Guerra fredda e decolonizzazione
All’indomani della sconfitta della Germania, la Chiesa di Pio XII dovette affrontare una doppia sfida della guerra fredda e della decolonizzazione;
La guerra fredda
La guerra fredda può essere definita come una guerra senza guerra, essa consiste nella divisione del mondo in due parti ostili:
- da una parte l’Occidente liberale aderente al Patto Atlantico (U.S.A. e Stati dell’Europa occidentale);
- dall’altra, l’Est europeo comunista aderente al Patto di Varsavia (Unione Sovietica e paesi satelliti);
Di fronte a tale problema, la Chiesa non è potuta rimanere neutrale come avrebbe voluto, ma si è vista costretta a schierarsi a fianco dell’Occidente e del mondo libero, perché il fenomeno ebbe una dimensione religiosa, o meglio una dimensione ideologico-dottrinale e una ecclesiastico-politica.
- Per quanto riguarda la dimensione ideologico-dottrinale, la Chiesa si trovò a combattere contro il comunismo, che non era solo una forma di governo, ma soprattutto un’ideologia che insegnava l’ateismo di Stato. Pio XII riprende e allarga le condanne del suo predecessore il cui culmine si ebbe con il decreto del Santo Uffizio del luglio del 1949 che minacciava di scomunica tutti quei fedeli cattolici che aderivano all’ideologia comunista. In un radiomessaggio del ’44 la Chiesa che fino ad allora si era dichiarata indifferente alle varie forme di governo, dopo la guerra, vedeva nella democrazia quell’insieme di valori che sono in consonanza col messaggio evangelico. Dunque nel dopoguerra si assistette alla nascita di partiti democratici cristiani, tra cui la Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi, che vinse le elezioni del 1948, in quanto sostenuta dalla Chiesa, che in tale modo voleva far fronte al partito dei comunisti.
- Per quanto riguarda, invece, la dimensione ecclesiastico-politica, la Chiesa è stata perseguitata nei paesi dell’Europa dell’Est, fino all’espulsione della diplomazia vaticana negli anni che vanno dal ’45 al ’50. Ma il culmine dello scontro fu raggiunto l’8 febbraio del 1949 con l’arresto e la condanna all’ergastolo del cardinale primate d’Ungheria Mons. Mindszenty, che si era opposto dapprima al nazismo e poi al comunismo, accanto a lui ci fu, nel ’45, un altro arresto, quello dell’arcivescovo di Zagabria Mons. Stepinac, condannato a 16 anni di prigionia con l’accusa di collaborazionismo.
L’adesione della Chiesa alle forme di governo democratiche non significava l’identificazione con l’Occidente, contro cui Pio XII, fin dall’inizio degli anni ’50, cercò di prendere le distanze, tant’è vero che nel 1952 fu pubblicata una lettera apostolica indirizzata Ai popoli della Russia, che aveva lo scopo di essere un segno di apertura della Chiesa verso il comunismo, ma non fu recepita bene dai russi. Tre sono i fattori che spiegano l’evoluzione della posizione della Chiesa:
- dopo la conclusione del Patto Atlantico, aprile ’49, fu avviata in Occidente una campagna comunista per la pace, contro l’imperialismo occidentale;
- all’inizio degli anni ’50, l’Unione Sovietica fece esplodere la sua prima bomba atomica, con cui cominciò il periodo del terrore. Nei confronti di tale evento il papa, cercò di adattare la dottrina della Chiesa sulla guerra, legittimando il diritto alla guerra alla sola “legittima difesa”, cioè l’uso delle armi doveva essere proporzionato all’aggressione ricevuta. Nel frattempo cercò comunque di proporre il disarmo dei due blocchi contrapposti;
- all’inizio degli anni ’50 si avvia un processo di unificazione europea all’interno del blocco atlantico fra i paesi cattolici incoraggiata da Pio XII, ma indipendente dagli U.S.A., sicché si parlò di un’”Europa Vaticana”. Tale unificazione ancora oggi in corso, ha portato alla conclusione dei Trattati di Roma, con i quali nasce la CEE, in cui la Santa Sede ritrova uno spazio nuovo tra l’unione Sovietica e l’USA;
La decolonizzazione
Per quanto riguarda la decolonizzazione, la Santa Sede era preparata a questo evento, tant’è vero che le encicliche missionarie (Maximum Illud e Rerum Ecclesiae) miravano a distaccare la causa della missione da quella della colonizzazione, insistendo sulla costituzione di un clero indigeno. Mons. Celso Costantini delegato apostolico della Santa Sede in Cina negli anni ’20 e Segretario della Congregazione De Propaganda Fide dal ’33 al ’52, era favorevole ad una strategia di adattamento come insegnavano i gesuiti, e, quindi tollerava le influenze locali nella liturgia, nel ’39 si autorizzarono i riti cinesi.
Di fronte al problema della decolonizzazione, la Santa Sede, almeno in un primo tempo, fu prudente, perché aveva paura di incoraggiare un processo di decolonizzazione a favore del comunismo, ma solo dagli anni ’50 la sua posizione sarà più netta con l’enciclica Evangeli Praecones del 1951 che si pronuncia a favore delle Chiese locali radicate nella realtà culturale dei vari paesi e su un clero autoctono. Per la prima volta la Chiesa decideva di erigere la gerarchia locale nei vari paesi di missione, iniziando un processo di indigenizzazione, con l’ordinazione di numerosi vescovi indigeni e la creazione di nuove diocesi e arcidiocesi.
In un certo qual modo la Chiesa approvò il processo di decolonizzazione, passando da una prospettiva politica ad una missionaria, riconoscendo il diritto all’indipendenza dei popoli colonizzati, come affermato nell’enciclica Fidei Donum del 1947, dedicata allo sviluppo delle Chiese indigene d’Africa.