Iconoclasti e iconoduli
Il problema delle immagini era stato agitato in seno alla Chiesa già molti secoli prima, quando gli artisti cristiani cominciarono a rappresentare Dio nella natura umana del Cristo
La lotta con l'Occidente si riaprì quando salì al trono Leone III, l'imperatore-soldato detto l'Isaurico, o il Siro (717-41). Questo imperatore si era acquistato dei meriti nella vittoriosa difesa di Costantinopoli , contro gli attacchi pericolosi degli arabi (717-718), costringendo la loro flotta ad allontanarsi da Costantinopoli; una vittoria da associare a quella che Carlo Martello conseguì nel 731, fermando l’avanzata araba a Poitiers.
Leone III, dopo aver invano chiesto l’assenso del patriarca Germano emanò, nel 726, un editto con cui si disponeva l'allontanamento , o il coprimento delle immagini sacre.
Stando ad alcuni intransigenti, i cristiani non destinavano più alle icone una venerazione, ma una vera e propria adorazione; si trattava di un vero culto del crocefisso e delle icone. Questa situazione aveva provocato la reazione naturale tra i puristi, i quali temevano che il cristianesimo cadesse in un'idolatria rozza e diventasse una mistificazione.
Donde un certo movimento che si opponeva alla rappresentazione del divino, almeno sotto forme umane. Questo movimento trovò appoggio tra i popoli vicini non cristiani, come gli arabi e gli ebrei, ma soprattutto tra gli eretici, quali i nestoriani e i pauliciani. Stretti al precetto mosaico, gli Ebrei se ne facevano un'arma per accusare i Cristiani di idolatria. Mentre tra i musulmani la tendenza iconoclastica si era manifestata sullo scorcio del secolo VII e raggiunse il culmine nel 723, cioè alla vigilia della campagna di Leone III, quando il califfo Yezid fece distruggere le immagini sacre nelle chiese cristiane. Così musulmani ed ebrei si erano incontrati in una comune intolleranza contro ogni raffigurazione materiale che abbia per oggetto la Divinità o qualche relazione con il mondo divino, in un comune orrore contro ogni manifestazione sospetta d'idolatria. Anche il rifiuto delle immagini, come oggetto di culto da parte dei Paoliciani, acquista particolare importanza in quanto costoro, dalla metà del secolo Vll, occupavano le regioni di frontiera orientali da dove insidiavano l'Impero.
Le immagini sacre
Il problema delle immagini era stato agitato in seno alla Chiesa già molti secoli prima, quando gli artisti cristiani cominciarono a rappresentare Dio nella natura umana del Cristo, testimoniando così uno dei dogmi centrali della cristologia.
Si ebbero allora numerose reazioni, a cominciare dal Concilio di Elvira (306) che, al can. 36, vietò di dipingere sui muri tutto ciò che formasse oggetto di culto e di adorazione; ma anche da parte di alcuni esponenti della Chiesa, come Eusebio di Cesarea (+ 340 ca.), il quale taccia di "pagano" il fatto che siano state innalzate statue a Cristo e quadri agli apostoli Pietro e Paolo. Sant'Epifanio di Salamina (+ 403), a detta di san Girolamo, avrebbe strappato una tenda preziosa, perché recava l'immagine di Cristo; mentre a Marsiglia, nel 599, il vescovo Sereno ordinò la distruzione di tutte le statue sacre della città, ma in ciò fu riprovato da papa Gregorio Magno. Ecco il testo della lettera "Litterarum tuarum primordia" che il papa gli inviò nell'ottobre del 600:
"Ci era stato* riferito che* hai spezzato immagini di santi con la scusa quasi che non dovessero essere adorate. E certo lodiamo pienamente che tu abbia proibito di adorarle, rimproveriamo invece che le abbia spezzate* E infatti cosa diversa adorare una pittura e invece imparare, mediante l'immagine della pittura, che cosa si debba adorare. Infatti ciò che è la Scrittura per quanti (sanno) leggere, questo lo offre la pittura a quanti non istruiti (la) guardano, giacché in essa coloro che non sono istruiti vedono che cosa debbono seguire; in essa leggono coloro che non conoscono l'alfabeto. Onde la pittura prende anche, particolarmente per il popolo, il posto della lettura* Se qualcuno vuole fare un'immagine, non proibirlo affatto; proibisci invece in ogni modo di adorare le immagini. La tua fraternità ammonisca poi con sollecitudine, che dalla visione del fatto ci si apra all'ardore della compunzione e ci si prostri umilmente nell'adorazione della sola onnipotente santa Trinità".
Numerosi i Padri della Chiesa che si pronunciarono chiaramente a favore della rappresentazione di santi e di scene evangeliche, per motivi educativi. Tra questi, in occidente, Girolamo, Agostino e Gregorio di Tour; in Oriente: Basilio Magno, il grande Padre cappadoce del sec. IV, cui viene attribuito il detto :"l'onore reso alle immagini va al prototipo" e Teodoreto di Cirro (+466) il quale, parlando di san Simeone Stilita, dice che a Roma "un illustre uomo ha collocato in tutti i vestiboli delle officine un suo ritratto: piccole immagini di s. Simeone, per ottenere custodia e sicurezza".
In Oriente, abusi da parte di sacerdoti ortodossi -alcuni erano giunti a mescolare la raschiatura delle immagini con le specie eucaristiche per farne un sacrilego commercio- l'influsso degli eretici, I'esempio degli arabi e degli ebrei, la tradizione e la teologia di qualche padre della Chiesa, fecero sì che, in certe città, la rappresentazione del divino venisse poco tollerata. Il centro più importante era Nacolia in Frigia, il cui vescovo Costantino era alla testa di un movimento iconoclasta, che considerava le icone come una forma di paganesimo. Fu così che nacque una disputa religiosa che, in poco tempo, si trasformò in conflitto dogmatico per sfociare in un'eresia.
Fra teologia e politica
Ad agitare il problema a corte fu lo stesso vescovo Costantino, preoccupato che la venerazione dell'immagine di Cristo potesse presentare un sostegno agli antichi errori; e fu il medesimo a spingere l'imperatore a procedere contro la venerazione delle immagini, scatenando così quel conflitto che va sotto il nome di iconoclastia, triste conseguenza delle dispute teologiche, una dolorosa vicenda che scosse la Chiesa per un secolo e mezzo, e più tardi si espresse anche sotto forma di un movimento politico, socio-intellettuale ed anche nazionale.
Leone l'Isaurico si prestò al gioco per una precisa scelta politica: nel suo regno voleva essere imperatore e sommo sacerdote; voleva inoltre assecondare i pauliciani , gli ebrei e i maomettani, tutti ostili alle immagini e voleva sottomettere al suo potere la chiesa e specialmente i monaci, i più tenaci assertori della libertà ecclesiastica.
Leone promulgò così, nel 726 (o 730), un editto -perduto- che, a quanto sembra, non proibiva l'uso delle icone nei luoghi di culto, ma cercava di mettere un freno alla loro proliferazione fuori di detti luoghi, lasciando l'applicazione, più o meno stretta dell'editto, alla discrezione dei vescovi.
Immediata la reazione del popolo quando l’imperatore diede ordine di rimuovere l’immagine di Cristo, collocata sulla porta di bronzo del palazzo imperiale, per porvi l’immagine “tre volte benedetta della croce, gloria dei credenti”.
Immediata la reazione del papa Gregorio II (715-731), cui va restituita la lettera "Ta grammata" spedita all'imperatore Leone III tra il 726 e il 730, lettera autentica quanto alla sostanza, ma erroneamente attribuita al successore Gregorio III (731-741).
"E dici che noi adoriamo le pietre, Ie pareti e le tavole di legno. Non è affatto così come tu dici, o imperatore; ma affinché la nostra memoria sia aiutata e la nostra fedeltà e la nostra mente inesperta e debole sia guidata ed elevata verso l'alto mediante coloro che questi nomi e queste invocazioni e queste immagini riproducono; e non come se fossero dèi, come tu dici: questo è ben lontano da noi! Infatti non riponiamo la nostra speranza in essi. E se poi è un'immagine del Signore, diciamo: Signore Gesù Cristo Figlio di Dio, soccorrici e salvaci! E se (è l'immagine) della sua santa Madre, diciamo: Santa genitrice di Dio, Madre del Signore, intercedi presso il Figlio tuo, vero Dio nostro, affinché faccia salve le nostre anime! Ma se (è l'immagine) del martire (diciamo): O Santo Stefano, che hai versato il tuo sangue per il Cristo, tu che come protomartire hai la capacità di parlare con franchezza e fiducia, intercedi per noi! E di qualunque martire che ha sofferto il martirio, diciamo così, innalziamo simili preghiere per mezzo loro. E non è, come tu dici, o imperatore, che noi chiamiamo dèi i martiri".
La reazione di Gregorio II fu violenta: pose infatti Roma fuori dell'autorità imperiale e dichiarò di non riconoscere più Leone III come imperatore; non giunse però a nominare un altro imperatore, per non attirare l'esercito bizantino a Roma.
S. Giovanni Damasceno
La reazione più importante in Oriente fu quella di Giovanni Damasceno, l'ultimo dei grandi Padri della Patristica greca che, all'epoca, risiedeva nel monastero di San Saba nel deserto di Giuda, dove esiste tuttora la tomba.
Giovanni si pose alla testa della opposizione all'iconoclasmo e, nel periodo che va dal 726 al 730, scrisse Tre Discorsi in difesa delle icone, un dossier di testi patristici, e il commento che costituisce un vero trattato teologico dell'icona. Il Damasceno, parte dalla realtà dell'Incarnazione, su cui appunto si fonda l'iconografia cristiana: l’ Incarnazione ci ha posti in una situazione nuova di rapporto tra Creatore e creature, Dio e uomini, Spirito e materia. Il Verbo, facendosi carne, è entrato nella storia umana, è diventato un uomo concreto con un nome, Gesù di Nazaret e con un volto i cui tratti sono quelli del volto umano di Dio.
E' il paradosso dell'Incarnazione, che Teodoro Studita formula con queste parole: "l'inconcepibile viene concepito nel grembo di una Vergine; l'incommensurabile si fa alto tre cubiti; l'inqualificabile acquista una qualità; l'indefinibile si alza, si siede e si corica; e l'incorporeo entra in un corpo”. L'onore dell'immagine passa al prototipo, scrive s. Basilio.
Il Damasceno tornò sull'argomento compendiando la dottrina sulle immagini e la loro venerazione in un breve capitolo della sua principale opera teologica: Sulla fede ortodossa dove si puntualizza la netta distinzione tra l'adorazione dovuta solo a Dio (latria) e la venerazione con cui si rende un culto ai santi (dulia). Uno dei capitoli affronta il problema dei santi e della venerazione dello loro reliquie. Si tratta di una vera sintesi della dottrina circa i santi nella Chiesa bizantina e vi si riflette la liturgia agiografica come in uno specchio. Questo il testo:
«Bisogna venerare i santi; essi sono gli amici di Cristo, figli, eredi di Dio, come dice Giovanni il Teologo, l'Evangelista: "A quanti lo hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio" (Gv 1, 12). (...) Essi sono diventati i depositari del tesoro di Dio, la sua pura dimora: "Farò la mia dimora in loro e sarò il loro Dio" (Lv 26, 11-12) (...) Cristo, nostro Salvatore e Maestro, ci ha dato, sorgenti salutari, le reliquie dei santi che spandono la loro azione benefica e un balsamo profumato”
La strenua difesa delle immagini sacre da parte del Damasceno non mise fine alla guerra contro le immagini, iniziata nel 726, ma la sua dottrina sarà ripresa appieno dai Padri del VII Concilio ecumenico, svoltosi nella città di Nicea nel 787 ed elevata a dogma.
Dal decreto imperiale del 726 (o 730) al sinodo di Hieria (754)
L'imperatore Leone III, senza tener conto di quello che dicevano certi 'stranieri' -tali, a suo dire, Giovanni Damasceno o il papa Gregorio III- impose l'iconoclasmo su tutta l'estensione dello Stato. Quindi, constatando che la sovranità bizantina su Roma era di pura forma e l'ltalia del Sud seguiva Roma, nel 732/733 staccò i Balcani e l'ltalia del Sud dalla giurisdizione ecclesiale romana per annetterli alla giurisdizione costantinopolitana.
Nello stesso tempo staccò l'Isauria dalla giurisdizione di Antiochia, per annetterla ancora alla giurisdizione della capitale. Così le frontiere dell'Impero e quelle del patriarcato di Costantinopoli venivano a coincidere. Rafforzando la coesione dell'Impero e allontanando tutti coloro che contestavano la sua politica, a cominciare dal patriarca Germano, costretto a dimettersi e sostituito nella sede costantinopolitana con Anastasio, un iconoclasta, gettava così le premesse per creare una specie di Chiesa nazionale.
L'opposizione ortodossa che Leone III, grazie alla sua forte personalità, era riuscito a soffocare, si manifestò subito dopo la morte dell'imperatore (18 giugno 740), quando gli ortodossi sostennero suo genero Artabasdo nella lotta per la successione. Essi tennero in scacco per due anni il successore legittimo, Costantino V Copronimo (741-75), il quale, nel 742, ristabilì però il decreto del 730. Egli aveva una formazione teologica piuttosto seria e diede all'iconoclasmo un contenuto teologico e dogmatico che non aveva avuto sotto il padre.
Costantino V riteneva che l'iconoclasmo avrebbe preso una forma più chiara, dopo il periodo di gestazione. Nel 753, e in seguito ad un ordine imperiale, vennero organizzate delle riunioni in numerose città per dibattere la questione iconoclasta. L'imperatore si rese conto che l'iconoclasmo era ben radicato e che gli iconoclasti avevano gli occhi volti verso di lui; perché divenisse dottrina ufficiale occorreva tuttavia un concilio che condannasse il culto delle icone.
Così Costantino convocò un sinodo che ebbe luogo a Hieria, località presso Calcedonia, nel 754.
338 vescovi risposero all'appello imperiale. Né Roma né gli altri patriarcati d'Oriente parteciparono. Inoltre, poiché il trono patriarcale di Costantinopoli era vacante, la presidenza venne affidata a Teodosio di Efeso. Gli atti e le decisioni di questo sinodo sono andati perduti; tutto quello che sappiamo ci viene dalla confutazione delle sue decisioni che ebbe luogo al II concilio ecumenico di Nicea, nel 787. Si sa per esempio che Costantino presentò ai partecipanti un trattato teologico -un’opera nello stile delle domande e risposte- secondo il quale la venerazione delle icone non era idolatria bensì pura eresia. Da qui l’impossibilità teologica di raffigurare il Cristo senza contraddire il dogma di Calcedonia (451) della perfetta unione in una sola ipostasi della natura umana e di quella divina. Per Costantino l’unica vera icona di Cristo era l’Eucarestia perché, illustrando la natura umana del Cristo si cade nel nestorianesimo, che separa le due nature, o nel monofisismo che le confonde.
Il sinodo -celebrato dal febbraio all’agosto 754- anatematizzò poi il patriarca Germano e Giovanni Damasceno, ma non seguì l'imperatore nelle sue opinioni a proposito della Santa Vergine o della venerazione dei santi. La cosa più grave fu però una dichiarazione dei partecipanti, secondo la quale l'imperatore, in quanto successore e uguale agli apostoli, non aveva bisogno di un concilio per decidere in materia di fede cristiana. Pare che i vescovi bizantini fossero talmente logorati dall'iconoclasmo che presero decisioni di una leggerezza imperdonabile.
Solo i monaci reagirono contro le decisioni di Hieria. Costantino chiuse, per questo, numerosi monasteri e costrinse molti monaci a prendere moglie. Chi non si sottometteva veniva perseguitato. Da ciò ebbe seguito un movimento di esodo di monaci bizantini, che lasciarono l'impero per andare a stabilirsi nelle regioni controllate dagli arabi, o in Italia.
Anche i patriarchi d'Oriente, Teodoro di Gerusalemme, Teodoro d'Antiochia e Cosma di Alessandria si rifiutarono di accettare le decisioni di Hieria. Nel 767 inviarono a Roma un memorandum a favore delle immagini e chiesero al papa di prendere l'iniziativa.
Stefano III convocò allora nel 769 un sinodo al Laterano, al quale parteciparono più di 50 vescovi d'ltalia, dello Stato franco e d'Oriente. Il sinodo anatematizzò quello di Hieria e affermò la propria adesione all'idea della rappresentazione del sacro. La politica imperiale ricevette un serio avvertimento e le decisioni di Hieria non vennero considerate come riflettenti l'opinione di tutta la cristianità.