CONCILI ECUMENICI
Concilio di Trento
I-VI | VII-XI | XII-XVI | XVII-XXII | XXIII-XXIV | XXV |
SESSIONE VII (3 marzo 1547)
Primo decreto: I sacramenti
Introduzione.
A completamento della salutare dottrina della giustificazione, promulgata nella precedente sessione col consenso unanime di tutti i padri, è sembrato naturale trattare dei santissimi sacramenti della chiesa, attraverso i quali qualsiasi vera giustizia ha inizio o viene aumentata, se già iniziata, o è recuperata, se perduta.
Perciò il sacrosanto concilio tridentino generale ed ecumenico legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza degli stessi legati della sede apostolica, per eliminare gli errori ed estirpare le eresie che in questa nostra età o sono state riesumate, contro gli stessi santissimi sacramenti, da eresie già condannate a suo tempo dai nostri padri, o sono state inventate de novo, le quali sono in contrasto con la purezza della chiesa cattolica e nuocciono grandemente alla salvezza delle anime: attenendosi alla dottrina delle sacre scritture, alle tradizioni apostoliche e all’unanime pensiero degli altri concili e dei padri (172), ha creduto bene di stabilire e di proporre i presenti canoni, ripromettendosi di pubblicare in seguito (con l’aiuto dello Spirito santo) gli altri che mancano al completamento dell’esposizione iniziata.
CANONI SUI SACRAMENTI, IN GENERE
1. Se qualcuno afferma che i sacramenti della nuova legge non sono stati istituiti tutti da Gesù Cristo, nostro signore, o che sono più o meno di sette, e cioè: il battesimo, la confermazione, l’eucarestia, la penitenza, l’estrema unzione, l’ordine e il matrimonio, o anche che qualcuno di questi sette non è veramente e propriamente un sacramento: sia anatema.
2. Se qualcuno afferma che questi stessi sacramenti della nuova legge non differiscono da quelli della legge antica, se non perché sono diverse le cerimonie e i riti esterni: sia anatema.
3. Se qualcuno afferma che questi sette sacramenti sono talmente uguali fra di loro, che per nessun motivo uno è più degno dell’altro: sia anatema (173).
4. Se qualcuno afferma che i sacramenti della nuova legge non sono necessari alla salvezza, ma superflui, e che senza di essi, o senza il desiderio di essi, gli uomini con la sola fede ottengono da Dio la grazia della giustificazione (174), anche se non sono tutti necessari a ciascuno: sia anatema.
5. Se qualcuno afferma che questi sacramenti sono stati istituiti solo per nutrire la fede: sia anatema.
6. Se qualcuno afferma che i sacramenti della nuova legge non contengono la grazia che significano, o che non conferiscono la stessa grazia a quelli che non frappongono ostacolo, quasi che essi siano solo segni esteriori della grazia o della giustizia già ricevuta mediante la fede, o note distintive della fede cristiana, per cui si distinguono nel mondo i fedeli dagli infedeli: sia anatema.
7. Se qualcuno afferma che con questi sacramenti non sempre e non a tutti, per quanto sta in Dio, viene data la grazia, anche se li ricevono nel modo dovuto, ma che viene data solo qualche volta e ad alcuni: sia anatema.
8. Se qualcuno afferma che con i sacramenti della nuova legge la grazia non viene conferita ex opere operato, ma che è sufficiente la sola fede nella divina promessa per conseguire la grazia: sia anatema.
9. Se qualcuno afferma che nei tre sacramenti del battesimo, della confermazione e dell’ordine non viene impresso nell’anima il carattere, cioè un segno spirituale ed indelebile, così che essi non possono essere ripetuti: sia anatema (l75).
10. Se qualcuno afferma che tutti i cristiani hanno il potere di annunciare la parola e di amministrare tutti i sacramenti: sia anatema.
11. Se qualcuno afferma che nei ministri, quando conferiscono i sacramenti, non si richiede l’intenzione di fare almeno quello che fa la chiesa: sia anatema (l76).
12. Se qualcuno afferma che il ministro, quando si trova in peccato mortale - ancorché compia tutto ciò che è essenziale a celebrare e a conferire il sacramento - non celebra e non conferisce il sacramento: sia anatema (177).
13. Se qualcuno afferma che i riti tramandati e approvati dalla chiesa cattolica, soliti ad essere usati nell’amministrazione solenne dei sacramenti, possano essere disprezzati o tralasciati a discrezione senza peccato da chi amministra il sacramento, o cambiati da qualsivoglia pastore di chiese con altri nuovi riti: sia anatema.
CANONI SUL SACRAMENTO DEL BATTESIMO
1. Se qualcuno afferma che il battesimo di Giovanni aveva la stessa efficacia del battesimo del Cristo (178) sia anatema.
2. Se qualcuno afferma che la vera acqua naturale non è necessaria per il battesimo (179) e darà, quindi, un significato metaforico alle parole del signore nostro Gesù Cristo: chi non rinascerà per l’acqua e lo Spirito santo (180): sia anatema.
3. Se qualcuno afferma che nella chiesa romana (che è madre e maestra di tutte le chiese) non vi è la vera dottrina del battesimo (181): sia anatema.
4. Se qualcuno afferma che il battesimo anche se amministrato dagli eretici nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo, con l’intenzione di fare quello che fa la chiesa, non è un vero battesimo (182): sia anatema.
5. Se qualcuno afferma che il battesimo è libero, cioè non necessario alla salvezza (183): sia anatema.
6. Se qualcuno afferma che il battezzato, anche se lo volesse, per quanto pecchi, non può perdere la grazia, a meno che non voglia credere: sia anatema.
7. Se qualcuno afferma che quelli che vengono battezzati in forza dello stesso battesimo sono obbligati solo a credere e non ad osservare tutta la legge del Cristo: sia anatema.
8. Se qualcuno afferma che i battezzati sono liberi da tutti i precetti della santa chiesa, sia scritti che tramandati oralmente, cosi che non sono tenuti ad osservarli, a meno che non si vogliano sottomettere ad essi spontaneamente: sia anatema.
9. Se qualcuno afferma che gli uomini devono essere richiamati alla memoria del battesimo ricevuto in modo che capiscano che tutti i voti formulati dopo il battesimo, in forza della promessa già fatta nello stesso battesimo, sono vani, quasi che con essi si sminuisca la fede, che essi hanno professato, e lo stesso battesimo: sia anatema.
10. Se qualcuno afferma che tutti i peccati che si commettono dopo il battesimo, per il solo ricordo e la sola fede del battesimo ricevuto vengono perdonati o diventano veniali: sia anatema.
11. Se qualcuno afferma che un battesimo valido e legittimamente conferito debba essere ripetuto per chi abbia negato presso gli infedeli la fede di Cristo, quando torna a penitenza: sia anatema.
12. Se qualcuno afferma che nessuno debba essere battezzato, se non all’età in cui fu battezzato Cristo, o addirittura in punto di morte: sia anatema.
13. Se qualcuno afferma che i bambini, poiché non hanno la capacità di credere, ricevuto il battesimo non devono essere considerati cristiani e quindi divenuti adulti, devono essere ribattezzati; o che è meglio omettere il loro battesimo, piuttosto che battezzarli nella fede della chiesa, senza un loro atto di fede (184): sia anatema.
14. Se qualcuno afferma che questi bambini, una volta cresciuti, devono essere interrogati, se intendono confermare quello che i padrini, quando furono battezzati, promisero a loro nome, e che qualora rispondessero negativamente, devono essere lasciati padroni di sé stessi e non devono esser costretti alla vita cristiana con altra pena che con l’allontanamento dall’eucarestia e dagli altri sacramenti, fino a che non si ricredano: sia anatema.
CANONI SUL SACRAMENTO DELLA CONFERMAZIONE
1. Se qualcuno afferma che la confermazione dei battezzati è una vana cerimonia (185), e non, invece, un vero e proprio sacramento o che un tempo non è stata altro che un tipo di catechesi, per cui quelli che si avvicinavano all’adolescenza rendevano conto della propria fede dinanzi alla chiesa: sia anatema.
2. Se qualcuno afferma che ingiuriano lo Spirito santo quelli che attribuiscono una certa efficacia al crisma della confermazione: sia anatema.
3. Se qualcuno afferma che il ministro ordinario della confermazione non è solo il vescovo (186) ma qualsiasi semplice sacerdote: sia anatema.
Decreto secondo: La riforma
Il medesimo sacrosanto concilio, sotto la presidenza degli stessi legati, volendo proseguire la trattazione del problema, già iniziato, della residenza e della riforma, a gloria di Dio e ad incremento della religione cristiana, ha creduto bene stabilire quanto segue, salva sempre in ogni prescrizione l’autorità della sede apostolica.
1. Al governo delle chiese cattedrali non venga assunto se non chi è nato da legittimo matrimonio, ha un’età matura, spicca per serietà di costumi e per la conoscenza delle lettere, conformemente alla costituzione di Alessandro III, che comincia: Cum in cunctis, promulgata nel concilio Lateranense (187).
2. Nessuno, qualunque possa essere la sua dignità, il suo grado, o la preminenza, osi ricevere e tenere nello stesso tempo, contro le disposizioni dei sacri canoni (188), più chiese metropolitane o cattedrali, in titolo o in commenda, o sotto qualsiasi altra forma, dovendosi stimare fortunato colui, che abbia in sorte di reggere bene, fruttuosamente e con la salvezza delle anime a lui affidate, una sola chiesa. Chi poi, contro quanto prescrive il presente decreto, avesse ora più chiese, ne ritenga una sola, quella che preferisce; sia obbligato a lasciare le altre, entro sei mesi, se esse sono a libera disposizione della santa sede, altrimenti, entro un anno. In caso diverso le stesse chiese (eccettuata solo quella che è stata ottenuta per ultima) siano considerate immediatamente vacanti (189).
3. I benefici ecclesiastici inferiori, specie quelli che comportano cura d’anime, siano assegnati a persone degne e capaci, che possano risiedere in luogo ed esercitare personalmente la stessa cura, secondo la costituzione di Alessandro III, che comincia: Quia nonnulli, emanata nel concilio lateranense (190), e l’altra di Gregorio X, che inizia: Licet canon, emanata nel concilio generale di Lione (191). Il conferimento o la provvisione fatta in altro modo sia assolutamente nulla e l’ordinario collatore sappia di incorrere nelle pene previste dalla costituzione del concilio generale, che inizia con le parole: Grave nimis (192).
4. Chiunque, in futuro, credesse di poter ricevere e ritenere nello stesso tempo più benefici con cura d’anime o altri benefici incompatibili, sia per mezzo di una unione a vita, sia in commenda perpetua, o con qualsiasi altra denominazione o titolo, contro le prescrizioni dei sacri canoni, e specialmente della costituzione di Innocenzo III, che inizia: De multa (193), sia privato, in conformità di quanto prescrive la stessa costituzione ed in forza del presente canone, degli stessi benefici.
5. Gli ordinari locali costringano severamente quelli che hanno più benefici con cura d’anime o altri benefici ecclesiastici incompatibili, a mostrare le proprie dispense e procedano del resto secondo la costituzione di Gregorio X, emanata nel concilio generale di Lione, che comincia: Ordinarii (194), e che questo santo sinodo crede dover rinnovare e di fatto rinnova. Esso aggiunge inoltre che gli stessi ordinari provvedano senz’altro con la designazione di vicari idonei e l’assegnazione di una congrua parte dei frutti, perché in nessun modo venga trascurata la cura delle anime, e gli stessi benefici non manchino assolutamente del servizio dovuto. In ciò, non serviranno a nulla né gli appelli, né i privilegi, né le esenzioni di qualsiasi natura, anche con intervento di giudici speciali per impedire queste disposizioni.
6. Le unioni perpetue, fatte negli ultimi quarant’anni, possono essere esaminate dagli ordinari come delegati della sede apostolica e quelle che sono state ottenute con sotterfugi o con inganni siano dichiarate nulle. Quelle invece che, concesse da quel tempo in poi, hanno ottenuto solo in parte il loro effetto ed anche quelle che saranno fatte in seguito ad istanza di chiunque, salvo il caso di motivi legittimi o comunque ragionevoli - motivi da verificarsi dinanzi all’ordinario locale, convocati gli interessati - si considerino ottenute con sotterfugi, e quindi (se la sede apostolica non dichiarerà diversamente), non abbiano nessun valore.
7. I benefici ecclesiastici con cura d’anime, uniti e annessi in perpetuo alle cattedrali, alle collegiate o ad altre chiese e monasteri, benefici, collegi o luoghi pii di qualsiasi tipo, siano visitate ogni anno dagli ordinari locali; essi procureranno con sollecitudine che, con vicari adatti, anche perpetui (a meno che agli ordinari stessi non sembri opportuno far diversamente per il buon governo delle chiese), destinando ad essi la terza parte delle rendite o con una porzione maggiore o minore a giudizio degli stessi ordinari, - da prelevarsi sempre da un cespite certo - venga esercitata lodevolmente la cura delle anime. Ogni appello, ogni privilegio, ogni esenzione, anche con intervento dei giudici e con loro ingiunzione, non avrà nessun effetto.
8. Gli ordinari locali siano tenuti, ogni anno, a visitare con autorità apostolica tutte le chiese in qualsiasi modo esenti (195) e a provvedere con gli opportuni rimedi giuridici che quelle bisognose di restauro siano riparate, e non siano affatto private né della cura delle anime, se è annessa ad esse, né degli altri servizi loro dovuti. Gli appelli, i privilegi, le consuetudini, anche se stabilite da tempo immemorabile, e le ingiunzioni dei giudici sono del tutto esclusi.
9. Quelli che sono stati promossi alle chiese maggiori, ricevano la consacrazione entro il tempo stabilito dal diritto (196); proroghe concesse oltre sei mesi non siano riconosciute ad alcuno.
10. Non è lecito ai capitoli delle chiese, durante la vacanza della sede, concedere ad alcuno, entro un anno dal giorno della medesima, la facoltà di ordinare o le lettere dimissorie o reverende (come alcuni le chiamano), sia in base al diritto comune (197), sia in forza di qualsiasi privilegio o consuetudine, a chi non è costretto dall’occasione di un beneficio ecclesiastico ricevuto o da ricevere.
Se accade diversamente, il capitolo che contravviene sia sottoposto all’interdetto ecclesiastico e quelli che sono stati ordinati in questo modo, se hanno ricevuto gli ordini minori, siano esclusi da qualsiasi privilegio clericale, specie nelle questioni criminali; se sono stati costituiti negli ordini maggiori, siano sospesi ipso iure dall’esercizio di essi, a giudizio del prelato che verrà.
11. Le facoltà per essere ordinati da chiunque non saranno valide se non per quelli che hanno una legittima causa, per cui non possono essere ordinati dai propri vescovi; causa che deve essere esposta per iscritto. Ed in questo caso, non vengano ordinati se non da un vescovo che risieda nella sua diocesi, o da chi ne sia stato delegato, e non senza previo diligente esame.
12. Le facoltà di non promuovere, eccetto i casi espressamente previsti dal diritto (198), valgono solo per un anno.
13. Quelli che fossero stati presentati, eletti o nominati da qualsivoglia persona ecclesiastica, anche nunzi della sede apostolica, non siano nominati, confermati o ammessi a nessun beneficio ecclesiastico, neppure col pretesto di qualsiasi privilegio o consuetudine, anche se stabilita da tempo immemorabile, se prima non sono stati esaminati dagli ordinari locali e trovati idonei. E nessuno creda di potersi esimere dal subire questo esame, servendosi dell’appello. Sono tuttavia eccettuati coloro che sono stati presentati, eletti, o nominati dalle università o dai collegi degli studi generali.
14. Nelle cause degli esenti, sia osservata la costituzione di Innocenzo IV, che inizia: Volentes, emanata nel concilio generale di Lione (199), che lo stesso sacrosanto sinodo crede di dover rinnovare e rinnova. E aggiunge che nelle cause civili circa le paghe di persone povere i chierici secolari, o i regolari che vivono fuori del monastero, in qualsiasi modo esenti, anche se hanno un determinato giudice assegnato alle parti dalla sede apostolica, o nelle altre cause se non hanno lo stesso giudice possono esser chiamati dinanzi agli ordinari locali, come delegati in ciò dalla stessa sede apostolica, e esser obbligati e costretti a pagare il debito secondo il diritto comune. I privilegi, le esenzioni, le designazioni dei conservatori e le loro proibizioni contro quanto abbiamo premesso, non serviranno a nulla.
15. Gli ordinari abbiano cura che gli ospedali di qualsiasi genere vengano governati dai loro amministratori, comunque essi si chiamino ed in qualsiasi modo esenti, con fedeltà e diligenza, secondo la forma della costituzione del concilio di Vienne, che comincia: Quia contingit (200). Lo stesso santo sinodo intende rinnovare e rinnova questa costituzione, con le deroghe che essa contiene.
Indizione della futura sessione.
Questo sacrosanto sinodo ha pure stabilito e ordinato che la prossima futura sessione debba tenersi e celebrarsi il giovedì, feria quinta dopo la prossima domenica in Albis, che sarà il giorno 21 aprile del presente anno 1547.
SESSIONE VIII (11 marzo 1547)
Decreto sul trasferimento del concilio.
Vi piace stabilire e dichiarare che dalle premesse e dagli altri allegati risulta chiara e notoria questa malattia così che i prelati non possono rimanere in questa città senza pencolo per la loro vita, e che, quindi, non possono esservi trattenuti contro la loro volontà? Considerata, inoltre, la partenza di molti prelati dopo l’ultima sessione, e le proteste di moltissimi altri nelle congregazioni generali i quali per timore della malattia se ne vogliono andare senz’altro, e giustamente non possono esser trattenuti, ma per la cui partenza il concilio si scioglierebbe o il suo buon andamento sarebbe impedito dall’esiguo numero dei presenti; considerato anche l’imminente pericolo di vita e gli altri motivi allegati da alcuni padri nelle stesse congregazioni generali, che sono notoriamente veri e legittimi, vi piace stabilire e dichiarare che per la salvezza e il proseguimento dello stesso concilio, per la sicurezza della vita dei prelati, il concilio deve essere temporaneamente trasferito nella città di Bologna - come nel luogo maggiormente preparato, sano, idoneo - e che vi si trasferisca fin da questo momento, ed ivi il giorno 21 aprile, come stabilito, debba celebrarsi la sessione già indetta, e si proceda, successivamente, alla trattazione delle altre questioni, fino a che al santissimo signore nostro e al sacro concilio non sembrerà che lo stesso concilio possa e debba esser riportato in questo o in altro luogo; consultato anche l’invittissimo Cesare, il re cristianissimo e gli altri re e principi cristiani? [Risposero: Ci piace].
SESSIONE IX (21 aprile 1547)
Decreto di proroga della sessione.
Questo sacrosanto, ecumenico concilio generale, già riunito nella città di Trento ed ora legittimamente riunito a Bologna nello Spirito santo, presiedendo in esso, - a nome del santissimo padre in Cristo e signore nostro Paolo III, per divina provvidenza papa, - gli stessi reverendissimi signori Giammaria Del Monte, vescovo di Palestrina, e Marcello, presbitero del titolo di Santa Croce in Gerusalemme, cardinali della santa chiesa romana, e legati apostolici de latere, considerando che il giorno 11 del mese di marzo del corrente anno, nella sessione pubblica generale, celebrata nella stessa città di Trento e nel luogo consueto, compiuto secondo l’uso tutto quello che doveva compiersi, per cause imminenti, urgenti e legittime, con l’intervento anche dell’autorità della santa sede apostolica, concessa in modo speciale ai reverendissimi presidenti, stabilì e comandò che si dovesse trasferire il concilio da quel luogo a questa città, come in realtà lo trasferì, e che la sessione indetta lì per il presente giorno 21 di aprile (perché fossero sanciti e promulgati i canoni riguardanti i sacramenti e la riforma di cui aveva proposto la trattazione) dovesse celebrarsi in questa stessa città di Bologna.
Considerando ancora che alcuni dei padri, solitamente presenti in questo concilio, occupati, nei giorni passati della settimana santa e della solennità di Pasqua nelle proprie chiese o trattenuti da altri impedimenti, non sono ancora venuti, - tuttavia si può sperare che tra breve saranno qui -; e che, quindi, le materie stesse dei sacramenti e della riforma non hanno potuto essere esaminate e discusse con quella partecipazione di prelati che lo stesso santo sinodo avrebbe desiderato; affinché tutto sia compiuto con matura riflessione e con la dovuta dignità e serietà, ha creduto e crede bene, opportuno ed utile, che la predetta sessione, che - come accennato - avrebbe dovuto esser celebrata in questo stesso giorno, debba esser rimandata e prorogata al giovedì tra l’ottava di Pentecoste per trattare le stesse materie. Esso ha considerato e considera quel giorno come estremamente adatto per portare a termine la cosa e come comodissimo per i padri, specialmente assenti.
Aggiunge, tuttavia che lo stesso santo concilio potrà restringere e ridurre quel termine a suo arbitrio e volontà anche in una congregazione privata, in relazione al buon andamento del concilio.
SESSIONE X (2 giugno 1547)
Decreto di proroga della sessione.
Questo sacrosanto concilio ecumenico e generale, per alcuni motivi (e specialmente per l’assenza di alcuni padri, che sperava che potessero esser presenti tra breve), credette bene di differire e prorogare a questo giorno la sessione che avrebbe dovuto aver luogo il 21 di aprile ultimo scorso, sulle materie dei sacramenti e della riforma, in questa illustre città di Bologna, secondo il decreto promulgato nella città di Trento, in pubblica sessione, il giorno 21 di marzo.
E tuttavia, volendo mostrarsi ancora benigno con quelli che non sono venuti, lo stesso sacrosanto sinodo, legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza degli stessi cardinali della santa chiesa romana, legati della sede apostolica, ha stabilito e disposto che la stessa sessione, che aveva deciso doversi celebrare in questo 2 giugno del presente anno 1547, sia rimandata e prorogata, per la trattazione delle predette e di altre materie, al giovedì dopo la festa della natività della beata Maria vergine. Durante questo tempo non sia interrotta la discussione e l’esame delle materie relative sia ai dogmi che alla riforma, e lo stesso santo concilio possa abbreviare e prorogare a suo arbitrio e volontà, anche in una congregazione privata, questo stesso termine.
SESSIONE XI (10 maggio 1551)
Decreto di riapertura del concilio.
Reverendissimi e illustrissimi signori reverendi padri credete opportuno, a lode e gloria della santa ed indivisa Trinità, Padre, Figlio e Spirito santo, per l’incremento e l’esaltazione della fede e della religione cristiana, che il sacro concilio ecumenico e generale di Trento debba riprendere secondo la forma e il contenuto delle lettere del santissimo signore nostro, e che si debba procedere oltre? [Risposero: sì].
Indizione della futura sessione.
Reverendissimi e illustrissimi signori reverendi padri, credete opportuno che la prossima, futura sessione si debba tenere e celebrare il 10 settembre futuro? [Risposero: sì].
Note
172. Cfr. Concilio fiorentino, decreto per gli Armeni (v. sopra) c. 9, X, V,
7 (Fr 2, 780).
173. Cfr. c. 8, D. II, de cons. (Fr 1, 1317).
174. Cfr. Sessione VI, decreto sulla giustificazione, cap. 7 e can. 9 (v.
sopra).
175. Cfr. Concilio fiorentino, decreto per gli Armeni (v. sopra).
176. Ibidem.
177. Cfr. Concilio di Costanza, Sessione VIII, art 4 di G. Wicliff (v. sopra).
178. Cfr. AGOSTINO, In Io. evang., V, 18 (C Chr 36, 51); Ench.
48 (PL 40, 255 seg.); cc. 39 e 135 D, IV. de cons. (Fr 1, 1375 e 1406).
179. Cfr. c. 5, X, III, 42 (Fr 2, 647).
180. Gv 3, 5.
181. Cfr. c. 9, X, V, 7 (Fr 2, 780).
182. Cfr. AGOSTINO, Contra ep. Parm., II, 13 (CSEL 51, 77-79); C. I, q. 1
(Fr 1, 393).
183. Cfr. Gv 3, 5; AGOSTINO, De peccat. meritis, I, 23 (CSEL 60,
32-33): c. 142, D. IV, de cons. (Fr 1, 1408).
184. AGOSTINO, De peccat. meritis, I, 25 (CSEL 60, 35-37); c. 139, D. IV,
de cons. (Fr 1. 1407).
185. Cfr. Concilio Arausicano, I (441), c. 2 (Msi 6, 435).
186. Cfr. Concilio fiorentino (v. sopra).
187. Concilio Lateranense III, c. 2 (COD, 212).
188. Cfr. c. 2, D. LXX (Fr 1, 257).
189. Cfr. il decreto concistoriale di Paolo III (18.II.1547), in CT V, 981.
190. Concilio Lateranense III, c. 13 (COD. 218).
191. Concilio di Lione II, c. 13 (v. sopra).
192. Concilio Lateranense IV, c. 30 (v. sopra).
193. Concilio Lateranense IV, c. 29 (v. sopra).
194. Concilio di Lione II, c. 18 (v. sopra).
195. Cfr. cc. 1O-12, C. X, q. 1 (Fr 1, 615).
196. Cioè entro tre mesi, cfr. concilio di Calcedonia, c. 25 (v. sopra).
197. Cfr. c. 3, I. 9. in VI (Fr 2, 975).
198. Cfr. Concilio di Lione II, c. 13 (v. sopra).
199. In verità fu edita da Innocenzo IV dopo il concilio.
200. Concilio di Vienne. c. 17 (COD, 374-376).