TESTIMONIANZE CRISTIANE

 

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I grandi santi e la loro storia

 

Santa Chiara da Montefalco o Chiara della Croce

   

Caterina da Siena

da Wikipedia.org

Santa Chiara da Montefalco (1268-1308), conosciuta, anche, come Santa Chiara della Croce, è una monaca contemplativa vissuta in S. Croce di Montefalco, monastero che dopo una fase bizzocale, a indirizzo francescano, abbracciò, nel 1290, la regola di sant’Agostino.

            Nativa di Montefalco, visse tutta la sua vita tra le mura di questo piccolo comune dell’Umbria. L’immagine che se ne può trarre dalle testimonianze, di quanti la conobbero o scrissero di lei, è di una donna intelligente, forte e dai sentimenti delicatissimi; una donna innamorata di Dio, attratta dal Cristo e dalla sua passione redentrice. La sua esperienza di donna che ha imparato ad amare sempre di più in Dio, l’umanità povera, ferita, bisognosa di una luce e di un consiglio ci viene raccontata dalla Vita di Chiara scritta da Berengario di Donadio cui bisogna aggiungere la Relazione dei tre cardinali. Berengario di Donadio (Béranger de Saint Affrique in Francia), negli anni 1308-1310 era vicario di Pietro Paolo Trinci, vescovo di Spoleto. Egli due giorni dopo la morte dell’abbadessa Chiara, fu inviato nel monastero delle Agostiniane di Montefalco per un’inchiesta sul loro conto, facendo esse circolare voci strane sulla loro badessa morta. L’inchiesta tuttavia si tradusse in ammirazione per Chiara, tanto che lui stesso diede inizio al suo processo di canonizzazione, raccogliendo più testimonianze possibili. Mentre negli anni 1318-1319, a dieci anni dalla morte di Chiara, si svolse il processo di canonizzazione nella curia romana. Se ne occupò per mandato del Papa il cardinale Napoleone Orsini, che raccolse ben 486 testimonianze, dando origine, in tale processo, alla cosiddetta Relazione dei tre cardinali.

Chiara della Croce dedicava molto tempo della sua giornata alla preghiera anche nello svolgere i suoi servizi divenuti preghiera, la riempiva per sé e per chi l’avvicinava del mistero di essere alla presenza del suo Dio.

           Le sue meditazioni la portavano spesso ad avere visioni, rapimenti ed estasi. Chiara parlava con il Signore come una sposa parla allo sposo. Molte furono le visioni  in cui gli apparve il Cristo, ma tutte la conducevano a meditare l’esperienza della Croce. Tutta raccolta nel contemplare i misteri di Cristo e da lui arricchita di tante consolazioni, Chiara credeva che questa intimità con il Cristo fosse esperienza di tutte le sue compagne. Quando si accorse che erano solo sue si inaugurò per lei una terribile crisi, durata undici anni. Un giorno del 1288, Chiara stava parlando con la consorella Marina sulle grazie che Dio dona all’anima e affermava che qualsiasi cosa si chiede a Dio con affetto,  Lui prontamente la dona. Lei diceva di averne fatto esperienza. La compagna rispose: “So che io non sono tale che Dio compia la mia volontà”. Chiara udendo queste parole si sentì una privilegiata, ne provò compiacimento e quell’orgoglio, che per qualche istante abitò nel suo cuore, la privò di  gran parte delle rivelazioni e consolazioni che fin dalla sua infanzia avevano segnato dolcemente il suo cammino. Iniziò una lunga prova che visse da sola. Non trovò un confessore che riuscisse a cogliere i suoi movimenti interori. Tutti la giudicavano piena di virtù, mentre lei si riteneva una miserabile. Cominciò, allora, a curarsi da sola, con lunghe preghiere e penitenze. In quella fragilità e notte dello spirito, Dio stava plasmando una Santa e la sua futura missione tra gli uomini. Il 22 novembre 1291, un’altra grande prova venne inflitta al cuore di Chiara: la morte della sorella Giovanna di cui dovette come badessa del monastero prenderne il posto. Santa Chiara da allora svolse l’ufficio di badessa fino alla sua morte. Fino all’ultimo si occupò delle sorelle, dei poveri di Montefalco e di quanti accorrevano alla grata; e nel suo guidare il monastero, impresse un carattere tutto particolare alla vita della comunità.

Nonostante la sua crisi interiore, era consapevole della responsabilità affidatagli e diventò sempre più per le sue monache: madre, maestra e direttrice spirituale. Era attenta a tutte, intuiva le necessità di ciascuna che singolarmente ascoltava e istruiva. Volle che tutte le monache avessero nella giornata tempi di orazione, ma anche momenti di lavoro manuale, era infatti persuasa che il lavoro giova alla vita spirituale. Esso era da affiancare alla preghiera, non come mezzo di espiazione, ma come luogo di santificazione.

            Anche se poco istruita aveva un’eccezionale intelligenza. Frati, sacerdoti, cardinali e persone altolocate, si recavano da lei per ascoltarla. Zelatrice della fede cattolica Chiara combatté fra Bentivenga da Gubbio, della setta dello “Spirito di Libertà”, il quale fece di tutto per convincerla ad abbracciare la sua dottrina, ma senza risultato:

            « Dopo la disputa sostenuta con gli eretici –nota Berengario, primo biografo-, la vergine Chiara, zelante della Chiesa cattolica, si adoperò con tanta fermezza nel perseguirli, che denunziò loro, ed altri che ad essi credevano, ai superiori dell’Ordine francescano e ad altri della provincia del ducato e ad alcuni cardinali della santa Chiesa romana, che in quel tempo stavano da quelle parti, finché sopra tale crimine venne decisa una inquisizione contro di loro, i quali, giudicati colpevoli e condannati, furono rinchiusi in carcere perpetuo ».

Una  sua visione fu di particolare rilevanza perché rappresenta in modo mirabile la centralità della croce nella spiritualità di Chiara:  « Giovane bellissimo, il Signore Gesù Cristo, vestito di vesti bianche, portando sulla spalla una croce uguale per forma e grandezza alla croce su cui fu crocifisso, apparve a Chiara in preghiera. E le disse: «Io cerco un luogo forte, nel quale possa piantare la croce, e qui trovo il luogo adatto per piantarla». E quindi aggiunse: «Se vuoi essere mia figlia è necessario che tu muoia in croce ». Dopo questa visione le sue monache, la sentirono più volte affermare che aveva la croce del Signore piantata nel suo cuore. Lo disse anche quando, nelle ultime ore prima della morte, le venne posto davanti un crocifisso. Da tempo sofferente, la sua malattia si aggravò ai primi di luglio del 1308. I medici prescrissero delle cure, ma soprattutto una nutrizione sostanziosa. Chiara, pur continuando le sue penitenze, obbedì. Fece un pasto al giorno e accettò anche cure esterne. Il dottor Simone ordinò che fosse posta su un lettuccio, e portata in giro per il monastero, in modo che vedendo le monache al lavoro, venisse continuamente distratta dalle sue meditazioni, così da evitare il più possibile i rapimenti che le consumavano le forze.

            La mattina di sabato 17 agosto, Chiara si fece portare con il suo lettuccio nell’oratorio, che lei stessa aveva fatto costruire nel 1303. Dopo aver indicato il posto dove voleva essere lasciata si addormentò. Al suo risveglio, il medico la visitò diagnosticando che era completamente guarita. Il fratello Francesco, che era stato fatto chiamare da Chiara, quando ebbe siffatta risposta dal medico, senza entrare a visitare la sorella, decise di tornarsene a Spoleto. Chiara conoscendo l’intenzione del fratello, comandò ad una serviziale di farlo entrare. Con lui entrò anche fra Tommaso da Gubbio, canonico agostiniano e cappellano del monastero: « Francesco, trovando Chiara seduta sul letto e col corpo eretto disse: «Chiara sei davvero guarita!». Chiara con voce ferma come se non avesse alcuna infermità parlò ai due frati con sapienza e profonda dolcezza […]. Rivolta poi a fra Tommaso, cappellano del monastero, che era presente, gli disse, benché si fosse confessata più volte e minuziosamente durante quell’infermità: «Confesso a Dio e a te la mia colpa per tutti i peccati che ho commesso contro Dio». Poco dopo, rivolgendosi alle monache disse: «Voi fate di vivere con Dio, perché io vado a lui». Appena detto questo, stando col corpo eretto e senza alcun mutamento delle membra o dei sensi, esalò lo spirito, rendendolo a Dio con tanta letizia che non si poté constatare che il corpo nella separazione dell’anima subisse né ansietà né dolore. Mirabile quella separazione del corpo dall’anima, perché il corpo non fece i movimenti soliti dei morenti, non storse la bocca ne le labbra, non stravolse gli occhi, il viso non impallidì, né le membra si irrigidirono. Anzi nemmeno piegò il capo da una parte. Morì mantenendo il suo colore roseo, gli occhi soltanto alquanto elevati, senza alcun segno di dolore » (Berengario di Donadio).     

            Lo scompiglio, nel paese e in tutta la valle di Spoleto, si scatenò quando a pochi giorni dalla morte, vennero ritrovati nel cuore di Chiara, veramente, i segni della passione.

            « Ego habeo Ihesum Christum meum crucifixum intus, in corde meo, sed bene facis », questa espressione usata più volte da Chiara, non era solo una bella frase, ma una realtà. Il tesoro trovato nel suo cuore, per le monache e per le persone che l’avevano conosciuta, fu una sorpresa, ma allo stesso tempo una conferma di quel buon profumo di Cristo che si percepiva accostandola.

            Le monache avevano deciso di conservare il corpo della loro defunta badessa, morta in concetto di santità. Lo aprirono per svuotarlo delle viscere. Le viscere e il cervello furono sepolti in una brocca di terracotta presso l’altare della cappella; il cuore in un primo momento lo deposero in una scodella di legno. La sera del giorno seguente, le monache aprirono il cuore per conservarlo e vi scorsero i segni. Nella somiglianza carnea di nervi duri, da una parte la croce, tre chiodi, la lancia e la canna, dall’altra la corona, il flagello con cinque cordicelle e la colonna. Nella cistifellea furono trovati tre sassi rotondi e circolari in tutto simili per il colore scuro, e rappresentante l’altro mistero contemplato e amato da Chiara lungo la sua esistenza, il mistero Trinitario.

            Accorse subito il vicario Berengario, convocò medici e giuristi, pronto a punire le monache per quell’artificio, ma di fronte a quel cuore aperto, si ritrovò innamorato di quella Santa e divenne lui il promotore del riconoscimento della sua santità.

Nel modello di santità di Chiara, quale emerge dall’opera di Berengario si intrecciano due momenti: uno più devozionale, l’altro più teologico. Il primo è da cercare nella devozione medievale all’umanità di Cristo, in particolare al Cristo in croce che postulava l’identificazione con l’amato crocifisso; il secondo nella teologia di tradizione agostiniana, connotata di amore affettivo, che nel Medioevo diede origine alla cosiddetta “teologia affettiva” o theologia cordis. Il suo cammino spirituale di trasformazione, si può sintetizzare in tre momenti: del desiderio,  della purificazione e  dell’umiltà. Santa Chiara nella sua esperienza di cristiana e di monaca “ha imparato a capire” il Crocifisso, ha scoperto, in quella carne che pende dalla croce, davanti a cui ci si copre il volto, che proprio lì è nascosto, e un po’ si lascia scorgere, l’amore di Dio per l’umanità. La passione e l’attenzione di Chiara per il prossimo nasce proprio da questo amore contemplato nel Crocifisso. Quell’amore l’ha penetrata e trasformata, rendendola docile e umile. L’umiltà, frutto di undici anni di dure prove, ha segnato, nella Santa montefalchese il traguardo della totale liberazione interiore di guardare solo a lei, di desiderare solo per lei. I suoi occhi si aprirono da quel momento sull’oceano di sofferenza, di povertà, di peccato, di desiderio di salvezza del mondo degli uomini. E da trentun anni poi, fino alla morte, divenne lo strumento più adatto per comunicare a tutti la salvezza di Dio. Fu capace di conoscere i cuori come li conosceva Dio, fu resa capace della sapienza di Dio.

La theologia cordis -condivisa dalle scuole che si ispiravano ad Agostino, come quella dei Vittorini, dei Francescani di tradizione bonaventuriana e, naturalmente, degli Agostiniani- nella ricerca teologica, optava per il primato dell’amore rispetto a quello della conoscenza. Essa modulava la comprensione delle sacre Scritture sia a livello di teoria (la ricerca teologica) che di vissuto (la spiritualità) in una visione unitaria di sacra Scrittura e teologia, che il vicario di Spoleto Berengario trasferì nella sua Vita di Chiara. La sua precisa annotazione, che «le sue  parole [di Chiara] sono conformi alle Scritture», metteva in luce il nuovo orientamento assunto dal monastero della Croce di  Montefalco nell’opzione della Regola di sant’Agostino rispetto a quella di san Francesco. Anche Chiara si ispira alla sacra Scrittura, come rileva espressamente il suo primo biografo Berengario, a proposito della sua devozione verso l’umanità di Cristo, quale viene narrata dai Vangeli: Chiara sentiva grande stupore quando pensava alle opere dell’immensa benignità dell’Altissimo, e soprattutto ai misteri dell’incarnazione e della Passione del Signore nostro Gesù Cristo e quando considerava interiormente gli altri atti da lui compiuti in questa vita.

Due testi presi dalla Vita di Chiara conservatici da Berengario ci offrono, oltre alla testimonianza della sua santità, l'ampiezza teologico-spirituale della scuola entro cui maturò tale santità, e anche l'incidenza che essa esercitava nei monasteri femminili dell'epoca. A suo fratello, che aveva conseguito il titolo di “Lettore in sacra pagina”,  Chiara consigliava: Non vorrei che tu ti occupassi sempre di codesta tua scienza e ti esaltassi per essa. Anzi, ti dico che da parte mia avrei maggior consolazione se tu fossi un laico e cuoco dei tuoi frati con buono spirito e con devoto fervore che se fossi uno dei maggiori teologi (...) Devi darti alla preghiera e alla pietà molto di più di quanto chiunque altro possa essere mosso da superbia e ambizione. Il fratello, dal canto suo, nella sua deposizione al processo di canonizzazione sintetizzò il filo conduttore della sua vita spirituale nei termini seguenti: La vita dell’anima è l’amore di Dio. Dall’amore l’anima viene unita a Dio e diventa una cosa sola con lui, e tanta è l’amicizia di Dio all’anima e dell’anima a Dio che ciò che vuole Dio lo vuole anche l’anima, e ciò che vuole una tale anima lo vuole Dio stesso. Perciò non è da meravigliarsi se l’anima per l’amore che ha per Dio è disposta mille volte a morire, prima che voglia venire separata da Dio. Anzi la morte stessa, il dolore e ogni tribolazione le sono dolcissimi (...) Chi insegna all’anima se non Dio? Non c’è al mondo un insegnamento così buono come quello di Dio.

 

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