Eucarestia e Vita |
E' uno dei problemi più grossi di oggi; sul piano pastorale, il blackout sta quando l'assemblea esce dalla Chiesa: il “fossato” tra i riti e la vita. Questo fossato riguarda anche l'eucarestia, in quanto la gente celebra l'eucarestia, ma non sa fare di essa, vita. L'eucarestia non è soltanto un “vedere”, un “mangiare”, ma anche un “fare”; idea, questa che troviamo in Giovanni, nella lavanda dei piedi, dove si interpreta l'eucarestia come un “fare”. Si insiste, cercando di superare la divisione che esiste fra il rito domenicale e il resto della settimana. Il cristiano, che celebra l'eucarestia, deve comprendere che il suo contributo per la costruzione del mondo emerge da quella celebrazione, come forza e come stile di vita. Quindi, bisogna rendere le due dimensione intercomunicanti, cioè evitare di ridurre la celebrazione come un'isola, altrimenti cadremmo nel ritualismo, e dall'altra parte bisogna trovare il fare, verso cui la stessa celebrazione rimanda, evitando l'eccesso delle teologie prassistiche, dove quello che conta è il fare e il celebrare è inutile. La solidarietà al banchetto eucaristico, non può non impostare una vita solidale. Giovanni Paolo II, nell'esortazione apostolica, Cena del Signore, n.4-7, chiama l'eucarestia:“Scuola di amore attivo, solidale. Un culto eucaristico, è autentico se fa crescere la consapevolezza della dignità dell'uomo e la difesa della dignità dell'uomo. Coscienza che fonda il nostro rapporto con il prossimo”. Sul piano della giustizia, condividere la mensa e non comprendersi nel resto della vita non è coerente con l'insegnamento evangelico. |