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Adriano IV (1154-1159)
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Nicola Breskspear, cardinale di Albano, il primo papa di origine inglese che prese il nome di Adriano IV (1154-59). I suoi predecessori non erano riusciti ad allontanare da Roma Arnaldo da Brescia il quale, protetto dai senatori, sobillava i Romani contro l'autorità temporale del papa. Vi riuscì però Adriano IV che, dopo aver lanciato, all'avvicinarsi della pasqua del 1155, l'interdetto sulla città, si fece giurare dai Romani che avrebbero cacciato Arnaldo e i suoi seguaci. Adriano IV pote' così uscire dalla Città Leonina, dove era rimasto al sicuro dopo la sua elezione e celebrare la Pasqua del 1155 al Laterano, pacificato con i Romani; mentre Arnaldo, cacciato da Roma, si rifugiò presso i vice-comiti di Campagnatico. Ma, con il beneplacito del Barbarossa, Arnaldo fu preso e consegnato al Papa: condannato al rogo come eretico, le sue ceneri furono disperse nel Tevere, per evitare che, intorno al suo corpo, nascesse un culto popolare. I primi rapporti tra Adriano IV e il Barbarossa furono buoni, ma ben presto si giunse allo scontro. I primi contrasti furono occasionati dal rifiuto del Barbarossa di rendere al papa l'officium stratoris, il servizio cioè di tenergli la staffa e di reggergli le redini del cavallo, simbolo della superiorità del pontefice. Barbarossa si era rifiutato per timore che quel gesto fosse interpretato come atto di vassallaggio, e si adattò a questa consuetudine solo in seguito al consiglio dei principi; così come lo stesso Barbarossa rifiutò di ricevere la corona imperiale dai Romani, dietro un compenso di 5.000 libbre d'argento. Fattosi incoronare dal papa (18.VI.1155), il Barbarossa tornò in Germania senza prestare l'aiuto contro i Normanni, promesso nel trattato di Costanza. Fu allora che Adriano IV, accogliendo l'invito di alcuni signori meridionali, pensò di muovere guerra a Guglielmo I, figlio di Ruggero II, re di Napoli e di Sicilia. Sconfitto, fu costretto alla pace stipulando a Benevento un Concordato (1156) con il quale riconobbe la sovranità normanna su tutti i territori dell'Italia meridionale, sotto l'alto dominio della Santa Sede. Federico I ne fu irritato perché interpretò quel concordato come un ritorno alla politica dei tempi di Gregorio VII, il quale si era servito dei Normanni contro l'imperatore. Del resto, quest'accordo non favoriva il piano di restaurazione dell'impero perseguito dal Barbarossa. La crisi scoppiò a Besançon, alla fine dell'ottobre 1157. Motivo del contrasto: la cattura del vescovo danese Eschilo che, tornando da una visita ad limina, mentre attraversava la Borgogna, fu fatto prigioniero da alcuni predoni e l'imperatore non si era dato da fare per liberalo. Il papa scrisse allora una lettera di rimprovero portata da due legati alla dieta di Besançon, dove si trovava Federico I. Alcune espressioni ambigue, come il verbo "conferre coronam" -intrepretata come cessione di un diritto feudale- e la promessa di "beneficia" ancor più grandi che il papa sarebbe pronto a concedere all'imperatore -tradotta con "feudi", quasi che l'impero fosse un feudo del papa- insospettirono i Tedeschi, irritati infine dall'atteggiamento del card. Rolando Bandinelli, capo della delegazione papale; per cui Federico ordinò ai legati di partire immediatamente per Roma, impedendo così loro di effettuare la progettata visita canonica alle chiese della Germania. Grazie a un'abile propaganda, i vescovi tedeschi si misero dalla parte dell'imperatore. Anzi, il vescovo di Treviri -o meglio negli ambienti della cancelleria imperiale- fece persino il progetto di fondare una chiesa nazionale germanica, indipendente da Roma. Il papa, indotto da Enrico, duca di Baviera e Sassonia, inviò allora una nuova legazione, dando interpretazioni rassicuranti (beneficium, "non feudum, sed bonum factum"; conferre = imponere). E tuttavia il papa ribadiva in questa seconda lettera le responsabilità dell'imperatore nell'incidente di Besançon. Fu un compromesso, più che una vera pace. Infatti, in occasione della sua seconda calata in Italia (1158-62), l'imperatore, dopo aver sconfitto Milano, nella dieta di Roncaglia (11/11/ 1158), appoggiandosi sui giuristi bolognesi, nell'enunciare il programma di predominio politico nella penisola, fece una proclamazione dei diritti sovrani dell'imperatore da non lasciare spazio né all'autonomia comunale delle città lombarde, né ad una libertà politica del movimento papale. Una delle conseguenze fu l'obbligo dei vescovi italiani, in possesso di regalìe, di prestare il giuramento di fedeltà, come i vescovi germanici. E persino lo Stato Pontificio fu trattato alla stregua degli altri, per cui si tornarono ad esigere tasse cadute in disuso nel tempo, come il Fodrum, la tassa dovuta all'imperatore quando scendeva in Italia per l'incoronazione. Il programma politico di Federico giunse a interferire anche nelle nomine dei vescovi, tanto che si poteva quasi parlare di vere e proprie nomine imperiali. Le proteste del papa contro l'usurpatore di diritti che erano propri della Chiesa non ebbero effetto. E poco prima della sua morte, avvenuta ad Anagni nel settembre 1159, Adriano fu sul punto di scomunicare l'imperatore.
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