Riforma imperiale della Chiesa
Emerge la tendenza a emancipare la Chiesa dal potere secolare e a rinnovarla
Alla morte di Ottone III, il governo della Germania passò a suo cugino Enrico II, che fu incoronato imperatore a S. Pietro nel 1014. Preoccupatissimo della riforma della Chiesa, per combattere i due grandi mali che affliggevano il clero (matrimonio, o semplice concubinato e simonia), con l’appoggio di papa Benedetto VIII (1012-1024), egli tenne sinodi riformatori in Germania e, per la sua influenza, anche in Francia, sotto Roberto il Pio, nel 1031, si tennero sinodi.
E' la cosiddetta riforma imperiale: vi emerge la tendenza a emancipare la Chiesa dal potere secolare e a rinnovarla riproponendo gli antichi decreta patruum sulla disciplina ecclesiastica, motivo caratteristico di tutto il movimento di riforma del secolo XI.
Enrico morì nel 1024 e gli succedette Corrado II di Franconia che fu incoronato nel 1027 da papa Giovanni XIX (1024-1033). Fu in questa occasione che si decise che a Roma e nei territori soggetti alla Chiesa vigesse nelle cause il diritto romano, non quello longobardo.
A Corrado II, che, a differenza del suo predecessore, aveva dimostrato poco zelo per la riforma, successe nel 1039 il figlio Enrico III. Egli si fece attribuire dal popolo romano il titolo di patricius romanorum, arrogandosi il diritto di esercitare un influsso decisivo nell'elezione dei papi, come fino ad allora avevano fatto i conti di Tuscolo, subentrati alla famiglia dei Crescenzi, i quali avevano spadroneggiato su Roma.
Era accaduto che papa Benedetto IX (Teofilatto dei conti Tuscolo), per l'opposizione del partito della riforma, aveva rinunciato (1044). Si contesero allora il papato Gregorio VI e Silvestro III (vescovo di Sabina, antipapa), ambedue eletti nel 1044. Il giovane imperatore, circondato dalla fama di essere l'avversario della simonia, convocò a Sutri, il 20 dicembre 1046, un sinodo per processare i due ex pontefici e lo stesso papa legittimo che aveva deciso di deporre, così come in precedenza aveva fatto deporre, nel concilio di Aquisgrana, l'arcivescovo di Ravenna Widgero.
Accusato di simonia, considerata colpa pari a quella dell'eresia, Gregorio VI (1044-146) fu deposto dal sinodo che si concluse a Roma, in S. Pietro dove, per designazione dell'imperatore fu eletto, su proposta dell'abate di Cluny, come nuovo papa, Suidgero, vescovo di Bamberga, con il nome di Clemente II (1046-1047). Questi, nel 1047, tenne a Roma un sinodo in cui furono emanati decreti contro la simonia.
Sino a Gregorio VII seguirono altri papi, non romani, eletti da diete imperiali in Germania, i quali si dimostrarono zelanti per la riforma.
A Damaso II (1047-48), successe san Leone IX (1049-1054), cugino dell'imperatore che tenne sinodi e consolidò le basi per una riforma vera e universale, circondandosi di uomini, che maggiormente la promossero. Figure di spicco della riforma furono Umberto, monaco di Moyenmoutier e dotto canonista, eletto vescovo di Silva Candida e s. Pier Damiano, monaco ed eremita, promosso -da Stefano IX- cardinale-vescovo di Ostia; non figura in primo piano, inizialmente, Ildebrando (il futuro Gregorio VII), che allora aveva l'incarico di suddiacono e tesoriere della Chiesa romana.
Leone IX viaggiò molto per presiedere grandi sinodi destinati a restaurare la disciplina e i costumi nella Chiesa. Nel 1049 celebrò sinodi a Roma, Pavia, Toul presso Aquisgrana, Reims, Magonza. Negli anni 1050-1051 si reca in Alsazia, sua patria. Ritornato in Italia, si reca in visita nell’Italia meridionale, tenendo un Concilio a Montesantangelo al Gargano. A pasqua è di nuovo a Roma e, alla fine d’aprile, tiene un sinodo dove vengono condannati gli errori di Berengario sull’eucarestia: questi ammetteva la presenza reale di Cristo nell’eucarestia, ma negava la dottrina della transustanziazione, così come veniva spiegata da Pascasio che minimamente si era posto alcuna domanda sulla natura e sul divenire degli accidenti eucaristici. Nel 1052 intraprese un grande viaggio oltr’Alpi, per raggiungere Enrico III e chiedergli aiuto a favore della politica che intendeva svolgere nel Mezzogiorno d’Italia contro i Normanni che, stanziati tra Napoli e Capua, si davano a devastazioni, seminando ovunque terrore. Contro costoro, nel maggio del 1052 Leone IX organizzò una spedizione militare, di cui prese il comando; ma, privo di rinforzi bizantini, fu sconfitto a Civitella sul Fortore dai cavalieri normanni che, il 23 giugno, lo condussero prigioniero a Benevento, dove rimase sei mesi (autunno e inverno). Quindi, poco prima di pasqua, ritornò a Roma dove poco dopo morì, subito venerato come santo (19 aprile 1054).