Leone XIII
Dopo il pontificato di Pio IX la situazione non era delle migliori, la politica di Leone XIII sarà molto intelligente
Alla fine del pontificato di Pio IX la situazione della Chiesa non era del tutto favorevole:
- sia sul piano esterno: nei rapporti con gli altri Stati ci sono vari conflitti non risolti e, inoltre, la Chiesa è isolata contro l’emergente anticlericalismo;
- sia sul piano interno: il rafforzamento dell’autorità romana, che portò alla definizione del dogma sull’infallibilità del papa, ha portato allo scisma e ad un irrigidimento antiliberale;
La salita al soglio pontificio di Leone XIII, al secolo Gioacchino Pecci, fu considerata dai cattolici liberali come una vittoria, dal momento che il cardinale Pecci era stato all’inizio della sua carriera ecclesiastica Nunzio in Belgio e aveva potuto conoscere da vicino il modello cattolico-liberale belga.
Per quanto riguarda la Questione Romana Leone XIII, come il suo predecessore, era legato all’idea di uno Stato cristiano-cattolico, ma ciò che differenzia i due pontefici è la diversa strategia. Infatti Leone XIII capì:
- che la strategia controrivoluzionaria del pontificato di Pio IX era fallita;
- che non si potevano più difendere i propri diritti stipulando alleanze politiche;
- che bisognava cercare nuove alleanze;
Leone XIII, per attuare la sua strategia, ha dovuto, prima di tutto, attuare una politica di riconciliazione all’interno d’ogni paese, supponendo il ripensamento di una nuova linea politica:
- sia sul piano politico, mediate l’elaborazione di una nuova teologia politica, che rivide i rapporti sussistenti tra lo spirituale e il temporale;
- sia sul piano pratico, mediante il ripensamento dei rapporti Chiesa e grandi potenze europee;
Senza cancellare le condanne dei predecessori contro il liberalismo e gli errori moderni, Leone XIII si sforzò di sviluppare una nuova teologia destinata ad integrare le istituzioni liberali nella concezione cattolica dello Stato e della società. Si trattava di rompere col modello teorico dell’agostinismo politico, il potere temporale subordinato a quello spirituale secondo una concezione teocratica. Il nuovo modello che si impone è quello di uno Stato cristiano in alternativa sia allo Stato liberale sia al modello tradizionalista di sottomissione dello Stato alla Chiesa, secondo la filosofia di s. Tommaso d’Aquino, alla quale si ritorna ufficialmente con l’enciclica Aeterni Patris del 4 Agosto del 1879. Il movimento neotomista che si era già sviluppato prima di tale data, trovò un nuovo vigore con la suddetta enciclica che è considerata la Magna Charta del neotomismo contemporaneo, per cui la filosofia tomista diviene la filosofia “ufficiale” della Chiesa Cattolica e fu all’origine della fondazione di importanti scuole:
- l’istituto superiore di Filosofia di Lovanio fondato dal giovane, poi cardinale, Mercier (1889);
- la Facoltà di teologia dell’Università di Friburgo affidata ai domenicani (1890);
Il papa dedicò al problema le cosiddette 5 “encicliche politiche”:
- Quod apostolici muneris (1878);
- Diuturnum illud (1881);
- Nobillissima Gallorum gens (1884);
- Immortale Dei (1885);
- Libertas praestantissimum (1888);
In tali encicliche si riafferma con forza che l’origine dell’autorità politica è solo in Dio e rigettando ogni teoria rivoluzionaria che trovava fondamento nel popolo, si sostiene che la Chiesa non poteva accettare l’idea di uno Stato laico, neutrale rispetto alla verità religiosa, definito dello stesso papa come un “ateismo senza nome”. Esse poggiano sulla distinzione aristotelico-tomista dell’ordine spirituale e di quello temporale che:
- permetteva allo Stato di avere una certa autonomia (non separazione) dalla Chiesa;
- porterà all’affermazione decisiva dell’indifferenza della Chiesa verso le varie e nuove forme di governo, come il riconoscimento della Repubblica Francese;
Elaborazione di una nuova diplomazia
Situazioni in conflitto:
- Germania: l’avvento del pontificato di Leone XIII facilitò la ricerca di un compromesso con Bismark e il governo tedesco, che all’inizio degli anni ’80 volevano riavvicinarsi al cattolicesimo per paura del socialismo. Nel 1883, furono ristabilite le relazioni diplomatiche, che portarono successivamente alla fine definitiva del Kulturkampf, con le leggi di pacificazione del 1886-1887. L’unica concessione fatta dalla Chiesa riguardava l’obbligo per i vescovi tedeschi di comunicare le nomine ecclesiastiche all’autorità statale e il diritto del governo di ricusare queste nomine;
- Svizzera: Anche le autorità elvetiche, sempre per il pericolo crescente della sinistra rivoluzionaria, cercavano l’accordo con la Santa Sede, che fu raggiunto grazie a Mons. Lachat, ex-vescovo di Basiela, poi nominato amministratore apostolico del Cantone Ticino e Mons. Mermillod, ex-vicario apostolico di Ginevra, eletto vescovo di Friburgo nel 1883;
- Francia: nonostante la messa in opera di una politica violentemente anticlericale e laicista, all’inizio degli anni’80 con l’avvento di una nuova maggioranza repubblicana, Leone XIII cercò di salvaguardare i vantaggi politici acquisiti col concordato napoleonico del 1801. alla fine degli anni ’80, quando sembrava che la Repubblica Francese si fosse consolidata, dopo un tentativo destabilizzante, Leone XIII invitò i cattolici francesi a riconoscere la repubblica con la politica del cosiddetto ralliement. Ma essi furono ostili alla repubblica perché definita nemica della Chiesa, quindi l’invito non fu accolto perché: - la maggior parte era legittimista, cioè fedele all’antica dinastia regnante - mentre i cattolici liberali, pur essendo favorevoli alla repubblica non vedevano di buon occhio l’intromissione del papa in campo politico;
Alla fine del secolo, nel contesto dell’Affaire Dreyfus, ci fu la ripresa della politica anticlericale che, nel 1904, portò alla rottura dei rapporti diplomatici, Francia/Santa Sede, all’espulsione delle congregazioni religiose e alla legge di separazione tra lo Stato e la Chiesa del dicembre del 1905 che poneva fine al concordato del 1801;
Nonostante il fallimento della politica conciliante di Leone XIII, uno dei motivi che aveva condotto il papa a stringere rapporti con la Francia, repubblicana e anticlericale, fu di tipo diplomatico, in quanto la Francia era vista come l’unica potenza politica capace di sostenere la sovranità della Santa Sede nei confronti della nascente “Triplice alleanza” tra Germania, Austria e Italia, vista come pericolosa e ostile per la Chiesa.
L’Italia
Leone XIII continuò la politica intransigente del suo predecessore a causa della Questione Romana ancora aperta, anzi cercò il riconoscimento sul piano internazionale di una sorta di statuto che garantisse l’indipendenza della Santa Sede. Ma i rapporti con il governo italiano erano molto tesi a causa dell’ostilità del papa a qualsiasi forma di compromesso, ribadito col non expedit, già di Pio IX, cioè il divieto per i cattolici di partecipare alla vita politica, direttiva rispettata soprattutto nel nord Italia, dove c’era il movimento cattolico dell’Opera dei congressi molto intransigente nei confronti del governo italiano;
Con la rivoluzione industriale, la Chiesa si è trovata ad affrontare la sfida della povertà generata dal processo d’industrializzazione, diversa dalla povertà tradizionale, in quanto i problemi che poneva questo nuovo tipo di miseria erano numerosi:
- la questione dello statuto della proprietà privata: era diritto dell’uomo o no?;
- la natura del capitalismo, cioè l’economia di mercato;
- la legittimità dell’intervento dello Stato nell’economia;
- la legittimità delle associazioni operaie, problema collegato alla confessonalità di tali associazioni;
Su tutte queste difficili questioni i cattolici non erano concordi, almeno per tre orientamenti:
- conservatore (controrivoluzionario): diffuso nei circoli cattolici degli operai francesi e in seno al movimento cattolico sociale austriaco, che era favorevole ad un intervento dello Stato nell’economia e chiamava in causa la proprietà privata e il capitalismo. Quindi questi cattolici conservatori intransigenti erano più vicini ai socialisti, in quanto, auspicavano la creazione di un ordine sociale cristiano autoritario con delle corporazioni obbligatorie sotto il controllo dello Stato. Tale tendenza ebbe fortuna in seno all’Unione di Friburgo, un circolo internazionale di cattolici sorto intorno agli anni ’80;
- liberale (in Francia e in Belgio) era ostile ad un intervento troppo forte dello Stato nell’economia, difendeva l’economia di mercato e si pronunciava a favore di libere corporazioni non sottoposte al controllo dello Stato;
- solidarista: corrente che mirava a subordinare l’economia alla morale, ribadendo il principio del primato della persona sull’economia e rispetto alla proprietà privata distingueva tra il diritto di proprietà privata, ritenuto legittimo, e l’uso dei beni che doveva essere concesso a tutti. Riconosceva, inoltre, la necessità di un certo intervento dello Stato, come il fissare un salario minimo che permettesse agli operai di vivere in modo decente e onesto;
Leone XIII aveva personalmente conosciuto la terribile condizione della classe operaia come Nunzio a Bruxelles negli anni ’40, e come arcivescovo di Perugia aveva pubblicato delle lettere pastorali nella Quaresima del ’78, nelle quali si descriveva realisticamente la misera condizione operaia e si affermavano alcuni principi, tra cui il valore del lavoro e il primato dell’uomo sulla macchina.
Nel 1890, l’imperatore tedesco Guglielmo II chiedeva al papa di partecipare ad una conferenza a Berlino sulla condizione degli operai, ancor prima della sua enciclica sociale Rerum Novarum del 1891, che ebbe una lunga maturazione negli anni ’80 e deve molto ai lavori di due teologi legati al rinnovamento tomista:
- Matteo Liberatore, gesuita de La Civiltà Cattolica, fu uni dei redattori di questa enciclica;
- Tommaso Maria Zigliara, domenicano e cardinale nel 1879, fu il curatore dell’edizione leonina delle opere di s. Tommaso;
Tale enciclica descrive l’intollerabile miseria della classe operaia della fine dell’800 e si pone sulla linea del riconoscimento dei diritti sociali dell’uomo e nel frattempo critica il socialismo ritenuto falso e pericoloso perché nega il diritto di proprietà, sanzionato dal diritto naturale e quindi conforme alla tradizione della Chiesa ed è ostile alla famiglia, vista dal papa come l’istituzione di base della società civile. La soluzione proposta da tale enciclica è quella della riconciliazione delle classi sociali e della loro unione armoniosa, vista come terza via tra il liberalismo e il socialismo, infatti ai padroni è ricordato il loro dovere di rispettare la dignità degli operai e di dare loro il giusto salario per il lavoro svolto, agli operai invece è ricordato di rispettare il contratto di lavoro e di rifiutare la violenza come mezzo di difesa dei loro diritti. Inoltre tal soluzione cristiana ritiene legittimo l’intervento dello Stato nell’economia per proteggere la comunità e le sue parti, cioè per difendere il bene comune, ma sempre entro certi limiti:
- cioè non può abolire la proprietà privata, diritto naturale dell’uomo, ma ne può disciplinare l’uso con le esigenze del bene comune;
- non può intervenire sulla determinazione del salario, in quanto spetta alle parti sociali (corporazioni, sindacati) fissare il salario giusto e sufficiente a far vivere l’operaio in modo giusto e onesto;
Lo Stato ha un ruolo sussidiario è un’autorità di arbitraggio diverso da quello comunista.
L’enciclica prendeva le distanze dal movimento cattolico sociale reazionario che voleva imporre un ordine statale sociale-cristiano fondato sul modello della cristianità medioevale. Infatti riconosce il ruolo delle corporazioni, che permette di superare i conflitti di classe, per cui era prevista:
- la possibilità di associazioni operaie, che apriva la via ai sindacati cristiani;
- la possibilità di associazioni miste (operai e padroni) alla cui base c’è l’idea della riconciliazione delle classi;
Si può dire che questo testo assume una triplice caratteristica:
- è un testo di compromesso e di sintesi, in quanto si pone come arbitro fra le diverse scuole esistenti, nel mondo cattolico, prima dell’enciclica;
- è un testo moderno: la difesa della dignità dell’operaio, il ruolo dello Stato nell’economia, l’importanza delle associazioni professionali;
- è un testo fondatore di tutta una tradizione d’intervento nel Magistero pontifico sulle questioni sociali;
Con tale enciclica il Magistero pontificio, dopo la caduta del potere temporale, ritrovava uno spazio nuovo, quello dell’autorità morale, che fu accolto favorevolmente anche al di fuori della Chiesa, in quanto rompeva l’alleanza con le forze conservatrici e reazionarie. Infatti la portata dell’enciclica andava ben oltre la questione sociale, perché l’atteggiamento della Chiesa nei confronti della società moderna era cambiato, in quanto si proponeva di costruire una società cristiana e non si limitava, come prima, a condannare le posizioni erronee. Questa enciclica fu il punto di partenza di un movimento sociale cattolico che si è diffuso in tutta l’Europa occidentale e ha dato luogo a vari movimenti, associazioni e partiti cattolici.
La seconda metà dell’800 è caratterizzata dal rilancio dell’attività missionaria che è dovuto sia a delle circostanze esterne alla Chiesa, sia a delle circostanze interne. Le circostanze esterne furono:
- la ripresa delle esplorazioni, soprattutto in Africa;
- il perfezionamento tecnico dei mezzi di trasporto marittimo e ferroviario, che facilitò il raggiungimento di paesi lontani da evangelizzare;
- l’apertura di certi paesi che erano rimasti chiusi ad ogni forma di penetrazione straniera (Cina, Giappone e Corea);
- l’espansione coloniale europea;
Le circostanze interne furono:
- l’incremento numerico dei missionari, con la nascita di nuove congregazioni missionarie che contribuì a internazionalizzare il fenomeno missionario, dal momento che, prima i missionari erano tutti francesi e lo sviluppo di una coscienza missionaria tra la gente che sostennero spiritualmente e materialmente le missioni;
- la creazione di nuove strutture ecclesiali nei paesi di missione: vicariati, prefetture, diocesi;
Dalla fine degli anni ’80 la Chiesa s’impegnò ad abolire la schiavitù e la tratta dei neri, opera prima fatta solo dai protestanti , grazie soprattutto all’arcivescovo di Algeri, il cardinale Lavigerie, fondatore della Società missionaria di Nostra Signora d’Africa (i Padri Bianchi). Egli conosceva bene il problema della tratta degli schiavi e nel 1878 in una memoria indirizzata al prefetto della Congregazione di Propaganda Fide, lanciava l’idea di avviare una grande crociata di fede e di umanità contro tale problema. Nel 1886 scrisse al papa per chiedergli di prendere un’iniziativa sul gravoso problema, che avrebbe in tal modo onorato la Chiesa agli occhi del mondo. Tale lettera fu fatta in quell’anno in cui il papa si preparava a lodare con l’enciclica In plurimis, la decisone della Repubblica Brasiliana di sopprimere la schiavitù. Con tale enciclica, per l a prima volta il Magistero pontificio pronunciava una condanna così chiara e ferma sulla schiavitù. Forte di questo appoggio esplicito, il cardinale Lavigerie avviò una campagna per ottenere l’abolizione della schiavitù e per sensibilizzare i governi a questo grande problema. Per cui nel 1889 si riunì a Bruxelles, su proposta della Gran Bretagna, una conferenza internazionale che riuniva sedici paesi e che si concluse con l’adozione di un atto ufficiale antischiavista, che ebbe un successo internazionale, tanto da essere riconosciuto anche dagli ambienti protestanti.
L’azione del cardinale Lavigerie, condotta in sintonia con Leone XIII, era un preludio al riorientamento di tutta l’attività missionaria della Santa Sede che avverrà soprattutto sotto il pontificato di Benedetto XV con l’enciclica Maximum Illud del 1919.