Approfondimento sistematico |
Il Cristo presente |
Se la precedente riflessione, ci ha portato a considerare il modo in cui si può parlare della messa come memoriale del sacrificio, questo punto approfondisce il secondo elemento teologico che è quello della presenza reale (tema affrontato nella parte storica). Cercheremo, ora, di fare una riflessione sistematica, organizzando la dottrina sulla presenza reale, in quattro questioni principali: 1) Il contenuto del dogma della presenza reale; 2) Il modo di spiegarlo; 3) Il tipo di presenza di Gesù nell'eucarestia; 4) Il problema del culto eucaristico.
1) Il contenuto del dogma della presenza reale.
L'elemento essenziale (il contenuto del dogma) della fede eucaristica è l'identità dei doni consacrati del pane e del vino con il corpo e sangue del Signore, che dimostriamo pubblicamente attraverso i racconti dell'istituzione:“questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”. Definizione, questa, che nel linguaggio semita indica la globalità della persona e non semplici riferimenti figurativi o rituali. Questo contenuto del dogma è testimoniato, ulteriormente, in 1Cor11,27-34 che afferma l'identità dei doni con il corpo e sangue del Signore. I padri non pongono in discussione il fatto della presenza, ma si differenziano per una interpretazione di questa presenza. Sono convinti che Cristo è presente come cibo nel pane e nel vino. Essi si adoperano con una ricca terminologia a precisare che questa presenza si realizza nella dimensione del pane e del vino; Cristo non appare ai sensi, ne si offre come era nella sua vicenda storica o nella sua situazione attuale, ma attraverso una presenza specifica: eucaristica. Su questo punto si accentueranno le differenze nelle successive interpretazioni che oscilleranno tra un'interpretazione simbolica, realista, fisicista. Le affermazioni del magistero non lasciano spazio a dubbi, tanto che al primo canone di Trento (DZ1651) si dice: Can. 1. “Se qualcuno negherà che nel santissimo sacramento dell'eucaristia è contenuto veramente, realmente, sostanzialmente il corpo e il sangue di nostro Signore Gesù Cristo, con l'anima e la divinità, e, quindi, il Cristo tutto intero, ma dirà che esso vi è solo come in un simbolo o una figura, o solo con la sua potenza: sia anatema”. In questo dogma si precisa che il contenuto della presenza riguarda la totalità del Cristo, ecco perché si fa un elenco, quasi dettagliato dei diversi elementi in modo da non lasciarne fuori nessuno: corpo, sangue, anima e divinità. Si negano le interpretazioni figurative, sostenendo che questa presenza è vera, reale e sostanziale. Quindi, il contenuto del dogma va inteso in senso vero, reale e, soprattutto, sostanziale, caratteristica che distingue dalle altre interpretazioni. Il problema: cosa si intende per «sostanza»? Concetto non facilmente definibile, perché con l'avvento della chimica moderna si è appreso ad interpretarlo in senso fisico, mentre per S.Tommaso, la sostanza era intesa in senso metafisico; era l'elemento che permetteva di identificare le cose. Per la scolastica, la sostanza, indica il nucleo essenziale di una cosa: l'essere della pietra che non è quella dell'albero; o in termini antropologici è l'io dell'uomo che lo identifica e al tempo stesso lo distingue dall'altro, nonostante il mutare del tempo, o il variare delle sue composizioni (accidenti) esteriori. La sostanza non è percepibile attraverso i sensi, perché questi ultimi colgono soltanto le composizioni fisico-chimiche che in filosofia vengono chiamati accidenti, attraverso i quali la sostanza si esprime, ma è quest'ultima che definisce l'essenza di una cosa. L'uomo può invecchiare, ammalarsi, ecc., ma resta sempre un uomo, perché la sua sostanza resta identificabile. Ne consegue che il concetto di sostanza non appartiene al mondo fisico, ma metafisico: esso non è raggiungibile con i mezzi della fisica naturale; la sostanza non è visibile, non è estendibile, non ha peso, non ha gravità, non ha grandezza quantitativa o forma. La trasformazione eucaristica avviene in questo contesto sostanziale, dunque, in un campo meta-empirico, il che non vuol dire, come dice Smauss in Dogmatica 4-1,333, “ il fatto che è sostanziale non vuol dire irreale”. Un articolo di Colombo in Teologia, Filosofia e Fisica nella dottrina della transustanziazione, 1995, pp.89-124 il quale ripropone,oggi, questo problema della concezione della sostanza, richiamando l'idea del terreno meta-empirico all'interno del quale noi ci muoviamo: “Il concetto di sostanza, dunque, non parte dalla comprensione scientifica per cui essa non può essere oggetto di analisi fisico-chimico, ma è qualcosa di meta-empirico, meta-fisico”. Dello stesso parere è Auer, in Il mistero dell'eucarestia p.268: “L'elemento decisivo, del concetto di sostanza, sta ad indicare una realtà categoriale trascendente. Questa sostanza non può appartenere al campo delle realtà sperimentabili fisicamente”. Quindi, la definizione del contenuto del dogma è presenza vera, reale e sostanziale; questa è la caratteristica dell'eucarestia e non è paragonabile a nessuna altro tipo di presenza. Oggi, riconosciamo che è veramente difficile spiegarlo, a differenza del contesto medioevale, dove l'uomo comprendeva immediatamente, questi concetti. Bisogna, però, ammettere che, il concetto di presenza sostanziale, non è, facilmente comprensibile per l'uomo di oggi. Vi sono autori che tentano di spiegare il dogma con una formulazione linguistica più comprensibile. La difficoltà sta nel fatto che bisogna tener presente il dogma della presenza vera, sostanziale. Una soluzione perfetta potrebbe essere quella di chi segue un linguaggio personalista, sostenendo che Gesù, nella eucarestia è presente totalmente come persona, attraverso una modalità sacramentale nei segni del pane e del vino. Un altro aspetto da considerare, per quanto riguarda il contenuto del dogma, è quello di comprendere la presenza reale di Gesù nell'eucarestia, all'interno di una molteplicità delle presenze di Gesù. questo forte spessore della presenza eucaristica non deve farci dimenticare le altre indicazioni delle presenze del Signore. SC 7, fa qualcosa di caratteristico elencando un elenco che ricorda le presenze di Gesù nel ministro; negli altri sacramenti; nell'assemblea, secondo la promessa di Mt 18,20; nei poveri; nel servizio caritativo; ecc.. L'eucarestia suppone e non esclude queste presenze, tuttavia, poiché in essa, la presenza della persona del Cristo, si realizza attraverso la massima penetrazione ontologica, tutti gli altri luoghi sono finalizzati alla presenza eucarestica. Mysterium fidei, n.9, Paolo VI dice:“La presenza di Cristo, sotto le specie, si dice reale, non per esclusione, quasi che le altre non fossero reali, ma per antonomasia, perché è sostanziale e in forza di essa, Cristo, uomo-Dio, tutt'intero, si fa presente”.
2) Il modo di spiegarlo.
Con quale teoria spiegare questa presenza reale, sostanziale nell'eucarestia? In termini scolastici, sarebbe la causa formale della presenza reale, la quale coincide con la teoria della Transustanziazione: can 2:“Se qualcuno dirà che nel santissimo sacramento dell'eucaristia con il corpo e il sangue di nostro Signore Gesù Cristo rimane la sostanza del pane e del vino e negherà quella meravigliosa e singolare conversione di tutta sostanza del pane nel corpo, e di tutta la sostanza del vino nel sangue, mentre rimangono solamente le specie del pane e del vino, conversione che la chiesa cattolica con termine appropriatissimo chiama transustanziazione: sia anatema”. Con il termine transustanziazione, si intende, in maniera molto specifica, l'espressione stessa: cambiamento di sostanza. Cioè, attraverso la trasformazione eucaristica, il pane e il vino cambiano la loro sostanza in sostanza del corpo e sangue. Ciò che muta è, dunque, la sostanza. Questa idea del cambiamento della sostanza, pone le sue radici nel pensiero dei Padri, i quali pur non conoscendo l'idea della transustanziazione, usano termini analoghi: metapoiein, metamorfosis, transformatio, translatio, ecc.. Allora, cosa succede alla sostanza del pane e del vino? Gli autori hanno proposto diverse teorie, tre in maniera particolare: 1) Consustanziazione: (Lutero, Givanni Duns Scoto), secondo la quale, la sostanza del pane e del vino, non scompare, ma rimane insieme con la sostanza del corpo e sangue; 2) Annichilimento: (Guglielmo di Occam) secondo la quale, ci sarebbe una distruzione delle sostanze del pane e del vino, per permettere la presenza dell'altra sostanza del Signore; 3) Elevazione: dottrina più condivisa, secondo la quale, l'intervento eucaristico di Dio, non determina una distruzione delle sostanze del pane e del vino, ma una loro elevazione che produce un passaggio della sostanza in quelle del corpo e sangue di Cristo. Una caratteristica peculiare è la permanenza degli accidenti: questo permette di parlare di transustanziazione analogica. In natura esiste una transustanziazione naturale, ad esempio nella digestione, ciò che noi chiamiamo metabolismo. Però non abbiamo nessun esempio di transustanziazione che lasci inalterati gli accidenti. Nell’eucaristia è questa la caratteristica fondamentale, che ne fa un problema dal punto di vista razionale. In questo caso si parla di miracolo eucaristico. Gli accidenti condizionano la presenza sostanziale: se scompaiono, scompare anche la presenza eucaristica sostanziale. Quali sono le qualità degli accidenti? Il peso, la localizzazione, il colore, l’estensione, la quantità. Questi non vanno applicati alla sostanza: se si spezza l’ostia, non si spezza il Cristo! C’è un tentativo per rendere più comprensibile il dogma della transustanziazione. Oggi ci sono due teorie: transignificazione transfinalizzazione Queste teorie nascono dall’esigenza di comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. Le interpretazioni si avvicinano molto l’una all’altra e partono da basi storico-teologiche. Conservano il concetto di mutazione (trans), solo che il mistero di questa mutazione va cercato nella capacità dell’uomo di trasformare le cose (riferimento antropologico), di dare alle cose un fine e un significato diverso da ciò che hanno normalmente. Il pane prima della consacrazione è solo pane, ma dopo ha un significato diverso, ha un fine diverso: non c’è dunque trasformazione metafisica, ciò che muta è la sostanza del significato. Alla fine però questa trasformazione perde di oggettività, perché è affidato tutto al soggetto. Il magistero ecclesiastico, quindi, ha ribadito la dottrina della transustanziazione, rifiutando queste teorie. La presenza reale di Cristo nell’eucaristia, ha le sue regole. Paolo VI nella Mysterium fidei dice che queste due teorie possono essere utili per spiegare meglio il significato di transustanziazione nella catechesi.
3) Il tipo di presenza di Gesù nell’eucaristia.
Il mistero eucaristico rischia di essere sminuito da tutte queste teorie circa la presenza reale. Il Cristo presente nell’eucaristia è il Cristo risorto e non quello storico. Questo per andare contro tutte quelle teorie fisiciste che considerano come eucaristico il corpo del Gesù storico. Il corpo di Gesù diventa salvifico perché il Padre lo risorge; senza la resurrezione, la croce non avrebbe valore salvifico. Il centro della redenzione è il Cristo che si dona; si fa eucaristia non per rendere presente un Cristo assente, ma perché attraverso il mistero di quella particolare presenza l’evento pasquale coinvolge il mondo attraverso il dono più vitale della resurrezione, che è lo Spirito. La fede può essere statica o dinamica: - la prima è quella che si accontenta di dire che esiste un Cristo presente nell’eucaristia. Non basta! - Serve la fede dinamica, cioè quella che produce una relazione intensa con questa presenza. Per rendere esplicito questo concetto abbiamo il brano evangelico dell’emorroissa: tutti stanno toccando Gesù, che è presente nel suo corpo, ma lei lo tocca in modo particolare, con una fede diversa, tanto che Gesù stesso dice: “chi mi ha toccato”, proprio per sottolineare la diversità del tocco. Non basta la fede statica, serve lasciarsi toccare dall’eucaristia, si tratta di renderla vera dentro di sé e non basta fare la comunione.
4) Il problema del culto eucaristico
Il rapporto con gli ortodossi e con i protestanti. Anche se oggi ci sono molte convergenze, il problema rimane aperto. * Con gli ortodossi si tratta di spiegare come e soprattutto “quando” si realizza la trasformazione dei doni. La chiesa orientale ha posto in evidenza l’epiclesi, cercando sempre di tenere in stretta connessone il mistero dell’eucaristia con quello cristologico e notando come il Cristo si è fatto carne nel grembo di Maria quando lo Spirito è entrato in Maria, gli ortodossi hanno sempre insistito su questo punto. Gli occidentali invece hanno accentuato l’efficacia delle parole di Cristo durante l’istituzione. I due elementi vanno considerati insieme inseparabili: le nuove preghiere eucaristiche lo mettono in risalto. Nel canone romano c’è l’invocazione dello Spirito, anche se non è messa così in risalto come nelle altre. Nel CCC al n. 1106, c’è una bellissima citazione di Giovanni Damasceno che dice:“tu chiedi in che modo il pane e il vino diventano corpo e sangue di Cristo? Te lo dico io: lo Spirito Santo irrompe e realizza ciò che supera parola e ogni umano pensiero. Ti basti sapere che questo avviene per opera dello Spirito Santo, allo stesso modo che dalla santa Vergine Maria per mezzo dello Spirito Santo, il Signore da se stesso e in se stesso assunse la carne”. * Con i protestanti, invece, il problema è quello della permanenza della presenza. Loro sostengono che la presenza cessa al momento della ricezione, dunque non va conservata, né adorata! La presenza è finalizzata alla ricezione, quindi non c’è più presenza in ciò che avanza. Il concilio di Trento ha risposto a questo con il can. n.4: “Se qualcuno dirà che, una volta terminata la consacrazione, nel mirabile sacramento dell'eucaristia non vi sono il corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo, ma che vi sono solo durante l'uso, mentre lo si riceve, ma né prima né dopo e che nelle ostie o particole consacrate, che si conservano o avanzano dopo la comunione, non rimane il vero corpo del Signore: sia anatema”. Con la dottrina della transustanziazione, la Chiesa cattolica riconosce di poter stabilire quando inizia la presenza reale, ma non quando finisce. Questa fine però avviene in concomitanza con la fine degli accidenti. In oriente nemmeno c’è il culto eucaristico: si venera la riserva eucaristica, anche perché è un culto antico, ma con il fine della comunione agli ammalati. Non c’è però quel numero enorme di tradizioni eucaristiche che conosciamo noi. Oggi c’è un avvicinamento, soprattutto dovuto al dialogo. |