Stefano IX
Stefano IX (1057-58), designato non più dall'imperatore germanico, ma dal clero e dal popolo romano
A s. Leone IX succedette, Vittore II (1055-57), nominato dall'imperatore, del quale era stato cancelliere. Dopo il suo breve pontificato fu eletto Stefano IX (1057-58), designato non più dall'imperatore germanico, ma dal clero e dal popolo romano.
Fu una reazione assai significativa contro il cesaropapismo imperiale che, se aveva ridato dignità al papato romano, lo aveva anche reso funzionale alla propria politica. Dal 962, da quando cioè Ottone I aveva restaurato l’impero di Occidente, il papa era stato quasi sempre designato dal re di Germania, finché a partire dal 1046 fino al 1057, erano stati nominati, successivamente, papi sei vescovi tedeschi.
Talvolta l’aristocrazia romana aveva tentato di sottrarre al re di Germania il conferimento della tiara, ma erano comunque i laici a nominare, mentre il clero -cui doveva essere riservata la parte principale- era stato escluso dell’elezione.
Stefano IX, fratello del duca di Lorena e abate di Montecassino, aveva da tempo avversato l'ingerenza del potere temporale negli affari della Chiesa. Vero è che, dopo l'elezione, fu mandato il suddiacono romano Ildebrando a chiedere l'approvazione imperiale.
Papa Stefano IX proseguì la riforma ecclesiastica, iniziata dai suoi predecessori; e, a tal fine, chiamò a far parte del governo della Chiesa l'eremita Pier Damiano, priore di Fonte Avellana, che nominò vescovo di Ostia, ponendolo a capo del collegio cardinalizio. Quello di Stefano IX fu un pontificato breve, durò appena otto mesi.
Durante quei mesi comparve però il trattato Adversus simoniacos. Ne era autore Umberto di Silva Candida , nominato cardinale nel 1049, da Leone IX e, al tempo di papa Stefano IX, il personaggio più in vista della Chiesa romana.
In questo trattato si definisce il programma dei riformatori avversari del cesaropapismo imperiale. Umberto, trattando dell'eresia simoniaca, denuncia l'usurpazione di prerogative puramente ecclesiastiche fatta dal potere laico; condanna il suo intervento elezioni vescovili; considera come invalida la consacrazione del vescovo che ha comperato la cattedra e, a differenza di san Pier Damiani, che si accontenta di imporre a quelli che hanno mancato severe penitenze e la rinuncia alle loro funzioni, Umberto nega ogni valore agli ordini conferiti da un vescovo simoniaco. Una posizione, contestabile dal punto di vista canonico e che rischiava di far diminuire notevolmente il clero.
Il suo programma: liberare l'episcopato da ogni ingerenza dei laici e ritornare alle vecchie norme di elezione, fatta dal clero e dal popolo, con l’approvazione del metropolita e il consenso del signore. In quel momento invece praticamente erano i signori che designavano il vescovo. Bisognava tornare alle vecchie norme di elezione: ecco il programma enunciato dal card. Umberto, sotto il pontificato di Stefano IX.