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Il papato e la politica europea

I trattati di Westfalia del 1648, aprono una nova fase della storia della Chiesa e dell’Europa


Portano alla modifica dei rapporti politici fra la Santa Sede e gli altri Stati europei e di quelli tra la Chiesa e lo Stato all’interno di ogni paese. A livello internazionale i trattati di Westfalia che mettono fine alla guerra dei trent’anni, segnano una rottura decisiva perché:

Sul piano generale della cultura siamo nel periodo dell’Illuminismo e sul piano politico in quello dell’Assolutismo, in cui si afferma l’idea di Stato, nel senso moderno della parola. Fu Thomas Hobbes con il suo libro il Leviathan a diffondere l’idea di Stato assoluto, il quale nasce per evitare che l’uomo “azzanni” un altro uomo: homo homini lupus. All’indomani della pace di Westfalia, la Francia di Luigi XIV era diventata la nazione guida d’Europa, diventandone modello di Stato assoluto. Tale concezione incrinò da subito i rapporti con la Chiesa, perché lo Stato cercò di statalizzarla e si cercò anche di affermare l’autonomia delle Chiese locali rispetto all’autorità romana attraverso la loro nazionalizzazione, come capitò in Francia con il Gallicanesimo, in Germania con il Febronianesimo, in Austria con il Giuseppinismo e in Italia con il Giusnaturalismo.

In questo periodo l’Europa, sul piano confessionale, è divisa in tre grandi blocchi:

  1. Stati cattolici;
  2. Stati protestanti;
  3. Stati misti;

All’indomani di Westfalia furono elaborati i primi documenti politici tendenti all’unità politica europea, tra cui quello dell’abate di Saint Pierre che scrisse nel 1713 Un progetto per rendere la pace perpetua in Europa, in cui influenzato dai filosofi del diritto naturale, riteneva che l’Europa unita doveva essere fondata sul diritto naturale, era il suo progetto di una Repubblica Cristiana, in cui si voleva fare una sintesi tra l’ideale unitario del Medioevo (Sacro Romano Impero Germanico) e il nuovo spirito di tolleranza di Enrico IV di Francia.

La situazione politica del papato fra il 1650 e la fine del 1700 risulta molto difficile tanto che i papi del tempo pur abili e preparati, dovettero assistere impotenti al declino dell’autorità politica e religiosa della Chiesa che è da imputare:

Tra i papi del periodo ricordiamo per importanza:

La guerra dei trent’anni, fu l’ultima guerra di religione in Europa, che fu dovuta all’intento dell’imperatore d’Austria di conquistare la Boemia costringendo gli abitanti a convertirsi al cattolicesimo. In un primo tempo l’imperatore sembrava avere la meglio, ma quando il conflitto cominciò ad avere proporzioni internazionali, cominciarono le difficoltà, in quanto la Svezia intervenne a favore della Boemia per salvaguardarne la fede evangelica minacciata e con lui si allearono anche altri principi protestanti tedeschi, nel contempo anche la Francia cattolica del cardinale Richelieu, intervenne per contrastare l’ascesa degli Asburgo in Europa. L’ingresso della Francia a seguito della sconfitta militare della Svezia, portò l’Imperatore d’Austria alla resa e la patteggiamento della pace.

La pace di Westfalia, stipulata nelle città tedesche di Münster (con la Francia) e Osnabrück (con la Svezia), portò all’indebolimento dell’autorità imperiale e la rafforzamento di quella dei principi sia per le questioni politiche sia per quelle ecclesiastiche. Da questo momento il Sacro Romano Impero Germanico fu diviso in Corpus Cattolicorum e Corpus Evangelicorum.

Tale trattato di pace portò come conseguenza in ambito religioso, il riconoscimento del calvinismo al pari del luteranesimo e del cattolicesimo. Nel contempo il principio della territorialità confessionale, già riconosciuto con la pace di Augusta, viene confermato ristrettivamente in quanto fu decretato che dal 1624, gli Stati non possono più cambiare la propria fede e di conseguenza venne meno il principio del cuis regio eius religio, come successe in Sassonia dove il passaggio dal principe alla fede cattolica non ebbe la conseguenza di far cambiare la fede al suo popolo che restò protestante.

La pace di Westfalia segnò il completo fallimento della diplomazia vaticana in quanto:

La Francia di Luigi XIV, dopo aver vinto la guerra dei trent’anni, divenne una grande potenza politica e culturale, di cui ne partecipò anche la Chiesa francese, che ebbe una rifioritura con i teologi Bousset, Fénelon, Pascal. Il regno di Luigi XIV è designato come il regno dell’assolutismo regio perché cercò di acquisire un potere assoluto, che ebbe dei risvolti anche in campo ecclesiastico. Infatti:

Il potere del papa è preponderante, ma le sue decisioni sul piano dottrinale non sono intoccabili se non sono in accordo consenso con la Chiesa universale. Con questa affermazione da un lato si vuole controllare la Chiesa e dall’altro si vuole affermare l’autonomia delle Chiese;

Papa Innocenzo XI, temendo uno scisma con la Chiesa di Francia, si è limitato a protestare contro questo documento e non ha emesso alcuna condanna. Inoltre egli si è rifiutato di ratificare la nomina a vescovo di due sacerdoti che avevano votato la dichiarazione. Papa Alessandro VI, invece, nel 1690 dichiarò nulla tale dichiarazione, anche se malgrado tutto si arrivò ad un compromesso: il re di Francia accettò di sospendere il decreto di applicazione della dichiarazione e la Santa Sede, dopo aver ricevuto verbalmente e per iscritto il pentimento dei due vescovi per la loro partecipazione all’assemblea del 1682, ratificò la nomina precedentemente rifiutata. Lo scisma fu evitato, ma la dottrina gallicana continuò fino all’800.

Ma le idee gallicane, episcopaliste e conciliariste cominciarono a diffondersi anche in paesi tedeschi grazie agli scritti di due autori:

La diffusione, soprattutto di quest’ultimo trattato, portò al Febronianesimo, che non era altro che la ripresa delle idee gallicane adattate alla situazione dei paesi tedeschi, anche se sembra più una forma di episcopalismo, in quanto le tesi del Febronius insistono meno sulle libertà delle Chiese nazionali e sulla loro sottomissione al potere temporale del sovrano, ma pongono l’accento sulla necessaria divisione del potere spirituale della Chiesa tra il papa e l’episcopato.

In Austria, sotto il regno dell’imperatrice Maria Teresa e poi sotto quello del figlio Giuseppe II, la Chiesa nazionale fu posta sotto il controllo dello Stato. Infatti, malgrado l’imperatrice fosse una donna pia, devota e praticante, attuò tutta una serie di riforme che miravano ad estendere il controllo dello Stato sulla Chiesa dell’impero, tra cui ricordiamo:

  1. La riduzione del numero dei conventi e del patrimonio ecclesiastico;
  2. L’abolizione dell’esenzione fiscale al clero;
  3. L’obbligo del placet statale per la promulgazione e la proclamazione di tutti i documenti pontifici;
  4. La diminuzione dei giorni festivi;
  5. L’introduzione della censura statale sui libri pubblicati nel territorio dell’impero;
  6. la lotta contro l’influenza dei gesuiti nelle scuole, con la riforma universitaria del 1752 ed il rinnovamento dello studio teologico negli anni 1774-1776;

Il figlio di Maria Teresa, Giuseppe II continuò l’opera di asservimento della Chiesa allo Stato iniziato dalla madre e diede inizio al Giuseppinismo. Egli concepiva la Chiesa come parte dello Stato e la definiva Instrumentum regni, cioè la Chiesa era sottoposta allo Stato su tutto ciò che riguardava la sfera spirituale, oltre che quella temporale. L’organizzazione della Chiesa doveva essere conformata sul modello dello Stato per meglio servirlo, quindi cercò di rafforzare l’assoggettamento della Chiesa allo Stato con le seguenti misure:

  1. estensione del placet statale a tutti i documenti della Chiesa e dei vescovi;
  2. soppressione di più di 600 monasteri;
  3. riorganizzazione geografica delle diocesi su modello delle circoscrizioni politiche;
  4. introduzione di una specie di concorso per sacerdoti che volevano diventare parroci;
  5. sostituzione dei seminari diocesani generali;
  6. riforma liturgica;

La maggior parte dell’episcopato austriaco si piegò alla volontà dell’imperatore e solo pochi vescovi cercarono di opporsi alla sua opera riformatrice. Papa Pio VI si recò a Vienna per cercare di fermare questa politica contraria alla Chiesa, ma la sua visita se fu un successo popolare, fu un fiasco in ambito politico. Nonostante tutto Giuseppe II, alla fine della sua vita, nel 1790, dovette riconoscere il fallimento dei suoi progetti di riforma della Chiesa. Alla sua morte ad eccezione del Belgio, che era passato sotto il dominio francese, il Giuseppinismo, sia come dottrina che come rapporti stato/Chiesa, era diffuso non solo in tutto l’impero austriaco, ma anche nelle province limitrofe.