BENEDETTO XVI
DOCUMENTI
Ama le zuppe e beve limonata, a Natale resterà a Roma «per non essere di intralcio altrove», predilige Sant'Agostino. Ritratto privato di un principe della Chiesa.
Intervista, di Alessandra Borghese
Lunedì 25 ottobre sono stata a cena con il cardinale Joseph Ratzinger,
il suo segretario don Georg Gaenswein e la principessa Thurn und Taxis.
Sono stata un paio d'ore con il prefetto dell'ex Sant'Uffizio per scoprire un
uomo affabile, dolce e soprattutto dotato di umorismo. Chi lo descrive come
gelido, distaccato, inaccessibile e troppo intellettuale non lo ha conosciuto.
Tutto comincia alle 19.30: a Roma fa caldo, il cardinale ha appena finito di
dialogare con Ernesto Galli della Loggia su «Storia, religione e
politica» davanti a Palazzo Colonna (i due interventi sono stati pubblicati per
esteso sul Foglio del 27 ottobre). Alfredo, l'autista, è alla guida della
vecchia Mercedes blu con targa Scv (Stato della Città del Vaticano): l'auto si
accosta al nostro motorino e Alfredo ci fa segno di seguirla.
Qualche slalom nel caotico traffico di Roma ed entriamo in Vaticano da porta
Sant'Anna. L'autista spiega alle guardie svizzere e poi ai vigilantes della
Santa sede che il motorino fa parte del seguito del cardinale. Uno, due, tre
blocchi ed eccoci alla Domus Santa Marta.
Sede importante, quest'ultima, da tenere d'occhio: proprio lì, al prossimo
conclave, i cardinali votanti (sotto gli 80 anni) avranno la propria
residenza. E sarà proprio il cardinale Ratzinger, decano del Sacro collegio, a
guidare e supervedere i lavori. «Un tempo eravamo veramente isolati e sotto
chiave, qualsiasi rapporto con l'esterno era impensabile» sospira Ratzinger, che
non nasconde la preoccupazione che l'uso dei cellulari possa in qualche modo
interferire con le votazioni.
Eccoci a cena. In una piccola sala, sulla tavola imbandita, l'antipasto è già
servito: bresaola con spicchi di pompelmo rosso. Il cardinale benedice il cibo e
poi si siede. Normalmente non ama mangiare molto la sera, quasi mai più di una
zuppa. A osservarlo a tavola, «il Tommaso D'Aquino dei nostri giorni», come lo
definisce qualcuno sulla stampa internazionale, l'uomo colto e di incredibile
finezza intellettuale i cui libri sono oggetto di studio e dibattito anche fra i
laici più agguerriti, non ha l'aria stanca ma piuttosto divertita. Si
riempie un bicchiere con il suo «vino» favorito: la limonata. «Il mio ritmo di
lavoro e la necessità di essere sempre lucidissimo non mi concedono neanche un
bicchiere di vino. Mi sveglio alle 6 di mattina, anzi fino a pochi anni fa anche
prima. Dopo la messa, la meditazione e il breviario, la mia giornata non mi
permette un attimo di pausa: incontri, riunioni, conferenze, scritti da
rivedere, documenti da firmare».
A questo punto sua eminenza comincia a fare domande alla Gloria Thurn und Taxis,
vuole sapere dei figli, di quello che stanno facendo e se passeranno il Natale
nell'amata Ratisbona dove, tra l'altro, risiede anche il fratello del cardinale.
Thurn und Taxis risponde che saranno in Africa e che non vede l'ora di stare con
la gente del posto. Ratzinger la guarda ed esclama: «Pensavo lei andasse in
Africa per vedere le giraffe e gli elefanti!». Scoppiamo tutti in una risata.
È un Ratzinger disteso, spiritoso, aperto quello che cena con noi. Vedendolo
così disponibile gli chiedo cosa farà a Natale. «Resterò a Roma» risponde, «qui
un cardinale ha il suo posto. In qualsiasi altra città o paesino sarebbe di
intralcio: ci sono già i vescovi e i parroci per le celebrazioni». In un certo
senso il Santo Padre ha «incatenato» vicino a sé l'amico fedele, il suo massimo
difensore. Mentre una suora cambia i piatti e serve una zuppa di verdure,
seguita da petti di pollo con insalata di campo, insisto con le domande.
Eminenza, lei come prega, ha un santo favorito? «Prego direttamente Dio,
con Lui è il mio colloquio. Direi che il santo al quale mi sento più legato è
Agostino». Non San Giuseppe?, interviene a sorpresa la principessa bavarese.
«Certo» risponde prontamente Ratzinger «come dimenticare il compagno di Maria,
il padre putativo di Gesù! Ma, a proposito di San Giuseppe, vorrei raccontarvi
una storiella. Germania, gli anni del nazismo. A un certo punto si sparge la
voce che in un istituto per bambini handicappati gli stessi bimbi sono stati
abituati a sputare sulla fotografia di Hitler. La notizia è ovviamente falsa,
messa in giro per eliminare i bambini malati. Ma le autorità vogliono vederci
chiaro e i nazisti decidono di procedere a un interrogatorio nella scuola per
controllare i fatti. Le suore sono terrorizzate. Il protettore dell'Istituto è
San Giuseppe e un grande quadro che lo rappresentava è in bella vista nel
refettorio. Una delle guardie si avvicina ai bambini. Mostra loro una fotografia
del Führer e chiede loro: chi è costui? E i piccoli, senza ombra di dubbio,
rispondono: "San Giuseppe"».
Mentre sul piatto del cardinale arriva un ananas tagliato a fette, a noi tre
viene servito il gelato. Sono già le 21.30, siamo fuori tempo massimo.
Sua eminenza dice la preghiera di ringraziamento seduto, poi si alza e chiede a
don Georg di accompagnarlo a casa. Prima di congedarsi da noi si assicura che
sappiamo come uscire dal Vaticano visto che porta Perugino è chiusa. «Dovete
superare l'antica chiesa di Santo Stefano degli Abissini, lasciare il
governatorato a sinistra, girare nel cortile della Sentinella, passare il
cortile del Belvedere e uscire da porta Sant'Anna».
Sua eminenza si incammina a piedi su per la strada che costeggia il Cupolone di
San Pietro. Dal nostro motorino ancora un saluto: «Sia lodato Gesù Cristo!». Nel
silenzio profondo rimbomba la risposta del cardinale e don Georg: «Sempre sia
lodato!».