Il pensiero della chiesa primitiva: i padri |
Ci muoveremo sempre secondo le tre chiavi di lettura: sacrificio, convito fraterno e presenza. I Padri credevano che la messa era un sacrificio? La Didachè chiama esplicitamente l'eucarestia, sacrificio (rifacendosi a Malachia 1,11): il giorno del Signore, riunitevi spezzate il pane e rendete grazie, però dopo aver confessato i vostri peccati, affinché il vostro sacrificio sia puro. Chiunque ha qualche dissenso con il suo vicino, non si unisca a voi, altrimenti il vostro sacrificio viene profanato (nel senso della rottura della fraternità), infatti di questo sacrificio, il Signore ha detto: in luogo e in ogni tempo vi viene offerto il sacrificio puro. Quindi dice che è un sacrificio, ma ribadisce che deve essere un sacrificio puro, e perché lo sia tale, lo si deve celebrare nella fraternità e nella carità, non si può celebrare la messa in un contesto di fraternità spezzata. Quindi, questa unione fra eucarestia e sacrificio la troviamo già a partire dalla Didachè, ma la troviamo anche altrove, per esempio in Clemente nell'Istrometa (1,9; 4,25), nel quale chiama l'eucarestia come Prosporà (sacrificio). Ma cosa intendevano i Padri per sacrificio? I contenuti esatti dell'attribuzione sacrificale, non sono ancora specificati, i linguaggi sono ancora molto generici, per esempio Giustino parla di un sacrificio di lode, Tertulliano dice che è sacrificio anche la predicazione della parola. Quindi, come si nota, una vasta accezione dei contenuti sacrificali. La convinzione di fondo, resta però, che tutti questi sacrifici che si possono fare hanno significato, soltanto se si uniscono al sacrificio della messa. Quindi l'idea dell'unicità, della singolarità e della particolarità del sacrificio eucaristico, è testimoniato. Una delle testimonianze più antiche è Ignazio di Antiochia, fa tre passaggi importanti:
Un altro autore è Giustino, anche lui conosce il richiamo al testo di Mal, già lui fa un più esplicito riferimento non al sacrificio generico di Gesù, ma nel dialogo contro Trifone arriva a dire che l'eucarestia costituisce l'anamnesi che ricorda la passione, non solo più quindi come il sacrificio generico, ma quello della passione. Cipriano, tra i padri latini, nella famosissima Epistola 63, in polemica con gli Acquari (coloro che sostenevano che il vino era una bevanda impura, perché inebriante, quindi la messa andava celebrata soltanto con l'acqua), nella quale ricava il significato sacrificale della messa, proprio attraverso il simbolismo naturale del vino rosso (sangue), in quanto pigiato nel torchio che richiama la sofferenza, la croce, il sacrificio, il sangue versato sulla croce:“Riguardo al suo menzionare la sua passione in tutti i nostri sacrifici, perché è nella passione di Cristo che consiste il nostro sacrificio, non dovremo fare altro ciò che lui stesso fece nell'ultima cena”. Quindi gli Acquari sono in errore perché non seguono gli stessi insegnamenti di Gesù. Un altro autore importante, chiamato il doctor eucaristicus è Giovanni Crisostomo il quale parla esplicitamente del carattere sacrificale dell'eucarestia, nel Commento alla lettera agli Ebrei, dove si sottolinea che Gesù si è offerto una volta per tutti, si chiede perché, allora, nella messa facciamo ancora il sacrificio? In Crisostomo è già presente una teologia molto matura del memoriale, infatti è proprio il memoriale a stabilire una identità fra la celebrazione eucaristica e il sacrificio della croce. Dunque, attraverso il memoriale, non c'è un moltiplicarsi di sacrifici, ma si celebra sempre ciò che Gesù ha celebrato e offerto una volta per tutti sulla croce: “Non offriamo quotidianamente sacrifici? Lo facciamo, ma come un memoriale della sua morte e questa oblazione è una e non molteplice. E come può essere una e non molte? Poiché è stato offerto una volta per tutte, come un unico sacrificio del Santo dei santi, questo è la figura dell'antico sacrificio e lo fu veramente in questo, perché è lo stesso Gesù Cristo che noi offriamo sempre e non ora una vittima, ora un'altra. La vittima è sempre la stessa e quindi il sacrificio è uno. Diremo che, poiché Cristo è offerto in molti luoghi, ci sono molti Cristi? Certamente no, è un unico e medesimo, Cristo ovunque è qui nella sua interezza e altrove nella sua interezza, un corpo unico. Come Egli è un corpo solo e non molti corpi, pur essendo offerto in molti luoghi, così il sacrificio è uno solo e medesimo; il nostro sommo sacerdote è Cristo stesso che ha offerto il sacrificio che ci purifica. La vittima che fu offerta allora, che non può essere consumata è la stessa e la medesima vittima che noi offriamo ora. Ciò che facciamo lo facciamo come memoriale di ciò che fu fatto allora, non offriamo un sacrificio diverso, ma sempre lo stesso o piuttosto ne facciamo il memoriale”. Quello che a noi interessa è ricavare la convinzione che la messa è l'offerta della vittima della croce; cioè la messa ha un collegamento strettissimo e diretto con la croce, quindi la natura sacrificale della eucarestia. I padri si chiedono, chi è l'autore di tutta questa opera salvifica? Questo pensiero da occasione ai padri di richiamare il ruolo dello Spirito. Lo Spirito che interviene attraverso la fecondità dell'Epiclesi, dell'invocazione; nell'eucarestia invochiamo lo Spirito. Sono soprattutto i padri greci a sottolineare il ruolo dello Spirito: Teodoro di Mopsuestia: “Come fu lo Spirito a fare la carne nel ventre di Maria, come fu lo Spirito a ridare vita al corpo morto di Gesù è lo Spirito a santificare i doni, conferendo loro tutto questo mistero di cui stiamo parlando, rendendoli immortali” (Catechesi 15,26). Ma riguardo alla presenza reale, i padri erano convinti che nel pane e nel vino ci fosse la presenza reale di Gesù? Sì, la convinzione, più facilmente documentabile, dei Padri che nel momento della messa avviene la trasformazione dei doni: il pane diventa corpo e il vino diventa sangue, cibandosi di questi doni, i cristiani si cibano del corpo e sangue di Cristo. Ignazio di Antiochia, nella lettera agli Efesini, polemizza contro alcuni doceti i quali non riconoscono l'eucarestia come la carne di Gesù. poi ha una serie di aggettivi teologici per qualificare questa natura particolarmente forte della presenza di Gesù nell'eucarestia, quando dice Ignazio, che l'eucarestia è medicina di immortalità, farmaco e antidoto contro la morte; alimento di vita eterna. Ireneo è convito che l'eucarestia “è farmaco di vita, pane che nutre per la vita eterna - nel Contro le eresie libro III 19,1 - ricevendo l'eucarestia, dice Ireneo, i nostri corpi partecipano a questa immortalità, non sono più corpi corruttibili, ma diventano corpi che si nutrono di risurrezione”. Ma come interpretano, i Padri, questa presenza? Come è presente Gesù nell'eucarestia? Distingueremo, nel vasto panorama dei Padri: 1) Una linea realista, presente già nei padri apologisti, per esempio in Giustino in Prima Apologia cap.1, 66: “Noi non li assumiamo come pane ordinario o come solita bevanda, piuttosto allo stesso modo con cui il nostro Salvatore, Gesù Cristo, divenuto carne mediante il modulo di Dio, aveva assunto la carne e il sangue”. Quindi la carne e il sangue del Signore vengono tratti dal cibo, mediante la trasformazione eucaristica. Però uno dei maggiori rappresentanti della linea realista è Ambrogio, il quale elabora una prima teoria della Trasformazione. Ambrogio dice esplicitamente nel De Fidei 4,124: “Nel mistero della sacra preghiera (consacrazione) il pane e il vino sono trasfigurati in corpo e sangue del Signore”. Quindi c'è un passaggio che per Ambrogio è un “miracolo” analogo ai prodigi che si raccontano nella Bibbia; è un prodigio perché si compie una trasformazione effettiva degli elementi; è un atto quasi creativo da parte di Dio che cambia la natura degli elementi perché diventino qualcosa di diverso da quello che erano prima. In un altro testo di Ambrogio nel De Sacramentis 4, 23 dice:“Prima della consacrazione c'è solo il pane, ma non appena si sono pronunciate le parole di Cristo, esso diventa il corpo di Cristo; similmente prima delle parole di Cristo, il calice è pieno di vino ed acqua, ma non appena le parole di Cristo hanno operato, là c'è il sangue che redime il popolo”. 2) Una seconda linea è quella spiritualista, per essa si fa riferimento solitamente ai padri alessandrini, i quali sottolineano l'interpretazione e comprensione spirituale dell'eucarestia la quale è soprattutto cibarsi della parola di Gesù il vero nutrimento dell'anima, per cui il raggiungimento della piena conoscenza di Cristo si ha soltanto attraverso la comprensione e adesione alla sua parola. Quindi la vera comunione è la comunione con la parola di Cristo. L'incontro eucaristico, per gli alessandrini è in secondo piano, quasi per gli imperfetti, per gli inizi. Si inseriscono in questa linea due autori famosi: Clemente d'Alessandria e soprattutto Origene. Per quest'ultimo, l'autentica comunione è quella che si stabilisce con la parola di Gesù; seguendo questa prospettiva egli interpreta in maniera allegorica tutti i testi biblici che parlano di pane e di vino, per esempio nel Omelia al Levitino7,5 , Origene dice: “Con la carne e sangue della sua parola abbevera e sazia come cibo e come bevanda tutto il genere umano, così al secondo posto, dopo la carne sono cibo anche Pietro, Paolo e tutti gli apostoli e in terzo luogo i loro discepoli. E così ognuno, per la quantità dei suoi meriti e la purità sei suoi sensi, può rendersi cibo per il suo prossimo”. Però ci sono anche testi di Origene che potrebbero essere portati sulla linea realista di Ambrogio, come ad esempio nel Commento all'Esodo, in cui Origene dice che “L'eucarestia va ricevuta sulla mano con molto rispetto perché è il corpo del Signore”. Anche alcuni autori della scuola antiochena seguono questa linea spiritualista, sostenendo l'idea molto originale, dove dicono che la trasformazione (diversa da quella di Ambrogio: miracolo) del pane e del vino è una trasformazione “linguistica” ciò che cambia è il nome, per cui il pane è detto corpo del Signore e il vino è detto sangue del Signore, ma in realtà sono quello che sono.
3) La posizione di Agostino è molteplice. Ci sono testi in una linea indubbiamente realista, e ci sono testi che sono indubbiamente in una linea spiritualista e altri che sono indubbiamente in linea “simbolista”. Per quanto riguarda la presenza alcuni ritengono addirittura che Agostino non sia un realista ma un simbolista. Berengario si appellerà ad Agostino quando esporrà la sua dottrina simbolica dell'eucarestia. Agostino in realtà non si pone mai il problema di come Cristo sia presente nell'eucarestia, lo dà per scontato, questo invece tentò di farlo Ambrogio con la teoria della trasformazione. A lui interessa soprattutto rimarcare la dimensione soteriologica dell'eucarestia, insiste più sugli effetti dell'eucarestia, sulla res. Molto cara in Agostino è anche l'interpretazione simbolica che egli riferisce alla interpretazione ecclesiologica, l'ecclesiologia di Agostino è profondissima. Per Agostino quando tu dici eucarestia (discorso 272) parli non solo del mistero di Cristo, noi siamo il corpo di Cristo, quindi all'eucarestia quando riceviamo il corpo di Cristo e diciamo amen, poi per rimanere in verità dobbiamo comportarci da corpo di Cristo. Non è la presenza in sé che interessa ad Agostino, ma in rapporto a noi, più di vedere come è fatto il sole lui cerca di vedere i suoi effetti, non nega la presenza, ma si concentra sugli effetti, la mette in rapporto con il suo scopo ultimo, Agostino ha un concetto dinamico ed ecclesiologico dell'eucarestia, tanto che per lui la comunità cristiana costituisce il vero corpo di Cristo. Ciò non nega la presenza reale. Agostino costituirà la base dei successivi conflitti, i diversi contendenti si rifaranno entrambi ad Agostino. Di indubbia linea realista è il Sermone n. 227 dove scrive: “il pane che voi vedete sull’altare santificato dalla parola di Dio è il Corpo di Cristo. Il calice santificato dalla parola di Dio è il Sangue di Cristo.”. Ci sono altri testi che ci riconducono ad una linea spiritualista. Agostino spesso sposta l’attenzione dagli elementi alla disposizione del cuore. Come per Origene, per lui magiare e bere il Cristo vuol dire portare il Cristo dentro di sé, attraverso la fede. È la fede che mangia e beve. Ci sono testi che ci riconducono ad una linea simbolica. Agostino ha definito il sacramento come “segno sacro”, ma cos’è il segno? È un significante che rimanda ad un significato, applicando ciò all’Eucarestia possiamo trarne che le realtà non contengono ontologicamente Cristo, ma rimandano al Cristo. Per la nostra dottrina della transustanziazione invece sappiamo che l’Eucarestia contiene ontologicamente il Cristo. Nella linea simbolista si pone il problema: il pane consacrato contiene ontologicamente il Cristo, o la mia mente và al Cristo? Più che contenere ontologicamente il mistero, il segno lo richiama, rimandando ad esso come il segno rimanda all’idea che vi sta dietro. Questa idea è presente nei testi di Agostino, soprattutto quando parla del fatto che gli eretici facciano la comunione: si cibano del segno ma non della verità. Afferma quindi l’Eucarestia come sacramento, ma non “re vera” (De civitate Dei 21,25). Agostino ha una profonda concezione dell’”Eucarestia ecclesiologica”. L’Eucarestia è il segno della Chiesa. C’è un testo in cui lui spiega la risposta “Amen” nella ricezione del Corpo di Cristo da parte del comunicando, Sermone 272: “Hai detto “Amen”. Ma, a che cosa hai detto “Amen”? Hai detto “Amen” a ciò che tu sei, tu hai udito “il Corpo di Cristo” infatti, voi siete il Corpo di Cristo, e avete detto “Amen”, “sì noi siamo il Corpo di Cristo””. Quell’amen è un Amen ecclesiologico. Agostino si serve della interpretazione simbolica per arricchire i significati dell’Eucarestia, sono testi difficili da interpretare. Non si capisce se lui lì sta allargando la dottrina dell’Eucarestia o sta interpretando la presenza di Cristo in linea simbolica. È indubbio però che i testi di Agostino oscillano tra tutte e tre le line di interpretazione. Questa ambiguità dei testi agostiniani costituirà il terreno delle successive interpretazioni e conflitti. Il pensiero di Agostino è soggetto a molte interpretazioni, c'è chi ci vede la conferma del pensiero precedente, chi invece no. Agostino unisce l'atto dell'eucarestia con l'atto della croce, caratterizzando la messa come il sommo e vero e nuovo sacrificio. Nell'epistola 98 scrive che Cristo si è immolato da sè stesso una sola volta, eppure nella liturgia si immola ogni giorno e non mentisce chi risponde di si alla domanda se Cristo si immola in ogni liturgia. Nel sacrificio della messa avviene il sacrificio di Cristo, Agostino unisce eucarestia ed ecclesiologia, non solo sacrificio di Cristo ma anche sacrificio della chiesa, molto importante questa distinzione, è l'unico motivo per il quale diciamo la messa tutti i giorni. Sul piano Cristologico 100.000 messe non hanno maggior valere di una sola messa, tutte queste messe non fanno che il memoriale di quell'unica immolazione, sul piano ecclesiologico, una messa non è uguale a tre messe, il sacrificio di Cristo si completa dei sacrifici della chiesa. Agostino salda l'aspetto esteriore visibile a quello interiore invisibile, saldare l'aspetto interiore e l'aspetto esteriore. |