Storia del Concilio di Calcedonia
Nel 448 un sinodo condanno la dottrina di Eutiche, gli alessandrini avversari degli antiocheni per tenere unite le due nature finivano per confonderle.
In questo modo una volta effettuata l'incarnazione si potrebbe parlare di una sola natura. La Dottrina comportò la condanna a Eutiche. Per questo nel 451 prese vita il quarto concilio ecumenico, quello di Calcedonia. Questo concilio afferma che in Gesù unica persona ci sono due nature, umana e divina, tutte intere, Gesù è tutto uomo e tutto Dio.
Il quarto concilio, celebrato nella basilica di S. Eufemia a Calcedonia, sul Bosforo, nel 451 ai tempi di papa Leone Magno e sotto l'imperatore Marciano, è il compendio del precedente e definisce, contro Eutiche che in Cristo vi è una sola persona in due nature unite ipostaticamente. Questo concilio fu particolarmente caro agli occidentali per la sistemazione dottrinale che ha dato al problema cristologico la cui discussione era ufficialmente iniziata con Ario.
Questi gli antefatti. Nestorio, dopo essere stato deposto fu mandato in esilio, da ultimo nel deserto dell'alto Egitto. Dietro suo suggerimento Giovanni di Antiochia incaricò però Teodoreto di Cirro di confutare i 12 anatematismi. Teodoreto, non rendendosi però conto di quanto stava al di là della terminologia, considerò in Cirillo ipostasi e natura come sinonimi, per cui “l’unione secondo la natura” comportava una mescolanza (crasis) delle nature stesse, aprendo la porta al monofisismo. Da qui l’accusa di apollinarismo fatta nei confronti di Cirillo dagli antiocheni, senza riuscire a percepire la differenza tra aspetto sostanziale e formulazione teologica. Intervenne allora Teodosio II, con un severo editto contro i nestoriani.
Da parte sua Nestorio, poco prima della morte, scrisse un trattato (Liber Heraclidis), dove venivano criticate aspramente le decisioni di Efeso, insistendo sulla concordanza della sua dottrina con quella di papa Leone I e del patriarca Flaviano di Costantinopoli. Nestorio, chiarendo il suo pensiero circa un solo e medesimo Cristo in due nature, considera la natura come punto di partenza e principio della dualità in Cristo, ma senza comprendere il termine Theotokos. Vi sosteneva due persone-nature (la divina e l'umana) in Cristo che vengono tenute insieme non dall’ipostasi, ma da una terza persona unitiva comune (prosopon), ritenuto il modo di manifestarsi dell’essenza (ousia) di Cristo.
Se la soluzione di Cirillo prestava il fianco all’accusa di monofisismo lanciata dagli antiocheni, da parte sua Nestorio, pur cercando di esprimere l’unità in Cristo nella distinzione di divinità e umanità, non risolveva il problema.
Dopo la proibizione e la distruzione di questo libro, i nestoriani cominciarono a servirsi delle opere di Teodoro di Mopsuestia e di Diodoro di Tarso, i veri padri del nestorianesimo. I cristiani furono però messi in guardia contro questi scritti, specie da Rabula, vescovo di Edessa. Ma Iba, successore di Rabula, fu un fautore di Teodoro. L'imperatore Zenone, per impedire l'insorgere dell'eresia nestoriana, nel 489 chiuse la scuola teologica di Edessa. L'eresia proseguì invece in Persia dove si erano rifugiati molti nestoriani perseguitati nell'Impero romano, dando vita a una scuola teologica e a una chiesa nazionale persiana nestoriana.
L'errore dei nestoriani aveva portato a separare le due nature in Cristo, tanto da minacciare l'unità del Salvatore. Gli alessandrini, loro avversari, caddero nell'estremo opposto, accentuando la divinità a scapito dell'umanità, fino a mescolare le due nature o ad assorbire la natura umana in quella divina. Pur ammettendo che Cristo risulta dalla composizione delle due nature, una volta effettuata l'incarnazione -per loro- si può parlare solo di un’unica natura (mia kai mone fysis, da cui monofisismo). Quindi, per loro, il corpo di Cristo non è più di uguale natura del nostro, ma è divinizzato.
Al sinodo endemico di Costantinopoli, del 448, il patriarca Flaviano condannò, come eretico, il monaco Eutiche di Costantinopoli, per aver sostenuto una simile dottrina e gli atti furono comunicati a papa Leone I. Eutiche si rivolse allora alla corte e l'imperatore Teodosio II, su sollecitazione di Dioscuro di Alessandria, successore di Cirillo e fautore di Eutiche, convocò un nuovo concilio a Efeso affidandone la presidenza a Dioscuro. Ai legati papali fu negata la presidenza che essi reclamavano; non fu ammessa la lettura degli scritti del papa, nemmeno della Epistula dogmatica ad Flavianum nella quale Leone I, prendendo le distanze dalla scuola alessandrina, aveva fatto un'ottima esposizione della dottrina in questione: nonostante l'unione delle due nature e sostanze nell'unica persona di Cristo, non si verifica nessuna mescolanza delle due nature, ma anzi ciascuna di esse opera, in collegamento con l'altra, quello che le è proprio.
L'esito del concilio fu così scontato. Eutiche fu proclamato ortodosso perché asseriva di attenersi ai sinodi di Nicea e di Efeso, ripudiando come innovazione la dottrina delle due nature dopo l'incarnazione. Mentre furono condannati Flaviano, patriarca di Costantinopoli, e quanti si erano mossi contro Eutiche, in particolare Teodoreto di Cirro, Domno di Antiochia e Iba di Edessa.
La vittoria dei monofisiti fu breve. Il latrocinium efesinum, come lo chiama Leone I in una lettera all'imperatrice Pulcheria (451), venne rigettato da tutte le parti e nello stesso tempo si reclamò la convocazione di un nuovo concilio. Convocato dapprima a Nicea, quindi -nell'autunno del 451- fu trasferito a Calcedonia, sul Bosforo. Al concilio parteciparono oltre 600 membri, fra cui 350 vescovi, ma solo 5 occidentali (due vescovi africani e tre legati papali). Vi partecipò anche la coppia imperiale e Pulcheria tenne persino la presidenza onoraria. L'assemblea riconobbe come ecumenici i concili del 325, del 381 e del 431 e approvò il simbolo niceno e il niceno-costantinopolitano. Rigettò il latrocinium efesinum; depose Dioscuro, mentre Teodoreto e Iba vennero reintegrati nella carica.
Contro le eresie di Nestorio e di Eutiche il concilio dichiara :
"noi insegniamo e professiamo un unico e identico Cristo, perfetto nell'umanità, veramente Dio e veramente uomo, il medesimo (costituito) di anima razionale e corpo, consostanziale al Padre secondo la divinità e il medesimo consostanziale a noi secondo l'umanità, sotto ogni rispetto simile a noi, all'infuori del peccato (...) per la nostra salvezza (nato) da Maria la Vergine, la Genitrice di Dio, secondo l'umanità, unico e medesimo Cristo Figlio Signore unigenito, da riconoscersi in due nature, non confuse e non trasformate, non divise non separate, poiché l'unione delle due nature non ha soppresso la loro differenza, anzi ciascuna natura ha conservato le sue proprietà e si è unita con l'altra in un'unica persona (prosopon) e una sola ipostasi".
In forza del principio dell’approfondimento della verità rivelata che si basa sulla legge della crescita organica -approfondimento che pertanto esclude alterazione o sviluppo estranei alla verità rivelata- in questo simbolo di fede, abbandonata la tendenza che vietava di fare aggiunte al credo di Nicea, furono introdotti termini come natura, persona, ipostasi, cambiamento, unione e altri che, da allora, diverranno patrimonio del linguaggio teologico, ponendo fine a un lungo cammino che aveva prodotto nella Chiesa non poche lacerazioni. E’ questo un principio che aveva fatto proprio Leone Magno nel Tomo a Flaviano e che si ritrova anche nel Commonitorium di Vincenzo di Lerino, un autore coevo. Questi sosteneva che della fede potevano crescere e progredire “l’intelligenza , la scienza, la sapienza” a condizione che si trattasse dello stesso dogma, avesse il medesimo significato, fosse il medesimo pensiero. Mentre l’introduzione nel “depositum fidei” di termini propri della filosofia ellenistica fu una necessità al fine di dare risposte alle eresie, ai problemi teologici e a difficoltà diversamente insolubili. A questo mirava il simbolo di Calcedonia, concilio convocato per dare una risposta definitiva alle dottrine di Nestorio e di Eutiche.
Nel 482 ci fu un tentativo, da parte dell'imperatore Zenone (474-491), di azzerare questo concilio di Calcedonia, mediante un editto (Enotikon) che è una professione di fede, un editto di unione, dove venivano ripudiati Eutiche, Nestorio e il Concilio di Calcedonia, imponendo di tornare al simbolo di Nicea).
L’editto è sostanzialmente ortodosso, ma venne strumentalizzato dai monofisiti. Roma, da parte sua, lo ritenne inaccettabile in quanto si annullava Calcedonia, per cui papa Felice II (483-492) condannò e depose Acacio, patriarca di Costantinopoli, consigliere dell'imperatore. Si giunse così alla rottura completa fra la Chiesa di oriente e quella occidente. E' il cosiddetto Scisma Acaciano (484-519), mentre il monofisismo in oriente dilagava sempre più. Solo nel 519 l'imperatore Giustiniano riuscì a ristabilire la pace; continuando tuttavia il monofisismo a minare l'unità interna dell'impero, egli tentò -con due editti e col V concilio ecumenico di Costantinopoli (553)- di accattivarsi la simpatia dei monofisiti la cui roccaforte era l'Egitto, regione divisa in monofisiti (la maggioranza) e in melchiti (la chiesa fedele a Calcedonia).
Alla fine del VI secolo Gregorio Magno (Ep. I, 25) paragonò i quattro concili di Nicea (325), Costantinopoli (381), Efeso (431) e Calcedonia (451) ai quattro evangeli. Il consenso della Chiesa universale conferì loro effettivamente l'autorità della tradizione apostolica; insieme alla S. Scrittura questi quattro concili costituiscono la pietra quadrangolare posta a fondamento dell'edificio della fede. I successivi quattro concili dal punto di vista teologico costituiscono quasi dei corollari.