Rinnovamento della vita monastica
Nel monachesimo si assiste ad una serie di riforme del tutto spontanee: l'iniziativa non parte dall'imperatore, né dal papa, ma da vescovi, o da principi laici
Si tratta di riforme indipendenti le une dalle altre: ma i loro ispiratori sembrano collegati da vincoli comuni.
La vita monastica si rinnova
Tali iniziative prendono forma concreta in raccolte scritte di norme consuetudinarie, caratterizzate da elementi comuni, malgrado le frontiere politiche che separano i paesi.
La prima di queste riforme, in ordine di tempo, è quella di Cluny, in Aquitania. L’altro centro di riforma fu Gorce, nei pressi di Metz, in Lotaringia.
La riforma cluniacense
In questo consistette la riforma cluniacense, nel riprendere l'opera di s. Benedetto di Aniano (+817), il secondo fondatore dell'ordine benedettino che aveva riproposto ai monaci la fuga mundi.
La fuga dal mondo fu appunto la strada intrapresa dal rinnovamento religioso di Cluny, fondato nel 910 dal duca Guglielmo Pio di Aquitania, presso Macôn nella Borgogna.
Per garantire l'indipendenza di quella casa religiosa, consacrata alla preghiera, il duca donò il monastero, con tutti i suoi beni allodiali -liberi e quindi esenti da imposte feudali- agli apostoli Pietro e Paolo e ai pontefici romani i quali ne erano costituiti protettori. La Santa Sede gli garantì l’immunità. Unico onere: ogni cinque anni i monaci pagheranno 10 soldi alla tomba degli apostoli, per il mantenimento delle lampade e così beneficieranno della custodia degli Apostoli e la protezione del papa. Il che comportò l’esclusione di intromissioni esterne da parte del dominio laico (non però da quella del vescovo di Mâcon) e soprattutto, la libera elezione dell’abate, principio fondamentale della regola benedettina.
Questi sentimenti devoti del conte Guglielmo garantirono il patrimonio del monastero e il rispetto della Regola.
Non meno importante la scelta del primo abate, Bernone, uno dei più attivi restauratori della disciplina monastica del tempo.
Proveniva da una abbazia dove si osservava la regola ripristinata da Benedetto di Aniane e la sua fama di santità attirò numerose vocazioni. L'abate Bernone procurò così di popolare quel monastero di monaci per i quali rimise in vigore le antiche tradizioni benedettine: canto dei salmi, osservanza del silenzio, austero regime dei pasti e del vestiario, disprezzo della proprietà privata, obbedienza e castità.
Al b. Bernone (+926) succedette Sant'Oddone (926-942), più colto e più sensibile ai problemi della vita spirituale. Quest’ultimo fu il vero propagatore della riforma.
Sotto di lui il monastero acquistò fama universale: vero figlio di s. Benedetto, fu insieme un mistico e un uomo di azione. Come asceta, non si risparmiava le più dure mortificazioni né le più umilianti penitenze; come uomo infiammato dal desiderio di conquistare le anime, lottò per accrescere la famiglia monastica e per mantenerla nello spirito del fondatore. Per guadagnare gli uomini alla causa di s. Benedetto, Oddone condusse la vita errante degli apostoli percorrendo le strade di Francia e d'Italia, di monastero in monastero per restaurare dappertutto la disciplina di s. Benedetto.
Semplice il metodo: in tutte le comunità, dove si fermava con i monaci di Cluny che lo accompagnavano, egli cercava di appoggiarsi ai vecchi religiosi di migliore spirito. Ogni mattina radunava il capitolo per commentarvi o farvi commentare la regola. Quindi lasciava in quella casa alcuni cluniacensi, che proseguissero la sua opera, ma vi ritornava di tanto in tanto, al fine di giudicarne i risultati ottenuti e di stimolarne il fervore.
L'ordo cluniacensis, cioè la maniera particolare che si seguiva a Cluny nell'interpretazione della regola benedettina, aveva come base il silenzio, la preghiera, il lavoro. La regola benedettina raccomandava il silenzio, Bernone obbligò i suoi frati a corrispondere fra di loro per gran parte della giornata soltanto per mezzo di segni. L'impiego del tempo era poi minuziosamente regolato.
Molti furono i monasteri dove Oddone ristabilì la disciplina, applicando la regola benedettina che gli altri trascurano o calpestano, in tutto il suo rigore: assoluta obbedienza all'abate, una degna celebrazione della preghiera corale e della liturgia, una severa disciplina ascetica e una piena separazione dal mondo esterno. Oddone agì soprattutto sulla Borgogna e sull'Aquitania. Ma esercitò la sua azione anche in Italia.
Fu Alberico a introdurre a Roma la riforma di Cluny, nominando Oddone archimandrita di tutti i monasteri esistenti a Roma e nei dintorni; così che Oddone ebbe la cura di S. Paolo, S. Maria sull'Aventino, S. Lorenzo e Sant'Agnese. Riformò pure Subiaco e Sant'Elia presso Nepi. Ma non andò in porto la riforma dell'abbazia di Farfa. Mentre nel nord Italia guadagnò alla riforma: Pontida, Milano, Pavia, Susa, Caramagna, Savigliano, S. Benedetto in Polirone.
Nel 931 Oddone ottenne da Giovanni XI un privilegio che poneva il monastero di Cluny sotto la protezione dell'apostolo Pietro e il papa riconobbe al monastero piena immunità, con libertà di elezione dell'abate.
Il Concilio di Calcedonia nel 451 (can. 4) aveva sottoposto i monaci alla vigilanza del vescovo diocesano; con Cluny l'esenzione, cioè la liberazione dalla giurisdizione, specie dal potere giudiziario di vescovi corrotti, diviene ora uno strumento di riforma. Se però, all'inizio, l'esenzione fu un bene per molti monasteri, nel tardo Medioevo darà origine a grandi inconvenienti e sarà uno degli ostacoli maggiori per un'efficace riforma. Va qui distinta dall'esenzione, la cosiddetta libertas romana, cioè la dipendenza dalla protezione papale, che appare a partire dal sec. IX-X e in forza della quale molte abbazie si trovarono "in iure et proprietate beati Petri": chiese proprie del papa dal quale ricevevano una speciale protezione e, in cambio, erano tenute a pagare una tassa annua.
Per facilitare il compito dell'abate di Cluny il pontefice permise infine che uno stesso abate sia capo di altri monasteri e formi monaci per altre case religiose.
Così Cluny divenne il centro di una rete di monasteri dipendenti. Tra i doveri dell'abate quello di venire a Roma per pagare il censo di ricognizione sulla tomba dell'Apostolo. Per Oddone questi viaggi ad limina furono occasioni di propaganda.
La forza dei monasteri, che avevano aderito alla riforma di Cluny, sta appunto nell'unione e nell'immediata dipendenza da Roma. Il privilegio di esenzione concesso da Giovanni XI, nel 931, a Cluny venne esteso a tutte le fondazioni che avevano aderito alla riforma.
Alla morte di Oddone, la missione di compiere la riforma monastica fu proseguita da Aimaro che, divenuto cieco nel 948, fu coadiuvato da san Maiolo il quale poi gli succedette (954-994). Sotto il governo di quest'ultimo i monasteri che subirono l'attrattiva di Cluny si fece più consistente e per l'Italia vanno ricordate le abbazie di Pavia e di Ravenna.
Maiolo scelse, come suo successore, Sant'Odilone che divenne abate nel 994; durò fino al 1049. Durante il suo governo i monasteri, in cui si esercitava l'influenza di Cluny, passarono da 37 a 65; a questi bisogna aggiungere una moltitudine di cellae sparse in Francia, Germania, Spagna, Inghilterra, Polonia e persino in Oriente.
Tre le categorie di quanti abitavano il monastero: monaci (coloro che hanno pronunciato i voti), novizi quanti si preparano alla professione), conversi (non pronunciavano i voti solenni ed erano esclusi dalle funzioni direttive) e oblati (laici).
L’espansione cluniacense proseguì con il suo successore Ugo (1049-1109) il quale, da Leone IX, ottenne la conferma di tutte le precedenti concessioni. All’epoca, la comunità contava parecchie migliaia di monaci e di monache: solo a Cluny i monaci erano più di 400; e molti monasteri ospitavano due o trecento monaci. Dopo Ugo l’espansione cluniacense si arrestò. Nella prima metà del secolo XII ci furono difficoltà, rientrate però sotto Pietro di Montboissier, detto il Venerabile (1122-1157), che ristabilì la pace e rimise ordine nella congregazione.
Il movimento cluniacense fu una riforma dall’interno del monachesimo benedettino che raggiunse il massimo splendore nel secolo XI, facendo da battistrada ad altre riforme del clero e della società del tempo. A sua volta l'ideale monastico si rinnovò attraverso la via dell'anacoretismo e del rilancio del cenobitismo, con esperienze animate da nuovo entusiasmo.
S. Nilo
Le prime pesanti critiche all'ordinamento monastico costituito erano venute da uomini come Nilo il giovane di Rossano, in Calabria, il quale, dopo aver esercitato il ministero ecclesiastico ordinario, verso il 980 si ritirò a vita eremitica.
Per molti anni praticò un ascetismo severo, dedicando la sua giornata alla preghiera, alla lettura di libri edificanti e alla copiatura di manoscritti. La fama della sua santità fece accorrerre molti discepoli per i quali compose una regola ispirata alla spiritualità basiliana e improntata alla vita eremitica. Verso il 980, s. Nilo abbandonò Rossano e si trasferì a S. Michele di Valleluce, nei pressi di Montecassino, dove fondò un secondo monastero.
Quindi, nel 995, fondò un terzo monastero a Serperi di Gaeta. Poco prima di morire (+1005) fondò, sui colli Albani, il nucleo primitivo dell'abbazia di S. Maria di Grottaferrata, in seguito particolarmente favorita dai pontefici e tuttora abitata da monaci basiliani di rito greco. L'opera di s. Nilo aveva dimostrato come si potessero riunire degli anacoreti per formare una comunità diretta da una guida e organizzata secondo una regola.
S. Romualdo e i Camaldolesi
Nella Chiesa latina il cenobistismo eremitico fu attuato, la prima volta e in maniera del tutto originale, da s. Romualdo (+1027), nobile ravennate.
Egli era monaco nel monastero benedettino di S. Apollinare in Classe, appena fuori dalla sua città; ma non trovando qui modo per soddisfare le sue aspirazioni spirituali si fece eremita. Per qualche tempo andò errando da un luogo solitario all'altro, poi si stabilì nel monastero catalano di S. Michele di Cuxa.
Meditando sugli scritti di Cassiano e dei Padri del Deserto e dei grandi maestri della vita monastica, giunse alla conclusione che la vita eremitica costituisse il vertice dell'esperienza monastica. Tornato in Italia, fondò nella regione ravennate e in quella appenninica -e più tardi anche in Istria- dei monasteri bipartiti, formati da un convento vero e proprio -in cui i monaci lavoravano e pregavano in comune, dedicandosi soprattutto agli studi- e da un eremo ove ogni religioso viveva isolato nella mortificazione e nella preghiera, con il solo obbligo di prendere i pasti con gli altri. Questi ultimi, appunto i monaci eremiti, si dedicavano esclusivamente alla preghiera, alla penitenza e al silenzio: isolati e protetti dal mondo dai confratelli, cui sono delegate, sotto il controllo del superiore dell'eremo, tutte le inevitabili cure e funzioni di carattere economico e amministrativo. La vita cenobitica diviene così funzionale, in una organica integrazione, alla conquista della perfezione ascetica.
Tra gli eremi fondati da s. Romualdo, quello Camaldoli collegato all'ospizio di Fontebuono, eremo che nel sec. XI divenne sede dalla Congregazione Camaldolese, un'unione di eremi e cenobi non rigidamente inseriti in una struttura di dipendenze organizzate, ma depositari di una larga autonomia nella comune fedeltà alla regola benedettina e alle consuetudini. Queste, dette Eremiticae regulae, furono redatte nel 1080 da Rodolfo, IV priore di Camaldoli, codificando l'insegnamento orale, sino ad allora seguìto del maestro Romualdo.
S. Pier Damiano a Fonte Avellana
S. Romualdo aveva anche fondato il monastero di Fonte Avellana, presso Gubbio, dove Landolfo, uno dei suoi discepoli, un giorno accettò Pier Damiano (+1072), un giovane ravennate che aveva insegnato a Parma ed era stato monaco benedettino.
Divenuto priore dell'eremo di S. Croce di Fonte Avellana nel 1043, Pier Damiano, che succedeva a Landolfo, non solo fu fedele allo spirito di s. Romualdo, di cui scrisse la vita, ma obbligò i suoi monaci a un'austerità ancor più dura.
Egli fu teologo del movimento eremitico: al suo influsso si deve tra l'altro la diffusione della flagellazione nei monasteri. Nominato da Stefano IX, nel 1057, cardinale vescovo di Ostia, si mise a servizio della riforma della Chiesa, divenendo il martello della simonia. Sotto la guida di s. Pier Damiano la fondazione avellanita, accolta sotto la protezione della santa Sede, divenne centro di una Congregazione cui aderirono eremi e cenobi, mantenutasi autonoma fino alla metà del XVI secolo, quando venne assorbita in quella camaldolese
Vallombrosani
Contemporaneo di s. Pier Damiano fu Giovanni Gualberto (+1073) che, da S. Miniato di Firenze, dove era abate, nel 1039 si ritirò a Vallombrosa (a 30 km. da Firenze) per fondarvi un monastero analogo per struttura a quelli di s. Romualdo, al fine di accostare la vita cenobitica a quella eremitica.
Il piccolo eremo ben presto fu trasformato in cenobio da dove uscì un movimento destinato a una crescita rapida e feconda. Organizzatosi in congregazione, riconoscito da Urbano II nel 1090, l'ordine assunse una struttura ispirata al modello cluniacense, ma dove i singoli monasteri, governati da propri abati, conservavano una posizione di reciproca parità giuridica
I monaci, dediti alla contemplazione e animati da una severità schiettamente eremitica, diedero la loro disponibilità ad agire all'interno della società civile, appoggiando movimenti di origine popolare, come il moto degli umiliati, contro eretici e simoniaci.
Certosini
Simile nell'ispirazione ai grandi eremiti, s. Bruno di Colonia, nel 1084, aveva fondato la Chartreuse (Chartusia) sopra Grenoble, da cui l'appellativo di certosini noti per la loro vita rigorosa. Ai monaci era riservata la preghiera, la contemplazione e la trascrizione dei codici; ai laici il lavoro materiale. Costoro, che si erano attribuito il titolo di indigni et inutiles pauperes Christi, vivevano in grande rigidezza, vestivano di bianco e abitavano in piccole celle addossate al muro del chiostro, ma distanti fra di loro e circondate da un piccolo chiostro. La svolta alla grande Charteuse fu data da Guido, quinto priore (+1136). Questi, dopo aver dato l'avvio nel 1115 alla fondazione delle prime certose (tutte lontano dalle città e in remote contrade del contado rurale, per reazione contro i potenti capitoli e le grandi chiese cittadine: contro le ricche fondazioni monastiche, situate all'interno o in prossimittà della città), redasse le Consuetudines, cioè le consuetudini della Chartreuse, atteso il fatto che s. Bruno non aveva lasciato nessuna regola scritta. Le consuetudines, prima regola scritta dell'ordine, furono completate nel 1271 con l'inserimento dei decreti e dei capitoli generali promulgati durante il trascorso secolo e mezzo; sono questi gli Antiqua Statuta cui furono apportate aggiunte nel 1368 (Nova Statuta) e nel 1509 (Tertia compilatio). All'epoca della Tertia compilatio, la Congregazione aveva raggiunto l'apogeo numerico, con 196 certose, di cui 100 in Francia e 41 in Italia. San Bruno aveva fondato un altro monastero in Calabria, Serra S. Bruno di Catanzaro, che però assunse una fisionomia diversa dalla Grande Chartreuse con la quale non ebbe rapporti fino al al 1514. Suprema autorità dell'ordine è il capitolo generale che periodicamente -di norma ogni anno- riunisce tutti i priori dell'ordine alla Grande Chartreuse per la continuità e la stabilità dell'Ordine certosino. Benemerito per la produzione di scritti ascetici e teologici l'ordine si vanta di non aver mai avuto bisogno di una vera e propria riforma. In realtà, anche tra i certosini si è verificato l'adattamento delle consuetudini o delle costituzioni alle nuove esigenze: si è avuto cioè lo stesso fenomeno che altrove diede origine alle congregazioni riformate; ma, grazie alla chiaroveggenza e all'autorità dei capitoli generali, si è evitata la nascita di gruppi separati.
I Cistercensi
Altra congregazione monastica, di indirizzo riformistico, fu quella dei cistercensi, egualmente dovuta all'opera di un monaco riformatore, Roberto di Molesme, che si ispirò agli ideali di povertà e di fuga dalla vita secolare e fu animato dallo spirito d'uno stretto ritorno all'ideale evangelico, sul modello della chiesa primitiva.
L'Ordine dei cistercensi prese l'avvio da Roberto di Molesme, nato verso il 1028, nella Champagne, da una famiglia appartenente alla nobiltà.
Nel 1043 entrò nell'abbazia di Montier-la-Celle, presso Troyes; poco dopo la sua professione e ancora assai giovane ne divenne priore. Nel 1070 lo richiesero, come abate, di monaci di s. Michele di Tonnerre, ma per un contrasto con la comunità, nel 1071 si dimise andando a guidare un piccolo gruppo di eremiti nella foresta di Collan, quindi tornò a Montier-la-Celle. Ma gli eremiti di Collan, avendo esercitato pressioni su Gregorio VII ottennero, nel 1074, che Roberto di nuovo tornasse fra loro. Sembrandogli la vita troppo blanda, dopo un anno Roberto passò alla foresta di Molesme, in Borgogna, dove fondò un monastero con norme ispirate a quelle di Cluny. Ad un certo punto la comunità si divise: alcuni volevano proseguire l'ideale eremitico; altri volevano il regime cenobitico tradizionale; altri pensarono che detto regime cenobitico tradizionale poteva essere rinnovato.
Nel 1098, quando la tensione si fece più aspra, Roberto si mise alla testa dei riformatori e con loro -19 in tutto- lasciò la comunità fondando, il 21 marzo di quell'anno, il "nuovo monastero" -così si chiamò all'inizio- nei pressi di Digione, in una zona disabitata e paludosa, nota come Cîteaux (da cistels, giunchi, zona paludosa, Exordium parvum, II). Ma i monaci di Molesme, dopo essersi accordati con il Legato, e con i vescovi di Langres e di Châlon, fecero intervenire papa Urbano II, costringendo Roberto a tornare nel suo monastero (1099) e affidando ad Alberico l'incarico di governare Citeaux, con l'assistenza di Stefano di Harding (Exordium parvum, VI).
S. Alberico, già priore di Molesme, fu il secondo abate di Citeaux (1099-1109). La secessione, autorizzata dal legato papale e che aveva dato l'avvio ai cistercensi, era stato un movimento di monaci professi -per lo più sarcerdoti- e di fratelli conversi, assertori di un ritorno alla rectitudo regulae, movimento sorto in funzione polemica nei confronti dei cluniacensi.
I primi cistercensi ritenevano che la regola cassinese contenesse già tutto quanto esigeva la pratica di un'ascesi aspra e dura, a condizione di essere interpretata nella forma più rigorosa possibile e mirando a farne una guida per una vita di estrema mortificazione e di cenobitismo totale. Successivamente, per giustificare la loro condorra, i cistercensi risalirono anche oltre la regola di s. Benedetto, richiamando in vita lo spirito più severo del monachesimo prebenedettino e spesso invocando il modello egiziano o orientale, fino a invocare l'intero Vangelo, come esempio per la loro vita. Il che significava che avrebbero seguito Cristo nella povertà, semplicità e perfezione di vita e questo sarebbe diventato il nuovo modello, in contrasto con il vecchio e non ancora riformato monachesimo di Cluny.
I cistercensi miravano a concentrarsi su un'evangelica imitazione di Cristo. Vennero così aboliti i costumi monastici "incompatibili" con la regola di s. Benedetto: si perseguì povertà e semplicità nei paramenti e negli arredi liturgici; furono aboliti i redditi di tipo feudale imponendo ai monaci di vivere con il lavoro delle proprie mani. Ma poiché i monaci venivano a trovarsi nell'impossibilità di adempiere alle funzioni liturgiche nei periodi in cui si rendeva necessario il lavoro dei campi, si decise di ammettere all'ordine dei conversi il cui compito principale consisteva nel provvedere al lavoro agricolo, necessario alla sopravvivenza della comunità.
Per la nuova fondazione Alberico chiese a Pasquale II la protezione apostolica e il pontefice gliela concesse con bolla 'Desiderium quod' (19. 10. 1100). E' il cosiddetto privilegio romano (Exordium parvum, VIII). Dopo di che i monaci di Citeaux redassero i primi statuti i quali si trovano nel cap. XV dell'Exordium parvum.
Dopo la morte di Alberico i monaci elessero, a terzo abate, Stefano di Harding (1109-1133), che allora ricopriva la carica di priore.
Inglese e di nobile famiglia, era nato intorno al 1059. Giovane di talento, studiò a Parigi e a Reims quindi, insieme a Pietro, suo coetaneo, fece un pellegrinaggio a Roma, durante il quale visitò anche due grandi centri di riforma monastica, Camaldoli e Vallombrosa. Tornati in Borgogna, giunsero all'abbazia di Molesme dove fecero il loro ingresso nel 1085, rimanendovi fino al 1098 quando si trasferirono a Citeaux. Quivi Stefano fu eletto priore e quindi terzo abate.
L'abate Stefano promosse lo scriptorium, provvide a una revisione della Bibbia e alla riforma litugica (1109), ma fu soprattutto uno zelatore della povertà, elminando qualsiasi lusso e superfluità dal culto e dalla chiesa. Ma, come riferisce il cap. XVI dell'Exordium parvum, e ancora il cap. II dell'Exordium Cistercii, la tristezza affliggeva l'istituto per mancanza di vocazioni, atteso il rigore penitenziale dei monaci di Cîteaux e per la carestia che che colpì il monastero dal 1109 finché, nel 1112, fecero l'ingresso in monastero una trentina di novizi guidati dal giovane Bernardo, il che provocò un repentino mutamento delle cose.
Quell'ingresso in massa di giovani, guidati da san Bernardo, avvenuto nel 1112, fu seguito da altri per cui, continuando ad affluire novizi, l'abate Stefano, convinto di non poter conservare le virtù del cenobitismo in una comunità troppo numerosa, decise di fondare altri monasteri affiliati all'abbazia madre.
Nel giro di alcuni mesi nacquero così i cenobi di La Ferté-sur-Grosne, nel 1113; di Pontigny, nel 1114; di Clairvaux (1115) e di Morimond (1115): le cosiddette abbazie madri dell'Ordine.
Per regolare le relazioni di queste nuove fondazioni (figlie) con l'abbazia-madre di Citeaux, l'abate Stefano, con i confratelli, intorno al 1118-9, scrisse la Carta caritatis et unanimitatis la quale fu approvata ufficialmente, nella sua prima stesura, da papa Callisto II (23. 12. 1119).
Questo testo, insieme agli Instituta monachorum cistercensium de Molismo venientium e agli Instituta generalis capituli apud Cistercium, costituiscono l'antica legislazione dell'Ordine cistercense. Si accetta il principio di affiliazione, già presente nell'abbazia di Molesme, si stabiliscono i diritti dell'abate fondatore (padre immediato) il quale visita l'abbazia-figlia annualmente, ne prende cura in tempo di sede vacante, presiede la nomina del nuovo abate e lo conferma, soccorre la figlia nel caso che venga a trovarsi in difficoltà economiche. Altro pilasto di Citeaux è il capitolo generale annuale, nel quale gli abati dell'Ordine, sotto la presidenza dell'abate di Citeaux, "trattano della salvezza delle proprie anime, ordinano se qualcosa v'è da correggere o da aumentare nell'osservanza della s. Regola o dell'Ordine, fomentano fra loro il bene della pace e della carità".
La Carta caritatis, oltre a stabilire che la congregazione cistercense doveva essere una federazione di abbazie, dispone che queste siano uguali tra loro e reciprocamente vincolate dallo stesso amor di Dio e dalla stessa regola. Con i cistercensi si ha per la prima volta una precisa organizzazione costituzionale di tutto l'Ordine, in una vera e propria congregazione monastica. I cistercensi sono pertanto il primo vero ordine monastico nella Chiesa: vi è un'unica catena di autorità diretta all'esterno di Cîteaux alle case madri aggiunte, fondate di volta in volta.
C'è un sistema di affiliazione, la quale richiede che ciascuna casa madre visiti regolarmente le sue figlie: la Charta caritatis prescrive infatti che i monasteri, derivati attraverso filiazioni dalle abbazie già esistenti, vengano visitati annualmente dall'abate del monastero fondatore e tutti gli abati si riuniscano ogni anno a Cîteaux, sede dell'abate generale, in un capitolo generale cui competeva il diritto supremo della sorveglianza e della legislazione.
Stefano divenne così l'autentico organizzatore dell'ordine cistercense -il primo Ordine propriamente detto- con un programma chiaro e con una salda organizzazione e come tale fu presentato come modello per tutti gli Ordini dal concilio Lateranense IV (1215).
Bernardo cui, in qualità di abate, venne affidato il monastero di Clairvaux, non si occupò più di tanto dell'organizzazione interna del suo Ordine. Si accontentò di applicare e sviluppare i principi fissati dall'abate Stefano nella Charta caritatis. Mentre fu grazie a Bernardo che i cistercensi si diffusero con rapidità straordinaria. Alla sua morte, nel 1153, l'Ordine contava ormai più di 350 monasteri e Clairvaux era il centro che aveva dato vita al maggior numero di fondazioni.
Assertori di una completa fuga mundi -i monasteri dei cistercensi, come si legge nelle costituzioni dell'Ordine, dovevano essere costruiti solo in luoghi deserti: che siano fuori della frequentazione della gente- primo passo in questa vita per raggiungere la contemplazione era non tanto la meditazione, come presso i certosini, ma la sottomissione ad esercizi durissimi, ivi compresa la pratica del lavoro manuale nelle grandi aziende agricole. Suo scopo è quello di imporre al corpo, mediante la fatica, un regime di durezza e di abnegazione che rende più facile dominarlo.
In campo artistico, l'architettura cistercense mirò ad edificare costruzioni semplici, chiese e chiostri scarsamente ornati per conservare un ambiente caratterizzato da una nudità povera; mentre l'organizzazione economica dei cistercensi, in grange erette nei poderi lontani dall'abbazia e per lo più in prossimità di corsi d'acqua, fu una delle meraviglie del secolo XII. I cistercensi si interessavano anche alle tecniche di coltivazione e si dimostrarono bravi agronomi, esperti nel miglioramento dei suoli, su cui si erano insediati sì da produrre tutto quello di cui avevano bisogno
La seconda generazione dei cisterscensi venne a trovarsi sotto la decisiva influenza di s. Bernardo, abate di Clairvaux dal 1115 al 1153. Con lui e dopo di lui la partecipazione dell'ordine negli affari pubblici della Chiesa e dello Stato fu decisamente notevole.
Il che portò ben presto i monaci bianchi, detti così dal loro abito, a contraddire l'invito alla solitudine e alla fuga mundi, proprio del loro ideale originario, poiché la personalità e la prodigiosa attività dell'abate di Clairvaux, le sollecitazioni del papa e gli eventi del tempo finirono per assegnare ai cistercensi compiti che non erano specificamente monastici e che li obbligavano a vivere lontano dalle loro abbazie. In compenso divenne l'Ordine più stimato di tutta la cristianità. Dalla metà del secolo XII uscirono dalla congregazione numerosi vescovi che innalzarono il livello spirituale dell'episcopato e numerosi monaci furono incaricati dalla Santa Sede per missioni straordinarie, fino ad affidare loro la lotta contro gli eretici alla quale però non erano intellettualmente preparati, per cui fallirono nella lotta all'eresia catara.
San Bernardo era nato nel 1090 a Fontaine-lés-Dijon, a 2 km da Digione. Suo padre Tescelino -uno dei più notevoli vassalli del duca di Borgogna- e sua madre Aletta -figlia di un potente feudatario borgonese- ebbero sette figli -sei maschi e una donna- e Bernardo era il terzogenito. Fanciullo, andò alle scuola tenuta dai canonici secolari dove però, a quanto sembra, frequentò solo il trivium, troppo limitate sono infatti le sue conoscenze nelle discipline scientifiche del quadrivium.
Portato al raccoglimento, che dispone alla contemplazione, Bernardo, in una notte di natale, durante il sonno, ebbe la visione dolcissima del Bambin Gesù (Vita I, c. 2, n. 4) lasciando una traccia profonda nel suo animo e creando, fin dai primi anni, uno dei principali soggetti della pietà del Santo. La morte precoce della madre (1 settembre 1107) fu poi forse una delle ragioni che orientò la pietà del giovane verso la Madre celeste, altro grande tema della spiritualità bernardiniana.
Nel 1111, a quattro anni dalla morte della madre, Bernardo lascia il mondo e si ritira nella casa di Châtillon dove, in breve, lo raggiungono tutti i fratelli e vari congiunti. L'anno dopo trenta persone entrano con lui a Cîteaux. Lo stesso Tescelino finirà cistercense.
Eletto nel 1115 abate di una nuova fondazione, Bernardo -insieme a dodici compagni- si scelse per il suo monastero una vallata solitaria, nella diocesi di Langres, non lontana dall'Aube, detta Clara Vallis o Clairvaux, nel territorio del conte di Troyes. Il nuovo abate ricevette la benedizione e forse anche l'ordinazione presbiterale dal vescovo di Châlons-sur-Marne, Guglielmo di Champeaux, uomo insigne nel mondo filosofico e teologico del tempo e che rimarrà legato a Bernardo da stretta amicizia.
Nel 1115 Bernardo aveva 25 anni: da quel momento fino al 20 agosto 1153, giorno della sua morte, Bernardo per 38 anni, rimase abate di Chiaravalle.
Nei primi anni dell'abbaziato si dedicò ai problemi di vita monastica, tanto da fare di Chiaravalle un modello di vita monastica e un centro di attrazione. Il numero di coloro che volevano farsi monaci fu tale da obbligare Bernardo a sempre nuove fondazioni: realizzò ben 68 "figlie" di Clairvaux.
Per vocazione un contemplativo, fu tuttavia costretto dalle necessità del tempo a intervenire in una serie di vicende importanti. Nel 1119 ebbe inizio la polemica con i Cluniacensi che Bernardo intendeva richiamare a più rigida e letterale osservanza della regola di s. Benedetto. Durante quella polemica ebbe origine la singolare amicizia fra Bernardo e l'abate di Cluny, Pietro il venerabile. Nel 1130, durante lo scisma papale, di Innocenzo II e di Anacleto II, esponenti di due opposte fazioni cittadine, Bernardo si schierò dalla parte di Innocenzo II, contro Anacleto II, lavorando a lungo per fargli ottenere il riconoscimento. Vinse la battaglia a sostegno di Innocenzo II, impedendo lo scisma e convincendo Anacleto II a rinunciare all'opposizione.
A Sens, nel 1140, Bernardo difese la purezza delle fede, contro le deviazioni teologiche di Pietro Abelardo. Nel 1145 accompagnò in Linguadoca il card. legato Alberico, inviato in missione per sgominare i catari e i seguaci dell'eresia dei pietrobrusiani. Sostenne inoltre la vera riforma della Chiesa, opponendosi ai programmi rivoluzionari di Arnaldo da Brescia il quale, con la sua veemente predicazione contro le ricchezze e a favore della assoluta povertà della Chiesa, affiancava e favoriva la ribellione del Comune di Roma.
L'elezione, nel 1145, di Eugenio III, discepolo di Bernardo, accrebbe ulteriormente l'influsso dell'abate di Clairvaux sulla vita ecclesiastica divenendo, di fatto, il centro di raccordo e di propulsione della vita ecclesiastica. Negli anni 1146-47, dal pontefice, è incaricato di predicare la seconda crociata, quella provocata dalla caduta di Edessa (1144) e che ebbe adesioni in Francia e Germania il cui re, Corrado III, sarà indotto dalla parola di Bernardo a prendere la croce. Nel 1148, al concilio di Reims, presente Eugenio III, Bernardo ha la parte direttiva nella tentata condanna delle dottrine trinitarie di Gilberto Porretano, vescovo di Poitiers. Il 20 agosto 1153, all'ora terza, Bernardo muore a Clairvaux, consumato dalla malattia e dalle austerità.
Strenuo difensore dell'ortodossia religiosa e dell'autorità ecclesiastica, agli occhi dei contemporanei s. Bernardo è un santo. Si comincia a scrivere la sua legenda mentre è ancora in vita. Nel 1163 il culto di Bernardo viene introdotto a Clairvaux. Nel 1174, il papa Alesandro III lo canonizza.
In Italia il modello cistercense diede vita a due movimenti particolaristici: quello dei guglielmiti, formatisi attorno al sepolcro dell'eremita Guglielmo di Malavalle, nel Grossetano, morto nel febbraio 1157 e la riforma florense attuata da Gioacchino da Fiore (+ 1202, Fiora, in Calabria).
In Gioacchino da Fiore, figura 'profetica' trovano la loro espressione più tipica e matura quelle ardenti istanze di rinnovamento spirituale e di purificazione ascetica che nella spiritualità popolare andavano suscitando fermenti di rigenerazione morale e di attesa escatologica, preludendo per tanti aspetti alla spiritualità francescana.
Gioacchino era un asceta che, dopo un pellegrinaggio in Terrasanta e un periodo di eremitismo in Sicilia, giunse prima alla vita monastica benedettina e poi cistercense, finché a S. Giovanni in Fiore, all'interno delle montagne della Sila Cosentina, diede vita a una nuova congregazione cistercense riformata (Ordo florensis).
Povertà e austerità di vita furono le caratteristiche della nuova fondazione. E l'Ordo, protetto largamente da Gregorio IX, aggregò attorno a sé una quarantina di fondazioni poste nel sud fino al centro Italia. La congregazione florense si sarebbe ancor più ampliata se non fosse stata bloccata poi dall'espandersi dei mendicanti.
L'abate Gioacchino, però, si fece trascinare da una speculazione imprudente, per cui cadde nell'errore del triteismo e così incappò nelle condanne del Concilio Lateranense IV (1215) che, nel can. 2, dichiarò eretico un suo scritto, per noi perduto, "De unitate Trinitatis".
Il nome di Gioacchino da Fiore è però legato soprattutto alle speculazioni sul corso della storia del mondo e della Chiesa e sulle sue profezie di carattere apocalittico-riformatorio. Tre gli scritti fondamentali dove espose queste idee: Concordia Novi et Veteris Testamenti, Expositio in Apocalypsim e Psalterium decem chordarum. Gioacchino pone al centro della sua teologia della storia non la Cristologia -come si era fatto fino ad allora- ma la Trinità. Alle tre Persone in Dio fece corrispondere tre diverse epoche (status) della storia della salvezza.
L'età anteriore al Cristo, o età del Padre, determinata dalla lettera della legge e della carne è l'epoca degli sposati e dei laici. L'età cristiana o età del Figlio (42 generazioni di 30 anni ciascuna, secondo Matteo 1,17) rappresenta uno stadio intermedio fra lo spirito e la carne, è l'epoca dei chierici. Infine la terza ed ultima età, è l'età dello Spirito Santo e dei monaci: lo sarà a partire dal 1260, quando l'Evangelium Eternum (Apoc. 14, 6) cioè una superiore interpretazione spirituale (intelligentia spiritualis) dei due Testamenti sarà predicata da un nuovo Ordine monastico (Ordo iustorum) e la corrotta Chiesa della carne allora cederà il posto alla perfetta Chiesa dello Spirito.
Altre congregazioni
Mentre si cercava di riformare il monachesimo benedettino dall’interno (Cluny, Citeaux, Vallombrosa etc.), fecero la comparsa e si svilupparono, tra i secoli XI e XII, altri tipi di monachesimo che diedero vita a piccole congregazioni.
Tra quelle sorte sulla base della regola benedettina vanno ricordati i Boni homines di Grandmont, cioè i discepoli di Stefano di Thiers-Muret che si diffusero in Francia e in Inghilterra.
Stefano di Thiers, dopo un pellegrinaggio a S. Nicola di Bari, durante il quale prese contato con eremiti italo-greci, quindi iniziò a Muret, vicino a Limoges, una fondazione di tipo eremitico, evoluta poi verso forme cenobitiche. Trasferita dopo la sua morte (1124) nel vicino Granmont, la comunità si stabilizza, ispirandosi alla sua dottrina spirituale, con una propria regola fissata ad opera del quarto priore Stefano di Lisiac (1139-1163). Tale regola intende ispirarsi essenzialmente al Vangelo. Questa comunità prefigura i frati minori, poiché i religiosi rinunciano a sé stessi, e in base alla regola non possono possedere né terre -fuori dei limiti del deserto- né chiese, né armenti; e in caso di bisogno ricorrono alla mendicità.
Nel frattempo monaci, eremiti, predicatori itineranti, davano vita ad altri movimenti:"Pauperes Christi" si dissero i seguaci di Roberto d'Arbrissel (+1117) predicatore penitenziale itinerante.
Egli andava a piedi scalzi, con capelli e barba lunghissimi, vestito poveramente, un movimento del tutto estraneo allo spirito benedettino, nonostante che fosse stata adottata la regola di s. Benedetto. Fontevrault (fons Ebraldi), presso Angers nel Nord della Francia, fondato nel 1100-1110, fu la sede dell'Ordine. Per i suoi seguaci uomini e donne, che rinunciavano a tutti i beni del mondo per seguire il loro maestro nelle sue continue peregrinazioni, istituì monasteri doppi caratterizzati da una rigida penitenza. Per onorare la Madre di Dio, la direzione di tutti i monasteri, anche quelli maschili, spettava alla badessa di Fontevrault. Come l'ordine di Grandmont anche questo fu sopresso dalla rivoluzione francese.
Veri pauperes Christi si denominarono i discepoli di s. Norberto di Xanten, proveniente da una famiglia comitale tedesca di Xanten.
S. Norberto, dopo aver peregrinato in qualità di predicatore nel Reno inferiore e in Francia (+1134), fondò nella valle di Prémontré, un monastero di chierici premostratensi o norbertini dal loro fondatore che conducevano una vita rigidamente ascetica. Costoro, che seguivano la regola agostiniana con elementi mutuati anche dalle consuetudini di Cluny e dagli statuti di Cîteaux, a differenza degli altri Ordini anteriori, si impegnarono nella predicazione, nel ministero parrocchiale e in opere caritative, come gli ospitali: un'attenzione alla cura animarum che li distingue dall'Ordine benedettino e dalla sue ramificazioni le quali miravano alla santificazione individuale dei monaci attraverso la preghiera e il lavoro nel monastero. Al pari dei Cistercensi anche i Premostratensi si misero a disposizione del papato come validi aiuti per il conseguimento dei suoi compiti e scopi politico-ecclesiatici e religioso-disciplinari.