Da Celestino V a Bonifacio VIII
La rinuncia di Celestino V e l'elezione di Bonifacio VIII, sua massima preoccupazione fu quella di restituire al papato gli antichi splendori
Dopo Martino IV seguirono i pontificati di Onorio IV (1285-87) e di Niccolò IV (1288-92): quest’ultimo fu il primo francescano sul trono papale, amico dei Colonna, avversari degli Orsini.
Quindi, dopo una lunga sede vacante, a motivo della divisione delle due famiglie romane, alla fine, dopo due anni e tre mesi, si ebbe un'elezione unanime nella persona di Pietro, eremita di Morrone negli Abruzzi, che prese il nome di Celestino V (1294), ma tenne il pontificato solo cinque mesi: dal 5 luglio 1294 al 13 dicembre successivo quando, preoccupato dal fatto che molti stavano profittando della sua inesperienza per ottenere indebiti favori dalla curia, Celestino V lesse un documento in cui espose i motivi della sua rinuncia, comandando ai cardinali di fare una nuova elezione; quindi si ritirò nella sua cella di Castel Nuovo, tornando a vivere l’austera vita eremitica, insieme ad alcuni compagni, sul monte Maiella.
Dieci giorni dopo i cardinali entrarono in conclave eleggendo papa Benedetto Caetani, già consigliere di Celestino V, che prese il nome di Bonifacio VIII (1294-1303).
Fu l'ultimo grande papa del Medio Evo. Uomo di grande ingegno e di notevole capacità amministrativa, dottissimo in diritto, massima preoccupazione di Bonifacio VIII fu quella di restituire al papato l'antico splendore. Fa da apertura lo sfarzoso corteo per l'incoronazione, avvenuta il 25 gennaio 1295: il neo eletto pontefice procedette su cavallo bianco, con alle staffe i due vassalli pontifici, Carlo II d'Agiò e Carlo d'Ungheria. "Deus in adiutorium meum intende", fu il motto che Bonifacio scelse per il suo sigillo, quasi ad indicare l'urgenza di un rinnovamento nella Chiesa e, insieme, la coscienza di una immane responsabilità.
Per evitare che si usasse del suo predecessore, per provocare uno scisma, Bonifacio VIII tenne rinchiuso Celestino V, fino alla morte (1296), nel castello di Fumone presso Anagni; mentre Clemente IV, assecondando il desiderio di Filippo il Bello lo proclamerà santo nel 1313.
Tra i primi atti di Bonifacio VIII, le revoche dei favori e privilegi estorti al suo predecessore da persone prive di scrupoli, ma anche di grazie liberamente concesse, come la Perdonanza dell'Aquila (la cancellazione della perdonanza rilascita da Celestino V alla basilica di Collemaggio nel 1294 avvenne il 23 luglio 1296).
Risoluto ad estirpare, e con mano energica, i molti abusi allora presenti nella Chiesa, il pontefice suscitò vivaci opposizioni. Il primo grande scontro Bonifacio lo ebbe con Filippo il Bello, re di Francia, lo Stato più potente e più compatto di allora.
Filippo IV, per far fronte alle spese di guerra, aveva imposto delle tasse sui beni del clero, contrariamente alle vecchie prescrizioni del diritto canonico. Nel 1296 il papa, di tutta risposta, emanò la bolla "Clericis laicos" proibendo, sotto pena di scomunica, che gli ecclesiastici dessero doni o contributi di qualsiasi genere, senza il permesso della Sede Apostolica e inibendo ai sovrani e ai loro ufficiali di riscotere tasse e tributi dai beni ecclesiastici. Fu guerra. Filippo IV passò alle contromisure, vietando l'esportazione di argento e di preziosi dal territorio francese ed espellendo dal regno gli stranieri; nel mirino, i collettori papali e i banchieri italiani incaricati di trasferire i valori alla Camera Apostolica. A questo punto Bonifacio VIII fu costretto a cedere: le parti raggiunsero un sofferto accordo e, come segno della pace conclusa, Bonifacio, nel 1297, canonizzò Luigi IX, avo di Filippo IV.
Non meno violento il conflitto con la potente famiglia romana dei Colonna, da qualche tempo antagonista dei Caetani: questi, Angioini; i Colonna, filoaragonesi.
Questa famiglia, che aveva il suo feudo a Palestrina, aveva dato alla Chiesa due cardinali, Iacopo Colonna e suo nipote Pietro, segretamente alleati con i ghibellini d'Italia e con l'aragonese Federico III di Sicilia, che Bonifacio aveva combattuto e soprattutto amici degli spirituali francescani e dei seguaci di Gioacchino da Fiore insieme ai quali, il 10 maggio 1297, avevano sottoscritto il proclama di Lunghezza -tra i firmatari anche fra Iacopone da Todi- proclama dove veniva contestata la legittimità dell'elezione di Bonifacio VIII e comunque la validità dell'abdicazione di Celestino V, per cui si appellavano a un concilio generale, reclamando l'elezione di un nuovo papa.
Fu guerra quando Stefano Colonna, conte di Romagna rapinò il tesoro papale. Bonifacio VIII convocò i due cardinali Colonna davanti al suo giudizio e chiese ai colonnesi la consegna dei loro castelli. Costoro invece di obbedire, mossero guerra al pontefice. Di tutta risposta, nel maggio, Bonifacio VIII indisse una crociata contro i Colonna, fece radere al suolo il castello di Palestrina, loro principale fortezza; quindi, con bolla "In excelso throno", depose Iacopo e Pietro dalla dignità Cardinalizia, li scomunicò, ne confiscò i beni e distrusse Palestrina Castel S. Pietro e altri paesi colonnesi, disperdendo i membri dlla famiglia Colonna; alcuni si rifugiarono in Francia presso Filippo il Bello.
Sono queste le appena trascorse vicende che permettono, tra l’altro, di capire perché il pontefice, subito dopo aver emanato la bolla del giubileo, ne abbia fatta un'altra, per escludere determinati ribelli dal beneficio delle indulgenze, elargite per il Giubileo