa costituzione generale stabiliamo che nessuno, in futuro, si azzardi a tenere o a ricevere l'amministrazione della dignità a cui fosse stato eletto, o ad immischiarsi in essa, prima che la sua elezione sia confermata, col nome di economato o di procura, con qualche altro nuovo colore, nelle cose spirituali o temporali. direttamente o per mezzo di altri, in parte o in tutto; e stabiliamo che quelli che si regolano diversamente siano senz'altro privati del diritto che avessero acquistato con l'elezione.
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Quanto sia dannosa alle chiese la loro vacanza, e quanto, di solito, sia pericolosa alle anime, non solo l'attestano le disposizioni del diritto, ma lo manifesta anche l'esperienza, efficace maestra delle cose.
Volendo dunque provvedere con i dovuti rimedi al protrarsi delle vacanze, con questo decreto stabiliamo per sempre che, quando in qualche chiesa è stata fatta una elezione, gli elettori, appena lo possono senza loro incomodo, sono tenuti a presentare l'elezione stessa all'eletto e a chiederne il con- senso; l'eletto, invece, a darlo entro un mese dal giorno di questa presentazione. Se poi l'eletto differisse il suo consenso, sappia che da allora sarà ipso facto privo del diritto che può avere acquistato con la sua elezione, a meno che la persona eletta sia di tale condizione che non possa acconsentire alla sua elezione senza il permesso del suo superiore, per qualche proibizione o per una disposizione qualsiasi della sede apostolica. In questo caso, l'eletto stesso o i suoi elettori, cerchino di chiedere e di ottenere la licenza dal superiore, con quella sollecitudine che la presenza o l'assenza dello stesso superiore permettono. Altrimenti, se, passato il tempo, da determinarsi, come si è detto, a seconda della presenza o dell'assenza del superiore, essi non avranno ottenuto questa licenza, da quel momento gli elettori abbiano libera facoltà di procedere ad altra elezione.
Del resto, qualsiasi eletto entro i tre mesi dall'espressione del suo consenso alla sua elezione, non manchi di chiedere la conferma della sua elezione. Se poi senza giusto impedimento egli trascurerà di fare ciò nei termini di questo trimestre, l'elezione sia senz'altro priva di ogni valore.
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Con valore di sanzione perpetua dichiariamo che coloro che in un'elezione votano consapevolmente un indegno, a meno che non abbiano talmente insistito da far dipendere dai loro voti l'elezione non siano privati del potere di eleggere, quantunque votando un indegno, agiscano apertamente contro la loro coscienza e debbano temere la divina vendetta e l'intervento della sanzione apostolica, che la qualità del fatto potrà suggerire.
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Stabiliamo che non è lecito a nessuno, dopo aver votato qualcuno, o dopo aver acconsentito all'elezione che altri hanno fatto, opporsi all'elezione, se non per motivi che siano emersi soltanto dopo, o a meno che l'indegnità dei suoi costumi, prima a lui sconosciuta, ora gli si manifesti, o che venga a conoscere l'esistenza di qualche altro vizio o difetto nascosto, che con tutta probabilità poteva ignorare. Egli, però, deve far fede di questa sua ignoranza con giuramento.
8
Se dopo due scrutini, una parte degli elettori supera gli altri del doppio, col presente decreto noi intendiamo privare sia la minoranza che colui che essa ha votato di qualsiasi
facoltà di opporre alcunché contro la maggioranza asserendo una carenza di zelo, di merito, o di autorità.
Se poi si intendesse opporre qualche cosa che potrebbe rendere ipso iure nulla l'elezione di colui, contro cui si fa opposizione, non intendiamo che ciò sia proibito.
9
Quantunque la costituzione di papa Alessandro IV (16) di felice memoria, nostro predecessore, considerando giustamente le cause dei vescovi - o quelle sorte sulla loro elezione - tra le cause maggiori, affermi che la loro trattazione, in seguito a qualsiasi appello, deve essere demandata all'esame della sede apostolica, tuttavia, volendo frenare l'audacia temeraria di quelli che si appellano e la enorme frequenza degli appelli, con questo decreto generale abbiamo creduto bene disporre come segue. Se nelle elezioni all'episcopato o in quelle che riguardano le dignità superiori dovesse avvenire che uno, extragiudizialmente, si appelli per un motivo evidentemente frivolo, la causa non venga devoluta alla sede apostolica. Se però in queste cause di elezione l'appello - giudizialmente e extragiudizialmente - viene fatto per un motivo che, se venisse provato, dovrebbe esser ritenuto legittimo, allora queste cause vengano deferite alla stessa sede (apostolica). D'altra parte, in questi casi, dovrebbe sempre esser lecito alle parti, esclusa naturalmente ogni malizia, recedere da questi appelli, prima che vengano sottoposti alla Sede apostolica.
I giudici inferiori che erano competenti per le stesse cause, cessando l'appello, cerchino prima di tutto di appurare con diligenza se in ciò vi sia stata malizia; e se troveranno che vi è stata, non si intromettano in nessun modo in queste cause, ma stabiliscano alle parti un equo termine perentorio, entro il quale si presentino con tutti i loro atti e documenti al cospetto della sede apostolica.
10
Se si oppone all'eletto, a chi è stato designato, o a chi in qualsiasi modo dev'essere promosso ad una dignità, la mancanza evidente di scienza, o qualche altro difetto della persona stabiliamo che nella discussione dell'accusa debba esser seguito rigorosamente quest'ordine: chi deve essere promosso venga esaminato prima di tutto sul difetto stesso, il cui esito darà inizio all'esame degli altri o lo precluderà.
Se però questo esame dovesse dimostrare che le accuse sono destituite di fondamento, escludiamo senz'altro gli oppositori dal proseguimento della causa e stabiliamo che vengano puniti come se non fossero riusciti a provare nessuna delle accuse avanzate.
11
Chi osasse molestare i chierici o qualsiasi altra per- sona ecclesiastica, cui in certe chiese, monasteri o altri luoghi pii spetta l'elezione, perché non hanno voluto eleggere colui per cui erano stati pregati o forzati; oppure osasse molestare i loro parenti o le stesse chiese, monasteri o altri luoghi, spogliandoli, direttamente o per mezzo di altri, dei benefici o di altri beni, o comunque perseguitandoli senza motivo, sia ipso facto colpito dalla sentenza di scomunica.
12
Stabiliamo che chi tentasse di usurpare le regalie, la custodia o guardia, il titolo di avvocato o di difensore nelle chiese, nei monasteri o in qualsiasi altro luogo pio, e presumesse di occupare i beni delle chiese, dei monasteri e degli stessi luoghi (pii), qualsiasi dignità ed onore possa rivestire, - e cosi pure i chierici delle chiese, i monaci dei monasteri, e le altre persone addette a questi stessi luoghi, che procurassero che si facciano tali cose vanno incontro senz'altro alla sentenza di scomunica. A quei chierici, inoltre, che non si oppongono, come dovrebbero, a chi agisce cosi proibiamo severamente, per tutto il tempo che hanno per- messo, senza impedirlo, quanto abbiamo accennato, di percepire qualsiasi provento delle chiese o degli stessi luoghi pii.
Chi rivendica a sé questi diritti per la fondazione delle stesse chiese e degli altri luoghi pii o per antica consuetudine, si guardi dall'abusarne - e faccia si che non ne abusino neppure i suoi dipendenti - non usurpando ciò che non riguarda i frutti o redditi del tempo della vacanza; e non permetta che gli altri beni, di cui ha la custodia, vadano in rovina, ma li conservi in buono stato.
13
Il canone emanato da papa Alessandro III (17) di felice memoria, nostro predecessore, stabilisce, fra l'altro, che nessuno assuma la responsabilità di una chiesa parrocchiale se non abbia raggiunto il venticinquesimo anno di età, e se non sia ragguardevole per scienza e onestà di costumi. Chi, una volta assunto a questo ufficio, non sarà stato ordinato sacerdote nel tempo stabilito dai sacri canoni, sarà rimosso dall'ufficio che sarà dato ad altri. Poiché molti sono negligenti nell'osservare questa norma, intendiamo che la loro negligenza sia sostituita con l'osservanza del diritto e perciò stabiliamo col presente decreto, che nessuno riceva il governo di una parrocchia, se non sia adatto per scienza, costumi, età; e che i conferimenti di chiese parrocchiali a chi non avesse compiuto i venticinque anni di età siano privi di qualsiasi valore.
Chi sarà assunto a questo ufficio, perché curi il suo gregge con maggior diligenza, sia obbligato a risiedere personalmente nella chiesa parrocchiale, di cui è divenuto rettore; ed entro un anno da quando gli è stato affidata la parrocchia procuri di esser promosso al sacerdozio. Se entro questo tempo non sarà promosso sacerdote, anche senza previo ammonimento, in forza della presente costituzione rimane rivo della chiesa che gli è stata affidata.
Quanto alla residenza obbligatoria di cui abbiamo parlato, l'ordinario potrà concedere per un certo tempo una dispensa se un motivo ragionevole lo richieda.
14
Nessuno affidi una chiesa parrocchiale a chi non abbia l'età legittima e non sia sacerdote. E se anche il soggetto sia in queste condizioni, non gli se ne affidi se non una, a meno che un'evidente necessità o l'utilità della chiesa stessa lo esiga. Questa commenda, in ogni caso non deve durare più di un semestre; qualsiasi cosa, riguardante le commende delle chiese parrocchiali, venga regolata in modo diverso, sia ipso iure invalida.
15
Il tempo delle ordinazioni e la qualità degli ordinando.
Chi senza licenza del superiore degli ordinando, scientemente, o con ignoranza affettata, o con qualsiasi altro pretesto osasse ordinare chierici di un'altra diocesi, per un anno sia sospeso dal conferimento degli ordini, fermo restando quanto le norme del diritto stabiliscono contro quelli che vengono ordinati in tal modo.
I chierici dei vescovi cosi sospesi hanno facoltà di ricevere intanto - anche senza la loro licenza - gli ordini dagli altri vescovi vicini.
16
Di coloro che hanno sposato due volte.
Mettendo fine ad un'antica questione, dichiariamo pubblicamente che quelli che si sono risposati restano privi di qualsiasi privilegio proprio dei chierici, e soggetti alle norme repressive del foro secolare, nonostante qualsiasi contraria consuetudine. A questi proibiamo, inoltre, sotto pena di scomunica, di portare la tonsura o l'abito clericale.
17
L'ufficio del giudice ordinario.
Se i canonici volessero cessare dalla celebrazione dei divini uffici, come essi per consuetudine o per altri motivi rivendicano, prima di questa cessazione, espongano in un pubblico documento le ragioni per cui cessano, e lo mandino a colui contro il quale intendono cessare. Se essi cessassero senza questa formalità, o la causa da essi espressa non fosse legittima, saranno obbligati a restituire tutto quello che hanno percepito da quella chiesa per tutto il tempo della cessazione. Le rendite loro dovute per quel tempo essi non le percepiranno in nessun modo, ma dovranno darle alla stessa chiesa, e, ciò nonostante, riparare anche i danni e le perdite di colui, contro il quale hanno cessato.
Se la causa sarà trovata legittima, chi ha dato occasione alla cessazione, sia condannato, a giudizio del superiore, a pagare ogni interesse ai canonici e alla chiesa, cui per sua colpa è stato sottratto il servizio, secondo una data tassa, e a destinarla ad aumento del culto divino.
Riproviamo poi assolutamente l'odioso abuso e la mancanza di ogni devozione di chi, trattando con irriverente audacia le immagini o le statue della Croce, della beata Vergine e degli altri Santi, per rendere più evidente questa loro cessazione le gettano per terra, le mettono tra le spine e le ortiche, e proibiamo assolutamente che in seguito si faccia qualche cosa di simile; stabiliamo che contro chi agisse diversamente sia por-tata una severa sentenza, che punisca talmente quelli che mancano, da scoraggiare gli altri.
18
I vescovi costringano severamente chi ha più dignità o chiese con annessa cura d'anime a presentare entro un tempo determinato le dispense in forza delle quali essi asseriscono di tenere canonicamente queste chiese o dignità.
Se non sarà stata presentata alcuna dispensa, nel tempo stabilito, le chiese, i benefici o le dignità, tenuti senza dispensa, e quindi per ciò stesso illecitamente, siano assegnati liberamente a persone idonee. Se invece la dispensa presentata sembrerà sufficiente, chi la presenta non sia molestato nel possesso di questi benefici, che ha canonicamente. Curi tuttavia, l'ordinario, che in queste chiese non venga trascurata la cura delle anime, e che gli stessi benefici non manchino dei dovuti servizi.
Se la validità della dispensa presentata fosse dubbia, si deve ricorrere alla Sede apostolica, cui spetta giudicare in materia di benefici. Inoltre nel conferire benefici con cura d'anime, gli ordinari abbiano l'accortezza di non conferirli a chi ne abbia già uno, se prima non sia mostrata con chiara
o evidenza la dovuta dispensa. Ed anche in tal caso, vogliamo che si proceda al conferimento, solo quando appaia dalla dispensa che l'interessato può lecitamente cumulare quel beneficio con gli altri, o se egli liberamente e spontaneamente rinunzia a quelli che già ha.
Diversamente, la concessione di benefici a chi ne abbia altri non avrà assolutamente alcun valore.
19
Sulle cause giudiziarie.
Sembra necessario rimediare al protrarsi subdolo delle liti, ed confidiamo che ciò avvenga se vi si impegnano quanti prestano la loro opera nelle cause, con adeguati rimedi.
Poiché sembrano cadute in desuetudine le norme sui difensori, noi le rinnoviamo - con qualche aggiunta, e qualche temperamento - e stabiliamo che chi esercita l'ufficio di avvocato nel foro ecclesiastico, sia presso la sede apostolica, sia altrove, presti giuramento sui santi Evangeli che in tutte le cause delle quali essi hanno assunto o assumeranno la difesa, faranno comprendere con tutta la loro capacità ai loro clienti ciò che essi crederanno esser vero e giusto, e che in qualsiasi momento del giudizio comprendessero che la causa che difendono è ingiusta smetteranno di difenderla e, anzi, l'abbandoneranno del tutto, e cesseranno di avere qualsiasi relazione con essa.
Anche i procuratori sono tenuti a fare un simile giuramento. E sia gli avvocati che i procuratori siano obbligati a rinnovare tale giuramento ogni anno; nel foro in cui hanno assunto questo ufficio.
Chi si reca alla Sede apostolica, o alla curia di qualsiasi giudice ecclesiastico nella quale non avesse ancora prestato tale giuramento, per prestare la propria assistenza in qualche causa, presti il giuramento davanti ad essi, volta per volta, all'inizio della causa. Gli avvocati e i procuratori che non intendessero giurare nel modo accennato, sappiano che è loro proibito l'esercizio dei loro incarichi. Se poi essi violassero il giuramento fatto, oltre che essere rei di spergiuro, incorrano nella divina maledizione e nella nostra; e da questa non siano assolti se non avranno restituito il doppio di quanto abbiano percepito da una cosi malvagia difesa. Siano anche tenuti a riparare i danni che da una tale ingiusta assistenza fossero derivati alle parti.
Perché il desiderio sfrenato del denaro non spinga qualcuno a trasgredire queste salutari prescrizioni, proibiamo severamente che un avvocato possa ricevere per qualsiasi causa più di venti libbre di monete di Tours, e un procuratore più di dodici, come salario o come compenso per la vittoria. Quelli che ricevessero più di questo, non acquistino la proprietà di quanto eccede la quantità prescritta, ma siano costretti alla restituzione, ed in modo tale, che nulla di quanto devono restituire possa, con frode di questa costituzione, esser loro condonato.
Gli avvocati, inoltre, che violassero la presente costituzione, siano sospesi per un triennio dal loro ufficio di avvocati; i procuratori sappiano che da quel momento è loro negata la facoltà di esercitare qualsiasi procura in tribunale.
20.
Di ciò che vien fatto Per costrizione o timore.
La concessione dell'assoluzione dalla sentenza di scomunica, o qualsiasi revocazione di essa, o della sospensione o anche dell'interdetto, estorta con la forza o col timore, in forza della presente costituzione è priva di qualsiasi valore.
E perché l'impunità della violenza non cresca l'audacia, decretiamo che quelli che avessero estorto questa assoluzione o revocazione con la violenza o col timore, debbano sottostare alla sentenza di scomunica.
21
Delle prebende e delle dignità.
Il decreto di papa Clemente IV (18), di felice memoria, nostro predecessore, sulle dignità e benefici vacanti nella curia Romana, da non assegnarsi assolutamente da altri, che dal Romano pontefice, abbiamo creduto bene doversi modificare in tal modo, che quelli, cui spetta il conferimento degli stessi benefici e dignità, nonostante il decreto accennato, dopo un mese, da computarsi dal giorno in cui le dignità o i benefici si sono resi vacanti, possono conferirli, (ma) solo essi personalmente, o, se fossero lontano, per mezzo dei loro vicari generali delle loro diocesi, ai quali sia stato dato canonicamente l'incarico.
22
Non si devono alienare i beni della chiesa.
Con questo ben meditato decreto proibiamo a tutti e singoli i prelati di sottomettere, assoggettare o sottoporre ai laici le chiese loro affidate, i beni immobili e i diritti loro propri senza il consenso del loro capitolo e senza speciale licenza della sede apostolica. Non concederanno, cioè, ad essi gli stessi beni e diritti in enfiteusi, e neppure li alieneranno nella forma e nei casi permessi dal diritto; ma si dovrà stabilire, riconoscere e dichiarare (dai laici) che essi hanno dagli ecclesiastici questi beni e diritti come da -loro superiori; e dovranno impetrarli da loro - cosa che in alcune parti si esprime con la parola avoer -. Non dovranno, inoltre costituire i laici patroni o avvocati delle chiese e dei beni per sempre o per lungo tempo. Decretiamo pure che tutti i contratti, anche muniti dell'aggiunta del giuramento, della pena, o di qualsiasi altra conferma, che avvenga di fare per queste alienazioni senza tale licenza e consenso, e ogni effetto ad essi seguito, siano talmente privi di valore, da non garantire nessun diritto e da non costituire motivo di prescrizione. E tuttavia quei prelati che agissero diversamente siano sospesi ipso facto per tre anni dall'ufficio e dall'amministrazione (dei beni loro affidati); i chierici, inoltre, che, pur sapendo che in qualche cosa si è agito contro la proibizione predetta, hanno omesso di denunziare il fatto ai superiori, (siano sospesi) dal percepire il frutto dei loro benefici, che avessero nella chiesa cosi gravata.
I laici, poi, che finora avessero costretto i prelati o i capitoli delle chiese o altre persone ecclesiastiche ad assoggettarsi in tal modo, se, dopo una competente ammonizione, rinunziando a questo assoggettamento, che avevano ottenuto con la forza e con la paura, non lasceranno nella loro libertà le chiese e i beni ecclesiastici in tal modo loro sotto- posti, e anche quelli che in futuro costringessero i prelati o le stesse persone (nominate) a tali passi, di qualunque condizione e stato essi siano, incorreranno nella sentenza di scomunica.
Da questi contratti, inoltre, anche se fatti con la dovuta licenza e consenso, o da quelli che si faranno in seguito, o anche in occasione di essi, i laici non usurpino nulla, oltre quello che ad essi appartiene per la natura degli stessi con- tratti, o dalla legge in cui si basano.
Quelli poi che si comportassero diversamente, qualora, ammoniti a norma di legge, non desistessero da questa usurpazione, e non restituissero quanto in tal modo hanno usurpato, incorrano senz'altro nella sentenza di scomunica, e da quel momento si proceda liberamente con l'interdetto ecclesiastico, se necessario, a sottomettere la loro terra.
23
Le case religiose devono esser soggette al vescovo.
Un concilio generale (19) con apposita proibizione ha cercato di evitare l'eccessiva diversità degli ordini religiosi, causa di confusione.
Ma l'inopportuno desiderio dei richiedenti in seguito ha strappato, quasi, il loro moltiplicarsi e la sfacciata temerità di alcuni ha prodotto una moltitudine di nuovi ordini, specie mendicanti, ancor prima di aver ottenuto un'approvazione di principio. Rinnovando la costituzione, proibiamo assolutamente a chiunque di istituire un nuovo ordine o una nuova forma di vita religiosa, o di prendere l'abito in un nuovo ordine. Proibiamo per sempre tutte, assolutamente tutte, le forme di vita religiosa e gli ordini mendicanti sorti dopo quel concilio, che non abbiamo avuto la conferma della sede apostolica e sopprimiamo quelli che si fossero diffusi.
Quegli ordini, tuttavia, che sono stati confermati dalla sede apostolica e sono stati istituiti dopo il concilio suddetto, ai quali la professione (religiosa) o la regola, o qualsiasi costituzione proibiscano di avere redditi o possedimenti per il loro sostentamento, e vi provvedono con una disordinata mendicità mediante la pubblica questua, decretiamo che possano sopravvivere nel modo seguente: sia permesso ai professi di questi ordini di rimanere in essi, se vogliono, ma senza ammettere, in seguito, nessuno alla professione, senza acquistare nuove case e nuovi terreni e senza poter alienare le case e i beni che possiedono senza speciale licenza dalla santa sede. Intendiamo, infatti, riservarli a disposizione della sede apostolica, per destinarli all'aiuto della Terra Santa o dei poveri, o ad altri usi pii, attraverso gli ordinari dei luoghi o per mezzo di coloro, cui la stessa sede abbia conferito l'incarico.
Se poi si sarà creduto di poter fare diversamente, né l'accettazione delle persone, né l'acquisto delle case o dei terreni, o la vendita degli stessi e di altri beni sia valida; ed inoltre quelli che agiscono contrariamente siano soggetti alla sentenza di scomunica. Agli appartenenti a questi ordini proibiamo assolutamente, inoltre, il ministero della predicazione e della confessione e il diritto di sepoltura, per quanto riguarda gli estranei.
Non vogliamo tuttavia che la presente costituzione si applichi agli ordini dei Predicatori e dei Minori, la cui evidente utilità per la chiesa universale ne testimonia l'approvazione.
Quanto agli ordini dei Carmelitani e degli Eremiti di Sant'Agostino, la cui fondazione risale a prima del concilio generale di cui abbiamo parlato, concediamo che essi possano rimanere nella propria condizione, fino a che per essi non sia presa una diversa decisione: è nostra intenzione, infatti, provvedere loro e agli altri ordini non mendicanti, come ci sembrerà meglio per la salvezza delle loro anime e per il loro stato.
Vogliamo aggiungere che agli appartenenti agli ordini che cadono sotto questa costituzione concediamo una generale licenza di poter passare agli altri ordini approvati, in modo, tuttavia, che nessun ordine possa passare ad altro ordine e nessun convento ad altro convento con tutto ciò che possiede, senza aver prima ottenuto su ciò uno speciale permesso della stessa sede.
24
Delle imposte e delle prestazioni.
Fa si l'audacia dei malvagi che non possiamo accontentarci della sola proibizione del male, ma che imponiamo anche pene a quelli che mancano.
Volendo, quindi, che la costituzione di Innocenzo IV (20), di felice memoria, predecessore nostro, riguardante l'obbligo di non ricevere prestazioni in denaro, e la proibizione di accettare doni per quelli che fanno la visita (pastorale) e per quelli che li accompagnano - che si dice venir trasgredita dalla temerità di molti - venga assolutamente osservata, abbiamo deciso di sostenerla con l'aggiunta della pena. Stabiliamo, dunque, che tutti e singoli quelli che osassero esigere del denaro quale compenso loro dovuto per la visita o solo anche accettarlo da chi lo offre; o che violassero la stessa costituzione ricevendo doni, o, pur senza aver compiuto l'obbligo della visita, dei contributi in viveri, o qualche altra cosa in occasione della visita, entro lo spazio di un mese dovranno restituire il doppio di quanto hanno ricevuto alla chiesa dalla quale hanno ricevuto. Altrimenti i patriarchi, gli arcivescovi, i vescovi sappiano che, se trascureranno di restituire il doppio stabilito entro il tempo predetto, da quel momento sarà loro proibito l'ingresso nella chiesa; gli inferiori saranno sospesi dall'ufficio e dal beneficio, fino a che non abbiano soddisfatto completamente restituendo il doppio alle chiese gravate; e nulla gioverà ad essi il condono, la liberalità o la benevolenza di quelli che hanno dato.
25
Della immunità delle chiese.
Alla casa del Signore si addice la santità (21) perché il culto di colui la cui dimora è nella pace (22), sia reso nella pace e con la dovuta venerazione. Sia, dunque, l'ingresso alla chiesa umile e devoto; vi sia in esse un comportamento tranquillo, gradito a Dio, fonte di pace per chi vede, che non solo istruisca chi guarda, ma gli faccia anche bene. Quelli che vi si radunano lodino con un atto di speciale reverenza quel nome, che è al di sopra di ogni nome (23) al di fuori del quale non ne è stato dato altro gli uomini, in cui i fedeli possano esser salvati (24): cioè il nome di Gesù Cristo, che salverà il suo popolo dai suoi peccati (25). Ciò, inoltre, che generalmente si scrive: che nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio (26), ognuno, adempiendolo singolarmente in sé, - specie quando si celebrano i sacri misteri della messa - ogni volta che si ricorda quel nome glorioso, pieghi i ginocchi del suo cuore; cosa che si può fare anche col solo inchino del capo. In quei luoghi si attenda con tutta l'attenzione del cuore alle sacre solennità; si attenda con animo devoto alla preghiera. Nessuno in quei luoghi - in cui conviene offrire suppliche nella pace e nella tranquillità, ecciti una sedizione, provochi il clamore, faccia impeto. Si smetta di tenere in esse i consigli delle Università e di altre associazioni, qualsiasi esse siano; di tener discorsi, e pubblici parlamenti. Si smettano discorsi inutili, e molto più quelli volgari e profani. Cessino le chiacchiere. Sia estranea, finalmente (a chi entra in essi), qualunque altra cosa che possa turbare il divino ufficio o che possa offendere gli occhi della divina maestà; e non avvenga che dove si va per chiedere perdono dei peccati, li si dia occasione di peccare, o si debba constatare che si commettono peccati. Cessino, nelle chiese e nei loro cimiteri il commercio, e specialmente i mercati e il tumulto di una piazza qualsiasi. Taccia in esse ogni rumore di cause secolari. Non si discuta in esse alcuna causa secolare, specialmente criminale né le cause giudiziarie dei laici.
Gli ordinari dei luoghi facciano osservare queste disposizioni, cerchino di persuadere, impediscano quanto è stato proibito da questo canone con la loro autorità, deputando anche, a questo scopo, quelli che sono maggiormente assidui alle stesse chiese e che sembrano adatti a quanto abbiamo predetto. E inoltre i processi dei giudici secolari e specialmente le sentenze pronunciate negli stessi luoghi, siano del tutto nulle.
Chi poi osasse sfacciatamente disprezzare le proibizioni predette, oltre al processo degli ordinari e di quelli che essi deputeranno a ciò, dovrà davvero temere l'acerbità della vendetta divina e della nostra, fino a che, confessato il suo peccato, non abbia fatto fermo proposito di astenersi da una simile condotta.
26.
Dell'usura.
Desiderando impedire la voragine degli interessi, che divora le anime ed esaurisce quanto si possiede, vogliamo che venga osservata inviolabilmente la costituzione del concilio Lateranense (27), emessa contro gli usurai: ciò sotto minaccia della divina maledizione.
E poiché quanto minore sarà per gli usurai la possibilità di prestare ad usura, tanto maggiormente verrà tolta la libertà di esercitarla, con questa generale costituzione stabiliamo che né un collegio, né altra comunità o singola per- sona, di qualsiasi dignità, condizione o stato, permetta a dei forestieri o ad altri non oriundi delle loro terre, che esercitassero o volessero esercitare pubblicamente l'usura, di prendere in affitto, a questo scopo, case nelle loro terre, o di tenerle, se già le hanno prese in affitto, o, comunque, di abitarle; devono, invece, entro tre mesi, scacciare tutti questi usurai manifesti dalle loro terre, senza ammettere più nessuno, mai, in avvenire.
Nessuno dia in affitto, a scopo di usura, una casa; neppure sotto qualsiasi altro pretesto (o colore). Chi facesse il contrario, se fossero persone ecclesiastiche, patriarchi, arcivescovi, vescovi, sappiano che incorreranno nella sospensione; persone minori, ma singole, nella scomunica; se fosse un collegio o altra comunità, incorrerà nell'interdetto. Se poi si indurissero, nel loro animo, per un mese, contro di esso, le loro terre, da quel momento, siano sottoposte all'interdetto ecclesiastico, fino a che questi stessi usurai dimorano in esse.
Se si trattasse di laici siano costretti dai loro ordinari con la censura ecclesiastica ad astenersi da questo eccesso, venendo meno ogni privilegio.
27
Ancorché gli usurai manifesti abbiano stabilito nelle loro ultime volontà di soddisfare, per quanto riguarda gli interessi che avevano percepito, o determinando la quantità (del denaro da restituire), o in modo indeterminato, sia negata ad essi, tuttavia, la sepoltura ecclesiastica, fino a che non si sia completamente soddisfatto - nei limiti delle loro possibilità - per gli interessi stessi, o finché non sia stata data assicurazione della restituzione (e ciò nel modo dovuto) a coloro, cui dev'essere fatta la restituzione, se sono presenti essi stessi, o altri che possano ricevere in loro nome; o, se essi fossero assenti, all'ordinario del luogo, o a chi ne fa le veci, o al rettore della parrocchia nella quale il testatore abita, dinanzi ad alcune persone della parrocchia stessa degne di fede (a questo ordinario, vicario, rettore sia lecito il forza di questa costituzione accettare tale cauzione in loro nome, cosicché possano aver poi diritto all'azione [legale]) o ad un pubblico impiegato, incaricato dallo stesso ordinario.
Se poi si conosce la somma precisa degli interessi, vogliamo che essa sia sempre espressa nella cauzione; altrimenti sia determinata un'altra cauzione secondo il criterio di chi la riceve. Questi, però, non ne stabilisca scientemente una minore di quella che verosimilmente si ritiene per vera; se si comporterà diversamente, sia tenuto lui a soddisfare per il resto.
E stabiliamo che tutti i religiosi od altri, che contro la presente disposizione osassero ammettere alla sepoltura ecclesiastica degli usurai manifesti, debbano andar soggetti alla pena stabilita dal concilio Lateranense contro gli usurai.
Nessuno assista ai testamenti di pubblici usurai o li ammetta alla confessione o li assolva, se non avranno soddisfatto per gli interessi, o non avranno dato la debita assicurazione, come abbiamo premesso, che soddisferanno secondo le loro possibilità. I testamenti degli usurai manifesti redatti in modo diverso non abbiano alcun valore, ma siano ipso iure invalidi.
28.
Delle ingiurie e del danno arrecato.
Quantunque i pignoramenti, che con parola usuale si chiamano rappresaglie, in cui uno sconta per un altro, siano proibiti dalla legislazione civile come cose gravi e contrarie alle leggi e all'equità naturale, perché, tuttavia, la loro proibizione nei riguardi delle persone ecclesiastiche sia tanto maggiormente temuta, quanto più particolarmente è proibita verso di essi, proibiamo assolutamente, in forza del presente decreto, che essi vengano concessi contro le persone predette o contro i loro beni, o - per quanto siano forse generalmente concessi, col pretesto di qualche consuetudine, che noi giudichiamo abuso - che vengano estesi ad esse.
Quelli, quindi, che agissero diversamente, concedendo contro le stesse persone dei pignoramenti o rappresaglie, o estendendoli ad esse, siano soggetti alla sentenza di scomunica, se si tratta di singole persone; all'interdetto ecclesiastico, se si tratta di comunità, a meno che non abbiano revocato il loro atto arbitrario entro un mese dalla concessione o dalla sua estensione (alle persone ecclesiastiche).
29
La Sentenza di scomunica.
Vogliamo (meglio) illustrare la costituzione di Innocenzo IV (28), di felice memoria, nostro predecessore, - la quale proibisce che quelli che comunicano con gli scomunicati nelle materie che importano la sola scomunica minore, vengano legati dalla scomunica maggiore, senza la necessaria ammonizione canonica, e che stabilisce che la sentenza di scomunica promulgata in maniera diversa non abbia alcun valore. Per togliere lo scrupolo di ogni ambigua interpretazione, stabiliamo che l'ammonizione, in questo caso, può dirsi canonica se, oltre all'osservanza esatti di ogni altra prescrizione, essa specifichi nominatamente quelli che vengono ammoniti.
Stabiliamo anche che tra quelle ammonizioni, che le norme giuridiche permettono potersi fare perché si intenda promulgata canonicamente la sentenza, i giudici, sia che ne facciano tre, sia che ne facciano una per tutte, si attengano alla norma di concedere i dovuti intervalli di alcuni giorni, a meno che l'urgenza del momento non consigli di regolarsi diversamente.
30
Col presente generale decreto, dichiariamo che il beneficio della sospensione ad cautelam, quando riguarda sentenze di interdetto promulgate in generale contro le città, i castelli, e qualsiasi altro luogo, non ha luogo.
31
Quelli che, chiunque essi siano, per il fatto che sia stata promulgata una sentenza di scomunica, di sospensione o di interdetto contro re, principi, baroni, nobili, balivi, o contro qualsiasi dei loro ministri o altri, dessero il permesso a qualcuno di uccidere, prendere o anche molestare nelle persone, o nei beni, o in quelli dei loro (parenti) chi ha emesso tali sentenze, o a causa dei quali sono state pronunziate, o chi le osserva, o chi non vuole comunicare con gli scomunicati, a meno che non abbiano revocato, in tempo, la licenza stessa, incorrano ipso facto nella sentenza di scomunica. Nella stessa sanzione incorra chi in base a analoga licenza si è impossessato dei beni, a meno che essi non siano stati restituiti entro otto giorni o data soddisfazione adeguata.
Siano legati dalla stessa sentenza tutti coloro che avessero osato servirsi della predetta licenza, o commettere di loro iniziativa qualche altra cosa, di quelle per cui abbiamo proibito che si possa dare tale licenza.
Chi rimarrà per due mesi (implicato) nella stessa sentenza, da quel momento non potrà avere più la grazia dell'assoluzione, se non dalla sede apostolica.
NOTE
(1) Cfr. Gen 6, 6.
(2) Cfr. Sal 104, 11.
(3) Cfr. Sal 73, 12.
(4) Cfr. Sai 113, 2.
(5) 1 Gv 1, 1.
(6) Cfr. Lc 1, 37.
(7) Cfr. Is 40, 4; Lc 3, 5.
(8) Cfr. Mt 23, 4.
(9) Cfr. c. 2, X, V, 26 (Friedberg, 2, 826-827).
(10) Cfr. Mt 16, 19; 18, 18.
(11) Cfr. Sal 113, 1.
(12) Lc 1, 78.
(13) Cfr. Fil 2, 21.
(14) Gb 25, 2.
(15) Innocenzo IV nel concilio I di Lione (1245), c. 4.
(16) Cfr. Les registres d'Alexandre IV, Recueil des bulles de ce pape...,
edd. J. de Loye - P. de Cenival, Paris, 1917, 684-686.
(17) Alessandro III nel concilio Lateranense III (1179), C. 3.
(18) Cfr. Les registres de Celement IV, Recueil des bulles de ce pape...,
edd. E. Jordan I, Paris, 1893, n. 212 (p.50).
(19) Concilio Lateranense IV (1245), c. 13.
(20) Cfr. c. i, III, 20, in VI (Friedberg, 2, 1056-1057).
(21) Sal 92, .
(22) Sal 75, 3.
(23) Fil -2, 9.
(24) Cfr. At 4, 12.
(25) Mt 1, 21.
(26) Fil 2, 10.
(27) Concilio Lateranense III (1179), c. -25.
(28) Innocenzo IV nel concilio I di Lione (1245), c. -21.
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