Storia del Concilio di Efeso (431)
Il concilio di Efeso del 431 fu convocato per risolvere l'eresia di Nestorio, che vedeva in Maria non la madre di Dio, ma solamente la Madre di Cristo, in questo modo risultavano due Cristi.
Nestorio era un antiocheno, e questi, tendevano a separare le due nature, a differenza degli alessandrini che le tenevano ben unite, con il rischio a volte di mescolarle. I principali contendenti furono due: Nestorio di Costantinopoli, e Cirillo d'Alessandria.
Il terzo concilio, celebrato ad Efeso nel 431, ai tempi di papa Celestino I (423-432), sotto l'imperatore Teodosio il Giovane, intervenne per sanare una nuova frattura, sorta in oriente, definendo contro Nestorio che in Cristo v'è unità di persona (persona del Verbo) e quindi Maria e Madre di Dio (Theotòkos ).
La conclusione delle controversie trinitarie del sec. IV che aveva visto nel Costantinopolitano I la riaffermazione del mistero di comunione fra Padre, Figlio e Spirito, lasciava spazio a nuovi interrogativi che spostavano l’attenzione della riflessione teologica dal problema di Dio a quello dell’Incarnazione. Il passaggio a questa nuova fase si ebbe con la replica alle tesi di Apollinare, contro cui l’ortodossia ribadì ad un tempo la piena divinità e la piena umanità di Cristo, ma senza riuscire ancora a proporre una formula dogmatica che pensasse il rapporto fra esse. Superato il problema della completezza delle due nature che compongono il Cristo, bisognava ora spiegare il modo dell’unione di Dio e uomo in lui.
Da un lato la tradizione alessandrina, riallacciandosi al linguaggio della cristologia giovannea, vedeva il mistero del Dio fatto uomo dentro lo schema dei rapporti fra il Logos (= Verbo) e la sarx (=carne); dall’altro la scuola di matrice essenzialmente antiochena, ma con significative convergenze nella cristologia di area latina, imperniava la sua concezione dell’Incarnazione sul modello Logos-anthropos (= Verbo-uomo).
L’apollinarismo, che rappresentò una reazione alle debolezze della teologia affermatasi in abiente antiocheno, soprattutto con Diodoro di Tarso, evidenziò pure i limiti insiti nel suo stesso modello alessandrino.
Le due diverse correnti teologiche contenevano entrambe elementi di squilibrio: la cristologia alessandrina era portata a vedere il Logos come il soggetto umano della sarx, arrivando così a mettere in dubbio o ad oscurare l’esistenza di un’anima umana in Cristo, o comunque a non valorizzarla appieno; invece la cristologia antiochena, preoccupata della piena consistenza e autonomia umana di Gesù, nuovo Adamo, dava l’impressione di concepire l’inabitazione del Logos nell’anthropos, come un rapporto morale, anziché ontologico. Pertanto se la prima aveva il vantaggio di sostenere con forza l’unione di Dio e uomo in Cristo, andava però incontro al pericolo di affermare una fusione di questa duplice realtà. A sua volta la seconda, sottolineando la netta distinzione fra Dio e uomo, non evitava il pericolo di una loro separazione e prestava il fianco all’accusa, già lanciatale da Apollinare, di professare due Cristi (Ad Iov. 3).
La Scuola Alessandrina, per sottolineare l'intima unione delle nature, parlava di mescolanza delle stesse, compromettendo l'integrità delle nature.
Vero è che s. Cirillo, patriarca di Alessandria (+ 444), insegnò la vera unità delle due nature, nell'unica persona di Cristo, senza mescolanze, un’unione fisica e reale. In seguito però la Scuola finì per esagerare la dottrina della reale unione delle due nature nell'unica persona del Cristo. Due gli esponenti: il monaco Eutiche (+ 451) e il patriarca di Alessandria Dioscuro (+ 454). La loro dottrina sfociò nel monofisismo: spiegavano che l'unione fra le due nature è talmente intima da garantire non solo l'unità della persona di Cristo, ma da diventare una sola natura, quella divina che ha assorbito le natura umana.
Mentre la Scuola Antiochena insisteva invece sulla distinzione reciproca e sulla loro completezza: così insegnava Diodoro di Tarso e Teodoro di Mopsuestia.
Il primo parlava di semplice inabitazione del Logos nell'uomo e distingueva due Figli di Dio in Cristo: uno naturale e uno adottivo per grazia. Anche Teodoro non ammetteva una vera e propria incarnazione perché, a suo dire, ciò importava la trasformazione del Logos in un uomo; riconosceva solo una inabitazione del Logos nell'uomo Gesù. Parlava pertanto di una sola persona e di unità di volontà e faceva nascere dalla Vergine non il Figlio di Dio, ma un uomo nel quale abitava Dio e chiamava Maria, Madre di Cristo e non Madre di Dio.
Il contrasto fra le due scuole, quella Antiochena e quella Alessandrina ebbe in seguito risvolti politici: dietro queste facciate si fronteggiarono governo centrale e periferia (Costantinopoli nuova-Roma e Alessandria).
A far conoscere a Costantinopoli la teologia antiochena fu Nestorio, già monaco in Antiochia e dal 428 patriarca di Costantinopoli, il quale, fin dal suo discorso inaugurale, domandò all’imperatore di perseguire vigorosamente gli eretici: ariani, apollinaristi e novaziani. Cinque giorni dopo la sua intronizzazione, la polizia fece irruzione nei loro luoghi di ritrovo a Costantinopoli e qualche settimana più tardi una legge imperiale rinnovò le proibizioni, già emanate contro gli eretici. La legge fu applicata con rigore.
Ariani e apollinaristi discutevano sulla persona del Cristo; vi prendevano parte monaci che cadevano in errori grossolani. Si diceva correttamente che il Verbo, consustanziale al Padre, era nato dalla Vergine, che era cresciuto con l’umanità che gli serviva da tempio; che era stato seppellito con il suo corpo. Si usava, per indicare la Vergine, la parola Theotòkos, sconosciuta alle scritture e ignorata dai padri di Nicea. Ma, parlando, si confondevano nell’incarnazione la divinità e l’umanità del Figlio di Dio; si dimenticava che i Padri di Nicea avevano definito il Signore Gesù Cristo, “Figlio di Dio, incarnato per opera dello Spirito Santo e nato da Maria Vergine”.
Correttamente si riconoscevano due nature: il Figlio di Dio, consustanziale al Padre e l’uomo, nato da Maria, che noi adoriamo uniti. I fedeli hanno sempre creduto che Gesù Cristo è nello stesso tempo Dio e uomo, fede così riassunta da Giovanni, “il Verbo si è fatto carne”. La Vergine è madre di un uomo, ma quest’uomo è allo stesso tempo un Dio: avendo dato alla luce un figlio che è Dio, si può ben dire che Maria è Madre di Dio. Di opinione diversa era invece il presbitero Anastasio, un antiocheno che Nestorio aveva portato con sé a Costantinopoli. Questi, nelle sue prediche, cominciò a biasimare il titolo antico e caro al popolo, di Madre di Dio (Theotokos), attribuito alla Vergine Maria. Si agitarono allora clero e popolo.
Nestorio non prese le difese di Anastasio; e neppure affrontò speculativamente il rapporto fra le due nature in Cristo, si preoccupò solo di esporre una teologia della vita cristiana, che ha come punto di riferimento la concezione paolina del ‘secondo Adamo’ e respingendo l’espressione antrotokos (=Madre dell’uomo), proposta da Anastasio e, non tenendo conto della tradizione patristica sul termine theotokos, propose una soluzione intermedia, usando l’espressione, Madre di Cristo (Christotòkos). Il suo metodo teologico si fondava coerentemente sull’autorità della Scrittura e dei concili. Egli affronta il problema del Cristo non sotto l’aspetto dell’unità, bensì a partire dalla dualità delle due nature, ma incapace di distinguere tra natura e persona tende a concepire le due nature di Cristo come due persone.
Per Nestorio, timoroso dell'insorgenza di nuove eresie, a Gesù di Nazaret non si possono predicare gli attributi del logos poiché le due nature sono unite in Cristo estrinsecamente e l'appellativo di Theotokos dato alla Vergine, non era in armonia con il simbolo di Nicea, pertanto affermava che la designazione giusta era Madre di Cristo.
Si levò contro di lui una viva opposizione, non solo a Costantinopoli -da parte di monaci, laici ed ecclesiastici- ma anche in regioni lontane. Uno dei maggiori oppositori fu Cirillo, patriarca di Alessandria che, già nel 429, in una epistola pasquale diretta ai vescovi egiziani e in una lunga enciclica ai monaci di Egitto, denunciò Nestorio. Quindi scrisse una lettera anche a Nestorio, chiedendo spiegazioni della sua dottrina.
A questo punto, per far valere le proprie ragioni, i due ricorsero al vescovo di Roma, Celestino I (423-432). Il papa convocò a Roma, per '11 agosto 430, un sinodo che condannò Nestorio, perché si riteneva separasse in Cristo le due nature, ora credendolo un semplice uomo, ora facendolo dimorare con Dio. Fu allora che Cirillo, per incarico del papa, intimò a Nestorio di ritrattare la sua dottrina, pena l'esilio e gli inviò 12 anatemismi da lui formulati in un sinodo di Alessandria contenenti gli errori da abiurare. Nestorio si rivolse allora all'imperatore Teodosio II perché convocasse un concilio ecumenico. Papa Celestino non si oppose, ma dichiarò di non ritrattare la condanna di Nestorio.
I principali contendenti furono dunque due vescovi patriarchi: Nestorio di Costantinopoli (già monaco di Antiochia) e Cirillo di Alessandria e il problema in questione era la determinazione teologica e terminologica della maternità divina di Maria di Nazaret.
La cristologia di Cirillo di Alessandria attribuiva particolare rilievo alla nozione di ‘immagine di Dio’ e all’incarnazione , come restaurazione di essa nell’uomo, ma interpretava questi concetti in maniera sensibilmente diversa da Nestorio. Cristo, in quanto uomo, è per Cirillo oggetto della divinizzazione del Verbo, che è l’unico vero protagonista della salvezza.
Nestorio sottolinea invece la completezza umana del Cristo, poiché il peccato è vinto dalla libera volontà dell’uomo assunto.
Richiamandosi alla fede piena, Cirillo ribadisce il concetto dell’unione ‘secondo l’ipostasi’ fra il logos e la carne, nonché la diversità delle nature, unite in un unico soggetto, senza che ciò significhi la soppressione delle specificità distinte delle nature.
Nestorio dà atto a Cirillo di aver riconosciuto la divisione delle nature, congiunte da un solo prosopon, ma gli rimprovera di aver applicato al Logos le proprietà della carne. Per evitare di rendere passibile la natura divina del Logos, è meglio indicare come soggetto dell’incarnazione il Cristo, di conseguenza è meglio usare l’espressione “Madre di Cristo”, anziché di “Madre di Dio”.
Con lettera del 19 nov. 430 Teodosio II ordinò a tutti coloro che erano stati convocati di trovarsi ad Efeso il 7 giugno 431 (festa di pentecoste). Il 22 giugno, benché non fossero ancora arrivati né i legati romani, né i vescovi orientali guidati da Giovanni di Antiochia, Cirillo di Alessandria diede inizio al concilio nella chiesa di Efeso dedicata a Maria Theotokos.
Nestorio, convocato per tre volte, non si presentò: la sua dottrina venne esaminata e il concilio si concluse già con la prima seduta del 22 giugno 431 con la condanna, pronunciata nei suoi confronti e sottoscritta subito da 197 vescovi, ai quali successivamente se aggiunsero altri.
Questa la procedura: su proposta del primo notaio Pietro d'Alessandria, fu esaminata la seconda lettera di Cirillo a Nestorio che fu ritenuta congrua con il simbolo niceno. Dopo di che l'assemblea richiese la lettura della seconda lettera di Nestorio a Cirillo che invece venne condannata. Fu quindi deposto Nestorio.
Poco dopo arrivarono Giovanni e il gruppo degli orientali: essi rifiutarono di essere in comunione con Cirillo e il 24 giugno diedero vita a un altro concilio, presieduto da Giovanni e dove fu condannato e deposto Cirillo e il vescovo di Efeso, Memnone.
Quando l'11 luglio arrivarono i legati papali, Arcadio e Proietto vescovi e il presbitero Filippo, questi si unirono a Cirillo e ci fu una nuova seduta che approvò quanto già svolto e confermò la condanna e la deposizione di Nestorio. Poi il concilio, il 17 luglio, nella V sessione, scomunicò Giovanni e i suoi. Il concilio non emanò un nuovo simbolo di fede, ma ritenne sufficiente il niceno.
Si trattò di un dibattito cristologico centrato sull'incarnazione, dibattito che proseguirà a lungo fino al concilio Costantinopolitano III (680-81), convocato per discutere la dottrina monotelita.
Il principale atto dogmatico tra i documenti del concilio dei seguaci di Cirillo -l’unico ritenuto ecumenico- è: 1) il giudizio di congruenza della seconda lettera di Cirillo a Nestorio e della seconda lettera di Nestorio a Cirillo, con il simbolo niceno, letto in apertura dei lavori conciliari. La lettera di Cirillo è dichiarata dai padri conforme, mentre quella di Nestorio viene condannata.
Gli altri documenti sono: 2) i 12 anatematismi e la lettera esplicativa che li precede, inviata a Nestorio da Cirillo e dal Sinodo di Alessandria nell’anno 430, testi letti a Efeso e inseriti negli atti. 3) La condanna di Nestorio. 4) La lettera del Concilio con cui si comunica a tutti i vescovi al clero e al popolo la condanna di Giovanni. 5) Il decreto sulla fede approvato nella VI sessione del 22 luglio, nel quale è confermata la fede nicena, è vietato procedere alla formulazione di nuovi simboli, mentre si fa obbligo di aderire soltanto a quello sottoscritto dai 318 padri. 6) La definizione contro i messaliani. 7) Il decreto sulla autonomia della chiesa di Cipro.
Entrambi i concili inviarono legati all’imperatore che non approvò nessuna delle due parti e congedò i vescovi. Mentre il concilio fu approvato da Sisto III, poco dopo la sua ordinazione, avvenuta il 31 luglio 432. In oriente il concilio aveva dato però origine a uno scisma che Teodosio II si sforzò di appianare. Ciò avvenne quando Giovanni di Antiochia, dopo aver rinunciato alla richiesta di condanna degli anatematismi cirilliani che erano stati causa di conflitti, inviò ad Alessandria una lettera per Cirillo, dove si dichiarava la duplice nascita di Cristo, da Dio Padre e da Maria e pertanto la sua doppia consustanzialità con Dio e con l’uomo; si riconosceva, che nell’Incarnazione si è prodotta l’unione delle due nature, senza che venisse meno la distinzione fra esse e che proprio in forza di tale unione Maria può essere detta “Madre di Dio”. Cirillo ne prese atto nella “Laetentur caeli”, l’epistola di pace indirizzata al vescovo di Antiochia e, nell’aprile 433, potè annunciare ai suoi fedeli l’avvenuta composizione dello scisma.
Il dibattito cristologico, centrato sull'incarnazione, proseguì tuttavia a lungo, fino al concilio Costantinopolitano III (680-81), convocato per discutere la dottrina monotelita, dove fu tirato in ballo uno degli oppositori di Cirillo, Teodoreto, vescovo di Cirro.