TESTIMONIANZE CRISTIANE

 

Conosciamo e crediamo

 

STORIA DELLA CHIESA

 

PENETRAZIONE DEI POPOLI GERMANI NELL'IMPERO

         

                 L'età di mezzo, che introduce alla moderna ed è la necessa­ria preparazione della nostra civiltà, si suddivide in alto e basso Medioevo. L'alto Medioevo è il periodo della lenta fusione degli elementi romani e degli elementi germanici sotto l'influsso del cri­stianesimo. Le forze por­tanti del Medioevo cristiano sono:

                1 - La migrazione dei popoli germa­nici la quale, da un lato, frantuma l'im­pero romano d'Occidente, dall'al­tro, fa sorgere nuovi stati ger­manici.

                2 - La Chiesa occidentale, cioè la­tina, così come si era ve­nuta formando fin nel V secolo e come conti­nuava a svilupparsi: (a) per evoluzione interna; (b) come erede della civiltà antica.

                3 - I nuovi popoli germanici ancora giovani e suscettibili di evoluzione e il loro ingresso nella Chiesa cattolica.

               

                 La crisi del mondo Romano, già in atto dal secolo III, in campo econo­mico, poi in campo istituzionale  e poli­tico, precipitò con le invasioni  barbariche, già iniziate nel secolo IV e divenute ormai irresistibili nel sec. V.

                Le invasioni,  anche se meno brutali di quanto si è preteso, furono una penetrazione -in parte pacifica e in parte violenta- che por­tò disordine, parziale distruzione del passato, ar­resto dell'attività  e guerre tra Romani e i nuovi ve­nuti. I dissidi dei capi barbari, il crollo dell'amministrazione pre­cedente rendono inesistente il governo cen­trale e sottopongono i deboli allo sfruttamento dei potenti locali. L'economia si restringe; cade il commercio, solo ormai esercitato da stranieri (orientali, ebrei, siri). La ci­viltà romana decadde mentre si preparava un nuovo mondo in un nuovo quadro geografico.

                I barbari erano stati attratti dall'Europa, specialmente dal­l'Occi­dente, o spinti verso di esso. Il Mezzogiorno attira i Germani del Nord e l'Europa i no­madi d'Asia.

                Gli Unni, scacciati dalla Cina si affacciano al Volga nel 355, e a loro volta spingono i Visigoti a ol­trepassare il Danubio (375) e il limes dell'Impero cede. Dal 395, con Alarico, passano in Grecia e nell'Illirico. Nel 401 sono in Italia. Nel 402 Stilicone li batte a Pollenza. Di nuovo in Italia nel 408, saccheggiano Roma nel 410. Dal 414 al 19 si stabiliscono in Spagna, passando per la Gallia. Tra il 466-84  la Spagna è intera­mente conquistata dai Visigoti ariani.

                I Vandali, provenienti dall'O­der, sono in Gallia nel 406; nel 409-11 in Spagna; nel 427 traver­sano lo stretto e sono a Cartagine nel 429. L'anno dopo, mentre Ippona è assediata muore s. Agostino. Nel 455 guidati da Genserico met­tono Roma a sacco. Un gruppo di Alani, spinti dagli unni verso Occidente, dal 350 si asso­ciano ai vandali, seguendoli dal 409 al 416 verso la Gallia e l'A­frica. I Burgundi, stanziati già sul Meno, nel 413 attraversano il Reno, passati nella regione bel­gica, sono sconfitti da Ezio nel 437; nel 443 parte di essi ottiene di stabilirsi nella regione del lago di Ginevra.

                 I Franchi, già fissati nella Gallia del nord dal 350, al mo­mento delle grandi invasioni sono al di qua dei limes e considerati come fede­rati dell'impero; fra il 418 e il 420 cedono anche essi di­nanzi agli Unni e verso il 420 si trovano stanziati nella regione tra la Senna e la Mosa. Nel 496 Clodoveo, con i suoi Franchi, dopo aver battuto gli Alemanni a Tolbiac si converte al cattolicesimo, ma il loro cattolicesimo era poco più di una vernice: erano rimasti infatti ancora profondamente pagani; la vera cristianizzazione avvenne nel secolo VII e fu il risultato di un'azione missionaria attuata: (nella fase merovingia) da autorevoli membri del clero franco-gallico, come il vescovo Eligio di Noyon (588-606) cui si affiancarono missionari irlandesi giunti sul continente, come il monaco pellegrino Colombano (543-615).

                Gli Svevi, al ter­mine dello loro mi­grazioni, si fissano in Galizia e in parte del Portogallo.

 

1 - Le due culture

 

                Mondo romano e mondo germanico hanno fisionomie  di­verse. Nel mondo romano il concetto predominante è quello di ci­vis, membro cioè di un robusto organismo, lo Stato, la cui legge, territoriale, ga­ran­tisce ordine e pace a tutti.

                Nel mondo germanico prevale il concetto di arimanno, uomo libero che sa difendersi con le armi. Vincoli di sangue e di forza raccolgono gli individui in vil­laggi  e tribù il cui capo (Köning) ha qualche importanza solo nel caso di guerra. Non vi è co­dice, né si­stema penale, né sviluppo di proprietà privata.

                Il cristia­nesimo, lentamente,  favorì l'avvici­namento e la fusione dei due mondi già av­versari e costituì il lie­vito di una nuova civiltà europea che si venne faticosamente elabo­rando nei secoli dell'alto Medioevo; da questa fusione tra popoli diversi ha avuto appunto origine la cul­tura occi­dentale.

                I popoli germanici che, a seguito del grande movi­mento di migra­zione verso sud-ovest,  abbandonando il nomadismo, erano en­trati a far parte del mondo romano e si erano convertiti al cristianesimo, ma nella confessione ariana.

                Il cristianesimo per i Visigoti, gli Ostrogoti, i Vandali e per gli al­tri popoli germanici fu nuova fede religiosa e nuova forma culturale. Merito di Ulfila, nipote di cristiani di Cappadocia fatti prigio­nieri, il quale dai Goti fu inviato con un'amba­sceria in territorio romano. Ordinato ve­scovo da Eusebio di Costantinopoli,  assertore dell'a­rianesimo, Ulfila, rientrato tra i suoi, dal 341 al 383 diede vita ad un'attività di evangelizzazione  e di fondazione  cultu­rale. Creò un alfabeto ed una lingua letteraria traducendo in gotico la Bibbia.

                Le invasioni nei territori italiani portarono sconvolgi­menti e distruzioni, ma dal punto di vi­sta confessionale  ci fu tolleranza tra i goti invasori e dominatori e la popolazione cat­tolica. Ciò si verificò, in modo particolare, sotto Teodorico (489-526).

 

                Le invasioni barbariche, deviate verso l'Occidente più indi­feso, la­sciano l'Oriente indipendente, ma l’obbligarono a ripiegarsi su se stesso, mentre l'Occi­dente, dopo aver cercato di respingere debolmente i barbari, dovette accettare, in definitiva, di fondersi con loro.

                In seguito alle loro incursioni, i barbari avevano finito in­fatti con lo stabilirsi in tutte le regioni dell'ex-Impero Romano d'Occi­dente: i Visigoti nella Spagna, i Vandali in Africa nord-occi­dentale,  gli Svevi in Galizia,  i Franchi, gli Alamanni e i Burgundi dal Belgio alla Provenza,  i Sassoni, gli Angli e i Giuti in Inghilterra,  gli Ostrogoti e poi i Longobardi in Italia.

 

                Odoacre, generale sciro che proveniva dal Norico, si trovava in Italia come capo delle truppe mercenarie quando, nel 476, depose Romolo Augustolo, ultimo imperatore dei romani; non volle però creare un nuovo imperatore e così riconobbe l’imperatore di Oriente, Zenone (474-92), limitandosi  a governare come re dei barbari che erano in Italia.

                In occidente, con la depo­sizione  di Romolo Augustolo, se in teoria si era tornati a un solo im­peratore e i capi barbari si presentavano come suoi mandatari, battendo moneta con la sua effigie, di fatto era caduta l'unità  delle istituzioni  ammini­strative,  sostituite da un misto di istitu­zioni romane e germaniche. Da parte sua Odoacre fu ucciso nel 493 da Teodorico (+ 526) che divenne signore d’Italia, come re dei Goti, mentre riconosceva a Costantinopoli una supremazia di onore. Teodorico fu rispettoso della civiltà e delle istituzioni romane, ma inesorabilmente la cultura occidentale si andava barba­rizzando e, dimentica del greco, non riusciva più a dialogare con gli orientali. Mentre la società orientale, dove fino ad Eraclio (610-641) non si introdu­ssero impor­tanti modificazioni istituzionali, si ellenizzava e si orientalizzava, rin­negando le tradi­zioni latine.

                La divisione territoriale delle due parti dell'antica Romania sarà completata dall'incunearsi  degli Slavi, nei Balcani, tra Oriente e Occidente, nel secolo VII; il mondo mediterraneo, unifi­cato da Roma, sarà spartito tra Occidente, Bisanzio e Islam.

                Anche l'unità religiosa si rallenta: i contrasti, già assai frequenti, rad­dop­piano di numero e di intensità, facilitati  dall'ignoranza vi­cendevole della lingua -greco o latino- dalla diversificazione sempre più pro­nun­ziata di mentalità: popoli, riti e regole disciplinari.

                Detti con­trasti si manifesteranno in questioni dottrinali -monofisismo e querela delle immagini- e giurisdizionali: mentre la Chiesa d'O­riente è sot­toposta al­l'imperatore,  il patriarca di Costantinopoli, come ve­scovo della "nuova Roma", pretenderà l'uguaglianza con quello dell'antica Roma, o la supe­riorità su di esso.

 

2 - La riscossa bizantina

 

                Nel VI sec. l' Impero romano sussisteva di fatto solo in Oriente. Ma con Giustiniano  (527-565)  l'impero di Oriente ristabi­lisce l'autorità romana in Italia e nell'Africa latina.

                Nel 534 tra­monta il regno dei Vandali i quali avevano portato quasi all'annien­tamento delle circa tre­cento chiese cattoliche. Poi è la volta dell'I­talia: nel 552 Narsete sconfigge Totila e l'anno successivo  con la guerra greco-gotica assoggetta il resto dell'Italia a Giustiniano I, imperatore bizantino (527-565), per cui nel 553 tramonta il regno degli Ostrogoti. La riscossa bizan­tina, ri­conquistando gran parte dei territori italiani e africani, aveva po­sto fine ad ogni tentativo di far prevalere l'ariane­simo. Ma la ri­conquista dei territori italici durò lo spazio del regno di Giustiniano. I bizantini si erano infatti dimostrati più avidi del barbaro ostrogoto.

                Il tentativo di Giustiniano di ristabilire l'unità politica, cultu­rale e religiosa dell'antica Romania, con il suo fallimento, sarà la migliore prova dell'impossibilità di risalire una tale corrente di evoluzione sto­rica. Neppure le sue conquiste politi­che, limitate al litorale, sussiste­ranno: l'Italia, il litorale africano e iberico, ricon­qui­stati dal 533 per opera dei suoi generali Belisario e Narsete, ca­dranno in grande parte, nel periodo di un secolo, sotto l'occupa­zione di Arabi, Longobardi e Visigoti. Non solo lo sforzo era stato superiore alle possibilità dell'O­riente, ma l'i­deale, che lo aveva gui­dato, non era condiviso che da pochi: una vera incompa­tibilità di­videva i due mondi.

                Dal 568 al 698 l'Impero bizantino, indebolito, pure difendendosi aspramente, perderà, oltre alle regioni che aveva riconquistato, an­che la Siria, la Mesopotamia, l'Egitto e la Cirenaica; sarà ristretto all'Italia Meridionale, la Sicilia, la Grecia, la Macedonia.

                Neppure l'unità religiosa  è rinsal­data: ristabilita da Giustiniano nel 519, sarà di nuovo rotta nel 640 e tutto porterà a un sempre maggiore distacco tra il nuovo Occidente e l'Impero di Bisanzio.

                Il ciclo evolutivo della tendenza separatista tra Oriente e Occidente si chiuderà nell'VIII-IX  secolo, sotto i Carolini quando, in Occidente, il papa, "supremo vigila­tore", strinse alleanza con la potenza secolare più im­portante dell'Occidente,  i Franchi.

                 Sotto i Carolini, dopo che il papato si era volto definitiva­mente verso i barbari, viene restaurato l'Impero, un nuovo Impero Occidentale costituito dai popoli germanici, impero che finisce per co­stituire sempre più un'entità culturale e spirituale autonoma, mentre le controversie religiose -questione del filioque- con­ti­nuano, preparando la separazione totale, anche esterna con l'O­riente. In questa fase sto­rica, dapprima è il potere politico (in par­ticolare l'Impero franco-tede­sco) che predomina nei confronti del papato.

                E' questo  il primo Medioevo che va dal 750 al 1050. Questo si svolge in due pe­riodi: l'epoca della civiltà carolingia; l'età degli Ottoni (impero tedesco).

                I due periodi sono sepa­rati dal "saeculum ob­scurum" (fine del sec. IX sino alla metà del X). Alla base del pre­dominio politico sta l'idea riconosciuta, anzi promossa (emblematica è la formula, per grazia di Dio) dalla Chiesa della di­gnità sacrale del re, più tardi imperatore franco e poi tedesco i quali, insieme al supremo sa­cerdozio, hanno il compito di guidare la Chiesa. Si tratta di un predominio, sullo sfondo però di un duali­smo: Papa e Imperatore; Sacro-Impero. Il motivo imme­diato del predominio imperiale poggia sul fatto che l'imperatore possiede la spada; e costituisce il braccio seco­lare su cui la Chiesa si appoggia per avere sicurezza economica e poli­tica. Si trattò comunque di un dualismo assai dinamico dove i poli erano in concorrenza fra di loro per cui, una volta assicurata nella sua esi­stenza, la gerarchia avanzerà la sue pretese: un atteggiamento che porterà a una nuova fase, quella che ha inizio quando il papato, con la riforma di Cluny e di Gregorio VII, pone in primo piano nuovi punti di vista circa il rapporto dei due poteri, radicalizza e avanza pretese pri­maziali già preparate da Leone I e Gelasio I. Ebbe così inizio la fase più acuta della lotta per la libertà e il predominio. Il Papato ne uscì vitto­rioso e difese poi la sua posizione con una duplice lotta contro l'Impero degli Hohenstaufen. A un'epoca che vide l'egemonia del Papato nei con­fronti dell'Impero (secc. XI-XII) seguì infine un periodo -il se­colo XIII- in cui Papa e Chiesa costituirono la potenza predomi­nante dell'Occidente cristiano.

                Quanto ai confini geografici, il periodo del Medioevo eccle­siastico  -che va dal Concilio Trullano (692)  fino all'inizio del ponti­ficato di Gregorio VII (1073-1085)-  si caratterizza: per l'opera mis­sionaria e cul­turale della Chiesa presso i po­poli germanici, latini e slavi; e per la sepa­razione della parte greco-orientale  da quella la­tina. Quello successivo, che non oltrepassa il 1294, si restringe al­l'Occi­dente  -con l'Oriente: urto della seconda crociata e tentativo di unione al Concilio di Lione II del 1274- e registra un periodo di fioritura culturale e religiosa della Chiesa sotto la guida del Pa­pato.

 

3 -  Invasione dei Longobardi (568)

 

                 Era da pochi anni terminata la guerra gotica che nuovi rumori di guerra si avvicinano dall'alta Italia. Nel 568 i Longobardi, venendo dalla Pannonia e guidati dal re Alboino, attraversano le Alpi e invadono la penisola.

                A differenza degli altri popoli invasori i Longobardi non ave­vano mai avuto contatti con il mondo romano e bi­zantino e conservavano pres­soché intatta la loro barbarie. Valicato l'I­sonzo,  si stanziarono nelle valli fertili della pianura pa­dana, evitando città fortificate e città marinare. Fu così che i Bi­zantini rimasero pa­droni di Esarcato, Pentapoli e Italia meridionale. Romania si dissero i territori rimasti ai bizantini, con Ravenna sede dell'esarca. Longobardia gli altri e Pavia ne fu la capitale.

                Quanto al­l'organizzazione,  l'autorità regia rimase per molto tempo debole e precaria di fronte a quella dei duchi. Un quaran­tina erano i ducati: fitti al nord, radi al sud. Estremi, separati dagli altri dal corridoio bizantino ed ereditari, quelli di Spoleto e Benevento. Il re (Köning), la cui funzione era ritenuta necessaria solo per guidare il combat­timento, cercò attraverso i suoi castaldi (funzionari preposti alle terre regie, sparse un po' in tutta Italia), di fre­nare l'arbitrio dei duchi, in ge­nere membri di famiglie nobili che si erano distinte nella conquista. Nelle circo­scrizioni minori, sia dei terri­tori regi, che di quelli ducali, sta lo sculdascio o cente­nario. Tutti questi funzionari esercitano nelle loro circoscrizioni, più o meno inte­gral­mente la somma dei poteri. Stando così le cose, l'in­vasione se­gna dun­que l'i­nizio del Medioevo italiano in quanto dà origine a due fatti im­portanti: il frazio­namento politico dell'Italia che durerà fino al Risorgimento; il crollo delle istitu­zioni romane e la forma­zione di una nuova società di impronta germanica.

                Dura la condizione dei vinti Latini. Paolo Diacono (Historia Longobardorum)  ci informa che la maggior parte dei latifondisti romani furono trucidati; gli altri, ridotti a vivere come servi dei barbari, in condizione di semili­bertà, o costretti alla cessione del terzo dei pro­dotti. La vita cittadina continua a decadere, il com­mercio si contrae; in tutta l'Europa barbarica il centro si sposta sempre più nelle campagne.

                Si prepara così quel modo di vita detto sistema cur­tense (sistema della villa romana) e che complessiva­mente diventerà sistema feu­dale.Tuttavia in questa nuova società barbarica vi sono ben presto se­gni di evo­luzione civile. Il trapasso dal nomadismo alla vita fissa, l'in­flusso della romanità e la con­versione al cristianesimo  (principio  sec. VII) furono i principali fat­tori del­l'incivilimento dei Longobardi. Segno evidente di questa evoluzione, l'editto di Rotari dove faida, ordalia e duello sono so­sti­tuiti dalla composizione pecuniaria (guidrigildo) che varia, a se­condo della classe delle persone e dalla prova del do­cumento. I Longobardi compirono un passo decisivo verso la conversione e l'in­civilimento, grazie a Teodolinda, vedova di Autari re dei Longobardi e sposa del successore Agilulfo, la quale favorì l'attività missionaria pro­mossa dai monaci irlandesi (S. Colombano, a Bobbio) e dal papa s. Gregorio Magno.

 

4 - La Chiesa e il mondo barbarico

 

                La Chiesa ha influito nella trasformazione del mondo barba­rico con la sua dottrina e la sua organizzazione. Esaminiamo qui l'o­pera dei vescovi, poiché di quella dei monaci si tratterà più diffusamente nei capitoli successivi.

                In quel periodo turbolento del trapasso dalla civiltà romana a quella medie­vale, quando un mondo nuovo stava sorgendo sulle rovine fumanti dell'antico, inesorabilmente travolto da successive ondate di popoli barbari -dai Visigoti di Alarico, agli Ostrogoti di Teodorico, re d'Italia (480-536)- fondamentale fu l'opera di papa Leone I (440-461) il quale portò un notevole accrescimento di au­torità al vescovo di Roma.

                Dopo che la capitale dell'impero ro­mano di Occidente era stata trasfe­rita a Ravenna -fu Onorio, fra­tello di Teodosio, a tra­sferire nel 402 a Ravenna la capi­tale del­l'imp. di Occidente- a Roma si cominciò a sentire una situazione di vuoto di potere poli­tico;  abbandonata alle scorri­bande ostrogote, la città nel 410 fu sac­cheggiata da Alarico re dei Visigoti. Seguì un torbido periodo in cui gli ordina­menti ecclesiastici minacciavano di crollare sotto l'impeto delle forze barbariche; solo il vescovo di Roma fu in grado di dare speranza per un futuro della fede cri­stiana, ciò apparve a tutti evidente quando papa Leone I (440-461), nel 452, riu­scì a te­nere lontano da Roma Attila, inducendolo a prendere la via del ritorno. Con quel gesto papa Leone si rivelò anche come difensore e salvatore di Roma e della civiltà occiden­tale. Non meno importante l’incontro di questo pontefice con Genserico, re dei Vandali. Così, grazie a papa Leone, cui la storia ha riconosciuto il titolo di Magno, il vescovo di Roma era uscito, dal periodo turbolento delle migrazioni dei popoli e dei brevi regni barbarici, rafforzato sia nel campo religioso sia in quello politico. Roma, sede di Pietro, era tornata ad essere la capi­tale del mondo.

                Convinto che il vicario di Pietro ha il diritto di guidare la Chiesa, s. Leone afferma che gli altri vescovi sono chiamati a collaborare col papa nella cura pastorale e non possiedono la pienezza del potere. Famosa la sua lettera dogmatica al patriarca Flaviano, di cui sopra.

                Come il vescovo di Roma, anche gli altri vescovi d'I­talia erano rimasti al loro posto, nelle città, conservando immutato quel po­tere nel campo civile che la legislazione romana aveva loro ricono­sciuto.

                E' quanto si deduce da alcune Variae di Cassiodoro e da un'epistola di Gelasio I, al vescovo Giovanni, di Spoleto. Teodorico rispettò in ogni senso tutta la romanità e di con­se­guenza anche l'organizzazione ecclesisa­stica che, del mondo ro­mano, era divenuta parte essenziale. Da molte­plici accenni delle Variae si rileva che questo re dei Goti -e i suoi succes­sori- si ap­pog­giarono ai vescovi per incarichi di fiducia e spesso anche per parti­colari negozi nel regno e per questioni riguardanti la vita cit­tadina; mentre la lettera di Gelasio I ci attesta che ai vescovi, nella pro­pria città, spettava la protezione di alcune categorie di persone, come gli orfani e le vedove.

                Così nel periodo gotico il vescovo fu consi­derato come il rappresentante naturale e il protettore dei romani cattolici di fronte ai barbari re ariani; mentre la curia ve­scovile fu il nuovo organo, attorno a cui gravitò la vita cittadina e a cui ricor­revano i cittadini e i villici.

                La contesa fra latini e barbari fu partico­larmente aspra durante la guerra gotica. Procopio ci tra­manda esempi emblematici: cito quello di Milano,  il  cui ve­scovo Dazio, con altri distinti cittadini,  si recò a Roma per persua­dere Belisario perché mandasse con loro un piccolo presidio af­fermando che era venuto il mo­mento di recuperare Milano  all'Im­pero. Mentre Gregorio Magno, citando l'asse­dio di Perugia da parte di Totila, ri­corda come tra i cittadini rimasti in difesa della città -una parte ne era fuggita quia famis periculum ferre non poterat- era pure re­stato Ercolano vescovo. Caduta la città in potere dei Goti, il conte comandante in capo inviò un messaggero a Totila chiedendo istru­zioni per il trattamento da ri­servare al vescovo. Narra Gregorio che il vescovo, condotto su quelle  stesse mura della città sulle  quali proba­bilmente era salito per dirigerne la difesa, fu de­capitato e quindi get­tato giù. Ma i cittadini che, dietro ordine di Totila, erano tor­nati in città, ne recuperarono la salma per darle onorevole spol­tura. Questi e altri episodi -tali il caso di Fungenzio per Otricoli e di Cassio per Narni- di­mostrano come il vescovo, du­rante la guerra gotica, era divenuto il capo naturale della pro­pria città, rappresen­tando l'unica autorità cit­tadina che perdura co­stantemente tra la mutevole costituzione statale.  

                Quando poi sopraggiunse l'invasione longobarda  ci fu, in un primo tempo, un forte di­sor­dine nel­l'organizzazione  ecclesiastica.  Molte diocesi rimasero a lungo vacanti, altre non furono più ripristinate. In altre si costituì una doppia gerarchia, cattolica e ariana.

                Si veda l'esempio che s. Gregorio tra­manda nel III libro dei Dialogi per Spoleto, dove un Langobardorum epi­scopus, scilicet arianus, venuto nei primi anni dell'occupa­zione di questa città,  aveva tentato di inse­diarsi nella chiesa di S. Paolo, ma per l'opposizione del vescovo cattolico e della popolazione dovette de­sistere dall'impresa. Attesta papa Gregorio che, conosciuto il fatto, i Longobardi spole­tini mai più osarono profanare le chiese cattoliche. La mancanza di rapporti sereni tra autorità ordinaria statale e l'organiz­zazione ecclesiastica fece sì che i ve­scovi dell'Italia longobarda, rispetto ai colleghi delle città bizantine, di fronte all'au­torità ordinaria assumessero, nel campo civile, uno spiccato carattere di inferiorità.

                Così l'attività dei ve­scovi delle città longobarde si limitò, agli inizi, ad un campo prevalentemente morale ed ecclesiastico, grazie anche all'azione pastorale di papa Gregorio Magno.

                Si pensi alla lettera che il pon­tefice inviò a Proiecticio, vescovo di Narni, raccomandandogli la conversione "Langobardorum sive Romanorum qui in eadem loco degunt" (Ep. Lib. II, 4). Comunque per la popo­lazione romana il vescovo per molte ragioni ri­maneva l'unica autorità an­che civile. Nel giro di qualche decennio però i vescovi recupera­rono un ruolo civile an­che presso l'autorità longo­barda che si servì di loro negli ordinari giudizi statali -così i vescovi di Pisa, Firenze, Fiesole e Lucca- e per la definzione di importanti contro­versie en­tro i confini dello loro città fin quasi ad essere equiparati ai pub­blici uffi­ciali.

                Come è stato sopra ricordato, a seguito dell'invasione longo­barda l'Italia fu divisa in due parti: longobardia e romania; mentre nei terri­tori romani si registrò un progressivo indebolimento della funzione esercitata dal governatore bizantino (esarca) a favore di quella del papa che divenne così unico riferimento del potere civile e politico. Parallelamente crebbe anche l'autorità civile dei vescovi.

                Contestualmente, per la stretta alleanza tra Stato e Chiesa, il pa­triarca di Costantinopoli divenne l'autorità religiosa più elevata nel mondo orientale.

                Questa situazione diede origine da una parte alla contrappo­sizione, tra ve­scovo di Roma e patriarca di Costantinopoli, per la supremazia nella Chiesa; dal­l'altra, tra ve­scovo di Roma e impera­tore, per l'esercizio del potere politico. Finchè nel gioco di forza fra queste tre potenze -il papa di Roma, il patriarca di Costantinopoli e l'imperatore romano d'Oriente- non si introdusse, come quarto concorrente, il re dei Franchi e i suoi successori. Fu il pa­pato che si avvicinò al re­gno dei Franchi; a de­cretare questa scelta po­litica furono almeno tre cause: i rap­porti conflittuali tra papa e domi­nazione longobarda [sia per motivi con­fessionali (persistenza dell'aria­nesimo), sia a causa del tentativo longobardo di conquistare l'intera penisola]; le controversie teolo­giche che avevano accentuato il distacco e la conflittualità fra Roma e Costantinopoli; l'espansione e l'aggres­sione islamica.

 

                Quanto ai monaci, si è molto insistito  sulle loro benemerenze nel campo del lavoro, sia in agricoltura e bonifica dei terreni, sia nella cul­tura e nella trasmissione del patrimonio intellettuale  e scienti­fico; il monachesimo meritò tuttavia ancor più per l'azione  missiona­ria.

                Mo­mento decisivo per la formazione della nuova Europa -la nostra- fu la conversione dei popoli germanici al cristianesimo. Merito di s. Gregorio, uno dei più grandi uomini europei, quello di aver iniziato la conver­sione dei longobardi e di aver assicurato quella dei Visigoti,  al­lora appena avviata e soprattutto di aver dato inizio a quella degli Anglosassoni. Per la riconquista dell'isola  alla religione e alla civiltà papa Gregorio si servì di monaci missionari che, len­tamente, incivilirono i barbari preparando così l'avvento della nuova ci­viltà e società medievale e moderna.

  

 

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