Approfondimento sistematico |
Il memoriale del sacrificio |
Cominciamo dal significato antropologico del sacrificio: che cosa è il sacrificio per l'uomo? Perché l'uomo si sacrifica? Il fine del sacrificio (come privazione-dono) è la comunione: stringere una relazione, una relazione con l'altro (vedi i patti, l'alleanza che si stabilivano nell'AT). Sul piano religioso, il sacrificio indica la rinuncia di un bene per un contatto con la divinità, cioè se si rinuncia a un bene e lo si da alla divinità, quel bene diventa merce di scambio, possibilità di entrare in comunione. Poiché l'elemento determinante è l'accettazione da parte della divinità, l'oggetto del sacrificio acquista la sua importanza (non solo l'intenzione). Espresso nel linguaggio del sangue, il sacrificio può anche indicare la volontà di espiare una colpa. Ma anche in questo caso l'espiazione è finalizzata alla comunione. Quindi, nel linguaggio religioso, il discorso della comunione assume ancora di più una valenza forte quando si parla di sacrificio. Del resto anche nella tradizione religiosa dell'AT vediamo che i patti di alleanza con la divinità sono stabiliti e suggellati da un sacrificio. Perché la presenza del sangue nel linguaggio del patto? Perché è nella dimensione umana (ricordiamo che siamo sempre nella Syunkatabasis: la condiscendenza e quindi Dio si serve del linguaggio umano), nel suo linguaggio l'uomo, col sangue rende il patto più vincolante, secondo una simbolica universale alla quale Dio condiscende. Anche quando il linguaggio del sangue richiama l'espiazione, quasi fosse un prezzo da pagare, il fine è sempre la comunione. Nella dinamica sacrificale, la vittima viene immolata, questo in un linguaggio antropologico-religioso vuol dire che non è più disponibile all'uomo ma alla divinità; pone la vittima nella sfera della divinità perché l'uomo non ha potere sulla morte. In altri casi, la vittima immolata, viene bruciata in parte perché altre parti dovevano essere mangiate per indicare la salvezza della comunione; la salvezza del vincolo con la divinità. La vittima, sacrificata per la divinità entra nella sfera della divinità e mangiandola si entra in una comunione più salda con la divinità: espressione della salvezza del vincolo. La dimensione comunionale ci permette di dire molte cose sulla teologia del sacrificio. Il sacrificio di Gesù. Tutta l'opera di Gesù è stata intesa come un sacrificio, cioè come un'oblazione al Padre di una esistenza, e redenzione per l'umanità, conseguendo l'opera della riconciliazione universale. Alla luce di questa verità si comprende la famosa simbologia dell'Apocalisse, quando dice che Gesù è agnello immolato. L'idea dell'agnello immolato esprime proprio questa interpretazione della vita di Gesù come sacrificio offerto al Padre per la redenzione dell'umanità. Chi ribadisce molto questa interpretazione sacrificale dell'opera di Gesù è la Lettera agli Ebrei, in particolare Eb 9,11-14: “Cristo invece, venuto come sommo sacerdote di beni futuri, attraverso una Tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano di uomo, cioè non appartenente a questa creazione, non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue entrò una volta per sempre nel santuario, procurandoci così una redenzione eterna. Infatti, se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca, sparsi su quelli che sono contaminati, li santificano, purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo, che con uno Spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalla opere morte, per servire il Dio vivente?”, facendo un continuo confronto con i sacrifici antichi. La novità essenziale del sacrificio di Gesù, nella lettera agli Ebrei, sta nel fatto che, mentre i precedenti erano tentativi umani, per raggiungere la redenzione e dunque la comunione con Dio, ora poiché lui è l'unigenito figlio di Dio, il suo sacrificio non ha un'efficacia che viene dal basso, ma un'efficacia che viene dall'alto e che rende definitiva la riconciliazione perseguita. Gesù è ormai il sacrificio della nuova alleanza, nuova nel senso che è eterna e definitiva, non ce ne saranno altre. Questo è il motivo per cui la dimensione sacrificale di Gesù entra nel cristianesimo con una importanza che non può essere trascurata. Quando diciamo che il cristianesimo è religione del sacrificio, vogliamo dire che nell'immolazione di Cristo, il cristianesimo trova il proprio fondamento. La forza cristologica di questo sacrificio, porta l'autore a dichiarare, in maniera perentoria, non solo la novità rispetto agli antichi sacrifici spiegandolo con una origine dall'alto, ma anche l'unicità, sottolineando, con particolare insistenza il Semel (έΦάπαξ = una volta per tutte). Quindi, sostenere che Gesù, per riconciliare l'umanità con Dio, ha bisogno di sacrificarsi più volte, contraddice il valore definitivo della sua morte in croce e al tempo stesso ne afferma la parzialità, sostenendo la necessità di altri sacrifici; la redenzione non è compiuta (negando così l'unicità del sacrificio). Questa conclusione, permette di indicare i problemi principali della teologia eucaristica sul sacrificio i quali sono quattro: 1) Se e in che senso, la teologia eucaristica ha un contenuto sacrificale? 2) Qual è il suo rapporto con la passione del Signore? 3) Perché Gesù ha istituito la cena come sacrificio? 4) In che cosa consiste la specificità del sacrificio eucaristico?
1) Se e in che senso, la teologia eucaristica ha un contenuto sacrificale?
Partiamo dal Nuovo Testamento, il quale non chiama mai la messa sacrificio. Allora, su che cosa basiamo la natura sacrificale della messa? Il NT non chiama mai la messa sacrificio, tuttavia ritroviamo questa concezione, come abbiamo già visto, nell'analisi dei racconti dell'istituzione, nei racconti dell'ultima cena: il quadro pasquale della narrazione; l'agnello posto al centro della tavola e soprattutto le parole di Gesù: il corpo dato per voi, il sangue dato per voi, per la remissione dei peccati, per la nuova alleanza. Parole e gesti questi con un contenuto sacrificale, che attestano la volontà di Gesù di sostituire la vittima tradizionale dell'agnello con se stesso al fine di stabilire una nuova alleanza. Ma questo mistero si compirà alla croce. Quindi nell'ultima cena Gesù anticipa sacramentalmente quello che si compirà alla croce e comanda i suoi discepoli di fare quello che sta facendo lui in sua memoria. Al centro della cena di Gesù e della liturgia della messa c'è dunque lo stesso avvenimento, cioè la croce, con una differenza, mentre l'ultima cena anticipa sacramentalmente la croce, la messa ne fa memoria. Noi ci colleghiamo con l'evento della croce con il memoriale, reso in ebraico Zikkaron e in greco anamnesis (memoriale), che non è una semplice memoriale antropologico-psicologico, ma ha un pregnante significato teologico, rivelando un profondo intreccio fra il passato (la croce) e il presente (la messa). Nel contesto rituale, lo Zikkaron – memoriale – non richiama un semplice ricordo soggettivo psicologico, ma assume un significato liturgico che rende l'attualizzazione (l'hic et nunc) dell'evento ricordato. R. Falsini: “Si ricorda l'evento salvifico per rendersi ad esso contemporanei. Può quindi definirsi: una celebrazione commemorativa centrata su un evento di salvezza ma che ha per scopo di inserire i partecipanti in questo evento”. Quindi, il memoriale, più che azione soggettiva da parte dell'uomo è azione da parte di Dio, è Lui il soggetto della memoria e quando Dio fa memoria le sue azioni sono presenti. Il memoriale esprime un atto teologico, non sono tanto gli uomini a ricordarsi, ma è Dio e quando Dio ricorda l'evento fondatore della storia di Israele, agisce rendendo presente la densità salvifica di quello evento. Il cristianesimo si inserisce all'interno di questa teologia, tuttavia afferma un elemento originale: il contenuto della memoria, non più l'evento sinaitico, ma il sacrificio di Gesù. La celebrazione eucaristica comporta, così, una continuità col popolo ebraico, per quanto riguarda il memoriale, ereditato da loro, ma c'è anche una radicale discontinuità perché il senso della memoria pasquale cristiana non è più l'Esodo, ma la morte redentrice del Cristo. A proposito del contenuto, è bene precisare, superando un riduzionismo del passato che faceva consistere il memoriale soltanto nella croce, come oggi si tende ad estendere il significato. Per cui il memoriale non è soltanto memoriale della croce, ma è memoriale del mistero Pasquale nella sua interezza, nel quale si inserisce il tassello importante della parussia, la tensione escatologica. CCC1365:“L'elemento sacrificale della messa va visto in un rapporto inclusivo alla Pasqua”. Preghiera eucaristica III: “Celebrando il memoriale del Tuo figlio, morto per la nostra salvezza gloriosamente risorto e asceso al cielo”. Quindi è sì un memoriale del sacrificio di Gesù che ha conosciuto, però, la resurrezione che gli permette di vivere in uno stato glorioso. Attraverso l'eucarestia, la comunità fa memoria dell'intera opera redentrice di Gesù, attraverso il dono dello Spirito Santo. Il memoriale apre i tesori del passato, ma si proietta anche verso il futuro.
In sintesi abbiamo precisato: - la messa è memoriale del sacrificio di Cristo; - da comprendere all'interno di una dimensione pasquale;
2) Qual è il suo rapporto con la passione del Signore?
E allora, quale rapporto c'è fra la messa sacrificio, all'interno della dimensione pasquale, e la croce? Il problema nasce dal fatto che la lettera agli Ebrei ci ha detto con molta chiarezza che il sacrificio è uno e irripetibile; è talmente perfetto il sacrificio della croce che non ha bisogno di essere ripetuto; Gesù ci ha già redenti con quel sacrificio. Il problema, quindi sta nel collegamento tra questa unicità del sacrificio della croce con la moltiplicazione del sacrificio delle messe, il quale sembra proprio contraddittorio, inoltre questo è un elemento di divisione con i protestanti. Il problema, quindi nasce dalla condivisione dogmaticamente vincolante che la morte di Gesù sulla croce è un sacrificio perfetto perché è sufficiente a operare la redenzione in tutti i tempi e in tutti i luoghi. La questione non è nuova, ma se la pose già Giovanni Crisostomo, nell'omelia agli Ebrei 17,3:“ Non offriamo quotidianamente sacrifici? Lo facciamo, ma come un memoriale della sua morte e questa oblazione è una e non molteplice. E come può essere una e non molte? Poiché è stato offerto una volta per tutte, come un unico sacrificio del Santo dei santi, questo è la figura dell'antico sacrificio e lo fu veramente in questo, perché è lo stesso Gesù Cristo che noi offriamo sempre e non ora una vittima, ora un'altra. La vittima è sempre la stessa e quindi il sacrificio è uno. Diremo che, poiché Cristo è offerto in molti luoghi, ci sono molti Cristi? Certamente no, è un unico e medesimo, Cristo ovunque è qui nella sua interezza e altrove nella sua interezza, un corpo unico. Come Egli è un corpo solo e non molti corpi, pur essendo offerto in molti luoghi, così il sacrificio è uno solo e medesimo; il nostro sommo sacerdote è Cristo stesso che ha offerto il sacrificio che ci purifica. La vittima che fu offerta allora, che non può essere consumata è la stessa e la medesima vittima che noi offriamo ora. Ciò che facciamo lo facciamo come memoriale di ciò che fu fatto allora, non offriamo un sacrificio diverso, ma sempre lo stesso o piuttosto ne facciamo il memoriale”. La soluzione di Trento a questo problema sta nel ritenere la messa come sacrificio relativo, cioè sacrificio in relazione a quello della croce che rimane unico e assoluto. Quindi la messa non va compresa come sacrificio autonomo, numericamente quantitativo rispetto a quello della croce. Ecco perché bisogna stare attenti alle terminologie, per cui è sbagliato dire che la messa è ripetizione del sacrificio della croce; non è re-iteratio della passione e morte di Gesù, neanche di una riproduzione; anche il termine rinnovazione è equivoco. Quindi Trento per spiegare la relazione del sacrificio della messa con l'assoluta unicità del sacrificio della croce, usa il termine ri-presentazione di quell'unico sacrificio. Ri-presentazione dice che, fra quel sacrificio e questo c'è un'identità: identica è la vittima, identico è il sacerdote (Cristo)[ribadiamo un concetto importante: il valore della messa non viene solo dal fatto che è stata istituita da Gesù, ma perché è Gesù che agisce in essa ora assumendone il ruolo di ministro principale], ma c'è anche differenza ed è fondamentalmente una: la modalità sacramentale; quello fu un sacrificio cruento e questo un sacrificio incruento, attraverso i segni del pane e del vino. Non va sottovalutato, in questo, il ruolo dello Spirito Santo: se il memoriale ha questa fecondità, se il sacerdote principale della messa è Cristo, se unica può essere una vittima che invece è stata chiusa inevitabilmente dal tempo (anche Gesù è soggetto al tempo), se la teologia profonda che fin ora abbiamo espresso e tutto questo può avvenire è per opera dello Spirito Santo, il quale ha la funzione di attualizzare l'evento Cristo. La forza del memoriale non viene da una forza intrinseca alla chiesa, non è nel prete la virtù di ripresentare un evento del passato nell'oggi, ma nell'intervento dello Spirito che è il presente di Cristo. Lo Spirito, in quanto agente costitutivo, opera nei sacramenti perché siano realmente collegati all'evento pasquale.
3) Perché Gesù ha istituito la cena come sacrificio?
Perché questa ripresentazione del sacrificio della croce? Perché Gesù ha voluto una moltiplicazione rituale del sacrificio della messa (il memoriale):“Fate questo in memoria di me”? Il motivo va cercato nel tema dell'applicatio, di cui anche Trento parla: l'applicazione della virtù salutare dell'opera di Cristo a tutti gli uomini di tutti i tempi, per la remissione dei peccati, per il beneficio dei vivi e dei morti. Quindi, la messa applica nell'oggi i frutti della redenzione realizzata da Gesù. Trento:“Gesù ha voluto istituire la messa per lasciare alla chiesa, sua amata sposa, un sacrificio visibile come esige l'umana natura (il tema della Syunkatabasis) con cui venisse significato quello cruento che avrebbe offerto una volta per tutte sulla croce, prolungando nella memoria fino alla fine del mondo e applicando la sua efficacia salvifica alla remissione dei nostri peccati”. La novità, del sacrificio della messa, è una novità salvifica esistenziale nella quale rientra la dimensione ecclesiologica del sacrificio, per cui possiamo dire che la messa è sacrificio della Chiesa. Se ogni messa, dal punto di vista cristologico, è sempre la stessa in quanto ripresentazione commemorativa dell'evento della croce, è anche nuova in quanto offerta da questa Chiesa. Quindi, le molte messe, celebrate più volte, in più luoghi, nel tempo, acquistano il dono del tempo, acquistano il dono degli uomini; si arricchiscono di quel gesto, che si compie ogni volta, e cioè delle gocce d'acqua. Sono tre le interpretazioni tradizionali che vengono date al gesto dell'aggiunta delle gocce d'acqua: - l'unione fra le due nature in Gesù: quella divina e quella umana; - l'unione nostra con Gesù; - il contributo della sposa (la Chiesa). Cipriano, in questo gesto, vedeva chiaramente la partecipazione della Chiesa al sacrificio di Cristo nell'Epistola, 63. Il Cristus Totus, che si rivela e si presenta nella messa, espresso dal sacrificio unico, si estende attraverso le molte messe, diventando il Cristus Totalis. La Chiesa celebra la messa per fare proprio quel sacrificio, per unirsi a quel sacrificio. Non aggiunge nulla, dal punto di vista del valore, anzi, il suo merito sta proprio nell'inserirsi in questo sacrificio e tuttavia, nella messa, la Chiesa è chiamata ad offrire se stessa, ad unirsi all'offerta di Cristo. Questo pensiero è ribadito da Agostino in De civitate Dei, 10,6; testo citato anche dal CCC al n.1372: “Tutta quanta la città redenta, cioè l'assemblea e la società dei santi, offre un sacrificio universale a Dio per opera di quel Sommo Sacerdote che nella passione ha offèrto anche se stesso per noi, assumendo la forma di servo, e costituendoci come corpo di un Capo tanto importante... Questo è il sacrificio dei cristiani:«Pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo» (Rm 12,5); e la Chiesa lo rinnova continuamente nel sacramento dell'altare, noto ai fedeli, dove si vede che in ciò che offre, offre anche se stessa”. Le molte messe, così intese, non riproducono l'identico, ma ogni messa si differenzia dalle altre proprio dal punto di vista ecclesiologico ed antropologico, perché ogni messa ha quel qualcosa in più che è la fede, la devozione, applicando quel sacrificio a noi stessi. Poiché un sacrificio, non consiste solo negli atti esterni, ma anche nell'oblazione interiore, una eucarestia è autentica quando la comunità celebrante è disponibile a farsi coinvolgere.
Su questo ruolo della Chiesa richiamiamo due idee importanti relative al sacrificio: 1) La prima idea è quella relativa al soggetto celebrante l'eucarestia. Abbiamo detto che Cristo rimane il sacerdote principale, per l'identità che vi è tra il sacrificio eucaristico e quello della croce; poiché il Cristo è invisibile, per compiere un sacrificio visibile, occorre un sacerdozio visibile (il ruolo della Chiesa), fungendo da mediatore del vero sacerdote, che resta Gesù Cristo. Per il Concilio di Trento, la piena attualizzazione della messa, come sacrificio di Cristo, avviene attraverso il ministero del sacerdote configurato con il sacramento dell'ordine: “…Si tratta, infatti, di una sola e identica vittima e lo stesso Gesù la offre ora per il ministero dei sacerdoti, egli che un giorno offrì se stesso sulla croce: diverso è solo il modo di offrirsi” (Dz 1743). Confermato anche dalla istruzione della Congregazione per la dottrina della fede in Sacerdotium ministerialis del 6 Agosto 1983:“Attraverso il carattere sacramentale, il sacerdote opera in persona Christi”, espressione che sta ad indicare la funzione strumentale del ministro celebrante. 2) La seconda idea la sottolinea il Vaticano II che ha, anche, richiamato il sacerdozio dei fedeli, sostenendo che la comunità non deve sentirsi passiva, d'innanzi allo svolgimento della celebrazione eucaristica, né deve essere attiva solo con atti spirituali interiori, ma deve contribuire a fare in modo che quel sacrificio sia ecclesiologicamente caratterizzato (SC 14).
4) In che cosa consiste la specificità del sacrificio eucaristico?
Il problema è puramente teologico e non trova riscontro nella scrittura e neanche appoggio nel magistero, si tratta della specificità sacrificale della messa. Dato che la messa è vero sacrificio, pur essendo relativo alla croce, si tratta allora, di determinare il segno del sacrificio. Qual è, nella messa, il segno proprio del sacrificio (il proprium del sacrificio)? Come e in che modo Cristo è presente, nella messa, in stato di vittima? La difficoltà teologica sta nell'individuare l'elemento caratteristico della messa che non faccia pensare ad un atto nuovo ed indipendente dalla croce. Le teorie sono tante e le principali sono tre: - La prima teoria è quella dell'immolatio; essa parte dalla concezione del sacrificio identificato con la distruzione della vittima; cerca un elemento che in qualche modo rappresenti la distruzione. Cosa nella messa indica questa distructio? Coloro che seguiranno questa generale teoria della distruzione, troveranno, ciascuno, un elemento diverso, per esempio: · VASKEZ, troverà questo elemento nella duplice consacrazione (prima del pane e poi del vino); · SUAREZ, troverà questo elemento nella mutatio, dove la sostanza del pane e del vino, cede alla sostanza del corpo e del sangue del Signore; · MELCHIOR CANO, troverà questo elemento nel momento della frazione; · BELLARMINO, troverà questo elemento nel momento della masticatio. Sono teorie che vogliono accentuare il significato dell'uccisione – distruzione della vittima, ma che è diverso da quello della croce, quindi non tengono, inoltre, sufficientemente conto, dell'attuale realtà gloriosa del Cristo. - La seconda teoria è quella dell'oblatio, cioè l'offerta della vittima. Secondo questi autori, il sacrificio, più che identificarsi con gli elementi simbolici che richiamano la distruzione, l'elemento sacrificale è in una partecipazione, all'oblazione, all'offerta che Gesù ha fatto di se al Padre, nella sua passione. Gli autori che seguono questa teoria sono: · LEPIN; · DELATAIO - La terza teoria è quella sostenuta dagli autori contemporanei, e si concentra intorno alla nozione sacramentale. Questi autori, più che cercare un elemento proprio, sostengono in maniera globale, che la messa, nel suo insieme, non è un nuovo sacrificio che in qualche modo deve essere diverso dal sacrificio della croce. Il sacrificio della messa è lo stesso del sacrificio della croce, la diversità sta nel fatto della modalità sacramentale (vicini alla posizione di Trento). Questa modalità sacramentale esprime la verità dell'evento, perché il sacramento non è un segno vuoto, ma contiene, manifesta e realizza il significato di quel sacrificio. Il proprio va, allora, visto in questa presenza di quel sacrifico in una forma sacramentale, senza fermarsi in un punto specifico, ma nel suo insieme. Come sia possibile che Cristo, oggi, in uno stato glorioso possa presentarsi a noi in uno stato sacrificale? La possibilità dell'attualizzazione hic et nunc, del sacrificio di Cristo, va cercata nella particolare natura del soggetto del sacrificio della croce, cioè Gesù. Le azione di Gesù, in quanto azioni del figlio di Dio, hanno un elemento di transtoricità, di perpetuità che viene attinto attraverso l'evento sacrificale. Cristo non può più morire ne versare il suo sangue, ma ciò che rese salvifico il suo sacrificio non fu la distruzione della vittima, il dolore in sé, bensì l'oblazione con cui egli si è offerto una volta per sempre al Padre. Qualcuno avrà sofferto più di lui, ma nessuno ha amato più di lui. Nessuno si è offerto al Padre con un'oblazione pura come la sua. Nel suo stato glorioso,oggi, Cristo continua compiere, anche in cielo, questo sacrificio oblazione. Quindi ciò che è cessato è la morte, il dolore, la croce, ma non l'oblazione. La celebrazione eucaristica non fa che tradurlo in termini spazio – temporali, ripresentando, in modo simbolico rituale, proprio questo elemento che procura la grazia e la salvezza, rendendo ogni uomo contemporaneo del sacrificio di Cristo. A questo dato discendente, in cui l'eternità si fa presente nel tempo, corrisponde il dato ascendente con cui la Chiesa contribuisce a questo sacrificio e lo rende sempre più nuovo con la propria preghiera, con il proprio sacerdozio, con la propria offerta. La chiesa, accogliendo il dono, ripresenta al Padre, nel tempo, l'unico sacrificio presente eternamente in cielo. La messa può essere così definita, come uno squarcio di eternità; l'eternità di questa oblazione, continua e perenne, di Gesù al Padre, viene a noi nel tempo, attraverso la modalità sacramentale. |