BENEDETTO XVI
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Testo integrale dell'intervista al Card. Ratzinger fatta da Repubblica.
CITTÀ DEL VATICANO - L'Europa, culla e pilastro del cattolicesimo, sta
perdendo la sua connotazione cristiana. Già oggi i non praticanti, gli
indifferenti e già gnostici sono maggioranza. Per la Chiesa di Roma è una sfida
decisiva. Ed è da qui che partiamo nel colloquio con il cardinale Joseph
Ratzinger nella Sala Rossa del Sant'Uffizio. Congregazione per la Dottrina della
fede si chiama oggi ed il suo capo è stato e continua ad essere un pilastro del
pontificato wojtyliano.
"Viviamo in una situazione di grande trasformazione. Denatalità e immigrazione -
ci confida il porporato - mutano anche la composizione etnica dell'Europa.
Soprattutto siamo passati da una cultura cristiana ad un secolarismo aggressivo
e a tratti persino intollerante. E ciò nonostante, sebbene le chiese si svuotino
e tanti non riescano più a credere, la fede non è morta. Sono sicuro che anche
nel contesto di una società multiculturale, e fra grandi contrasti, la fede
cristiana rimanga un fattore importante, capace di fornire forza morale e
culturale al continente".
Dunque il cardinale Ratzinger non è pessimista?
"Ottimismo e pessimismo sono categorie emozionali. Io penso di essere
realista. Resto convinto della forza interiore della fede. Piuttosto il
cattolicesimo è diventato sempre più "cattolico", cioè universale. E mentre
altri continenti scoprono il loro modo di essere cristiani e cattolici, l'Europa
non sarà più una voce così determinante come in passato. Avrà una grande
rilevanza, ma sempre all'interno di un concerto internazionale".
Dopo l'affare Buttiglione certi gruppi laici e cattolici dipingono un
cristianesimo assediato in Europa.
"Esiste un'aggressività ideologica secolare, che può essere
preoccupante. In Svezia un pastore protestante, che aveva predicato
sull'omosessualità in base ad un brano della Scrittura, è andato in carcere per
un mese. Il laicismo non è più quell'elemento di neutralità, che apre spazi di
libertà per tutti. Comincia a trasformarsi in un'ideologia che si impone tramite
la politica e non concede spazio pubblico alla visione cattolica e cristiana, la
quale rischia così di diventare cosa puramente privata e in fondo mutilata.In
questo senso una lotta esiste e noi dobbiamo difendere la libertà religiosa
contro l'imposizione.di un'ideologia che si presenta come fosse l'unica voce
della razionalità, mentre invece è solo l'espressione dì un "certo"
razionalismo".
Ma per lei cos'è la laicità?
La laicità giusta è la libertà di religione. Lo Stato non impone una
religione, ma dà libero spazio alle religioni con una responsabilità verso la
società civile, e quindi permette a queste religioni di essere fattori nella
costruzione della vita sociale".
Eppure ci sono frontiere delicate. Prendiamo il crocifisso nelle
scuole. C'è la tendenza, che trovo banalizzante, di dire che è simbolo di amore
universale e quindi non può dare fastidio a nessuno. In realtà è anzitutto il
segno di un Dio e di una religione. Non è comprensibile che ci sia chi afferma
che non ci può essere un solo segno imposto?
"Dipende dalle situazioni storiche. Possono darsi paesi che non hanno
una storia o una presenza cristiana e quindi non vogliono questo segno perché
non esprime un'eredità e un orientamento morale comune. Io penso che grazie a
Dio l'Italia, e anche parte della Germania, sono ancora così segnate dal loro
passato e dal loro presente cristiano che il crocifisso resta per loro un punto
di orientamento. La Croce ci parla di un Dio che si fa uomo e muore per
l'uomo,che ama l'uomo e perdona. E questa è già una visione di Dio che esclude
il terrorismo e le guerre di religione in nome di Dio.
Può darsi che in futuro si perda la sostanza cristiana in un popolo: allora si
potrebbe dire che non c'è più questo sentimento comune e magari non si potrebbe
più offrirlo negli spazi pubblici. Per me sarebbe un passaggio triste e perciò
mi impegno personalmente perché non vada persa questa sostanza cristiana".
Ma se un ebreo o un musulmano, senza polemiche, chiedono di trovare
nella scuola anche un segno della loro fede, è giusto negarlo?
"Si può riflettere sulle condizioni di un simile caso, ponderando bene
tutte le differenze che esso comporta. Ma è una questione aperta, dovrei
rifletterci sopra in modo più approfondito".
Non crede che esiste una difficoltà della Chiesa a farsi capire
dall'uomo di oggi?
"Non facciamone un'immagine mitica, l'uomo d'oggi è molteplice. E'
assai diverso in America latina, in Africa o in Asia. E anche tra noi ci sono
ceti sociali con svariate visioni del mondo. Ma è vero che il cristianesimo ha
difficoltà a farsi capire nel mondo odierno, specialmente in quello occidentale:
americano ed europeo. Sul piano intellettuale il sistema concettuale del
cristianesimo appare molto lontano dal linguaggio e dal modo di vedere moderno.
Basterebbe pensare solo alla parola "natura": come ha cambiato senso! Dobbiamo,
senza dubbio, fare il possibile per tradurre questo sistema concettuale in modo
che emerga la vera essenza del cristianesimo.
Come descriverla?
"Una storia di amore fra Dio e gli uomini. Se si capisce questo nel
linguaggio del nostro tempo, il resto seguirà ".
Basta questo?
"C'è anche la difficoltà ad accettare il cristianesimo dal punto di
vista esistenziale. Gli attuali modelli di vita sono molto diversi e quindi
l'impegno intellettuale da solo non è sufficiente. Bisogna offrire spazi di
vita, di comunione, di cammino. Solo attraverso esperienze concrete e l'esempio
esistenziale è possibile verificare l'accessibilità e la realtà del messaggio
cristiano".
Torna a diffondersi la tentazione di rifugiarsi nel sogno di una
società organicamente cristiana. Ha senso?
"Certamente no. Era una situazione storica determinata con luci ed
ombre, come testimonia anche la storia della Chiesa. Oggi si tende a vedere
piuttosto le ombre, ma vi erano anche luci, come rivela la grande cultura
medievale. Adesso, rifugiarsi in una situazione non più ripetibile sarebbe
assurdo. Dobbiamo accettare che la storia vada avanti, affrontando la difficoltà
di credere in un contesto pluralista, ma sapendo bene che vi sono pure nuove
possibilità per una fede libera e adulta. La fede non è solo il risultato di una
tradizione e di una specifica situazione sociale, ma anzitutto l'esito di un
libero sì del cuore a Cristo".
Dove sta Dio nella società contemporanea?
"E' molto emarginato. Nella vita politica sembra quasi indecente
parlare di Dio, quasi fosse un attacco alla libertà di chi non crede. Il mondo
politico segue le sue norme e le sue strade, escludendo Dio come cosa che non
appartiene a questa terra. Lo stesso nel mondo del commercio, dell'economia e
della vita privata. Dio rimane ai margini. A me sembra invece necessario
riscoprire, e le forze ci sono, che anche la sfera politica ed economica ha
bisogno di una responsabilità morale, una responsabilità che nasce dal cuore
dell'uomo e, in ultima istanza, ha a che fare con la presenza o l'assenza di
Dio. Una società in cui Dio è assolutamente assente, si autodistrugge. Lo
abbiamo visto nei grandi regimi totalitari del secolo scorso".
Un grosso nodo è l'etica sessuale. L'enciclica Humanae Vitae
ha prodotto un fossato tra magistero e comportamento pratico dei fedeli. E' ora
di rimeditarla?
"Per me è evidente che dobbiamo continuare a riflettere. Già nei suoi
primi anni di pontificato Giovanni Paolo II ha offerto al problema un nuovo tipo
di approccio antropologico, personalistico, sviluppando una visione molto
diversa della relazione fra l'io e il tu dell'uomo e della donna. Vero è che la
pillola ha dato il via ad una rivoluzione antropologica di grandissime
dimensioni. Non si è rivelata essere, come forse si poteva pensare all'inizio,
solo un aiuto per le situazioni difficili, ma ha cambiato la visione della
sessualità, dell'uomo e del corpo stesso. E' stata sganciata la sessualità dalla
fecondità e così è cambiato profondamente il concetto della stessa vita umana.
L'atto sessuale ha perso la sua intenzionalità e finalità, che prima era sempre
stata visibile e determinante, sicchè tutti i tipi di sessualità sono diventati
equivalenti. Soprattutto da questa rivoluzione consegue l'equiparazione tra
omosessualità ed eterosessualità. Ecco perché dico che Paolo VI ha indicato un
problema di grandissima importanza".
Ecco, l'omosessualità è un tema che riguarda l'amore fra due persone
e non la mera sessualità. Cosa può fare la Chiesa per capire questo fenomeno?
"Diciamo due cose. Anzitutto dobbiamo avere un grande rispetto per
queste persone, che soffrono anche e che vogliono trovare un loro modo di vivere
giusto. D'altra parte, creare ora la forma giuridica di una specie di matrimonio
omosessuale, in realtà, non aiuta queste persone".
Quindi lei giudica negativamente la scelta fatta in Spagna?
"Sì, perché è distruttiva per la famiglia e la società. Il diritto crea
la morale o una forma di morale, poiché la gente normale comunemente ritiene che
quanto afferma il diritto sia anche moralmente lecito. E se giudichiamo questa
unione più o meno equivalente al matrimonio, abbiamo una società che non
riconosce più la specificità né il carattere fondamentale della famiglia, cioè
l'essere proprio dell'uomo e della donna che ha lo scopo di dare continuità- non
solo in senso biologico -all'umanità. Ecco perché la scelta fatta in Spagna non
reca un vero beneficio a queste persone: poiché in tal modo distruggiamo
elementi fondamentali di un ordine di diritto".
Eminenza, a volte la Chiesa dicendo no su tutto, è andata incontro a
sconfitte. Non dovrebbe essere almeno possibile un patto di solidarietà fra due
persone, anche omosessuali, riconosciuto e tutelato dalla legge?
"Ma l'istituzionalizzazione di una simile intesa - lo voglia o no il
legislatore - apparirebbe necessariamente all'opinione pubblica come un altro
tipo di matrimonio e la relativizzazione sarebbe inevitabile. Non dimentichiamo
poi che con queste scelte, verso cui oggi inclina un'Europa - diciamo così - in
decadenza, ci separiamo da tutte le grandi culture dell'umanità, le quali hanno
sempre riconosciuto il significato proprio della sessualità: cioè che un uomo e
una donna sono creati per essere congiuntamente la garanzia del futuro
dell'umanità. Garanzia non solo fisica ma morale".
In definitiva le visioni confliggenti nell'etica riflettono la
rivoluzione del soggetto in corso nel mondo occidentale. La nuova soggettività è
una sciagura o una sfida per la Chiesa?
"Di per sé la capacità di autodeterminazione può essere una cosa buona.
Ma dubito che molti soggetti siano realmente autodeterminati - come oggi si vuol
far credere - e non vivano invece un certo uniformismo prefabbricato, magari
pensando di realizzare se stessi. L'uomo d'oggi è manipolabile dal mercato, dai
media, dalle mode. Vero è che la sfera del soggetto è divenuta molto più grande.
Il problema è che oggi la religione e la morale sembrano appartenere solo alla
sfera del soggetto. L'oggettività si troverebbe unicamente nelle scienze mentre
il resto sarebbe soggettivo. Di conseguenza la religione perde peso nella
formazione della coscienza comune".
E allora?
"Rimane un'acquisizione positiva che il soggetto sia più consapevole
della sua libertà e responsabilità, ma è giunto il momento di riconoscere che la
libertà umana può vivere solo come libertà condivisa con gli altri. In una
responsabilità comune. Soprattutto va capito che l'uomo non crea se stesso: è
una creatura con i suoi limiti e con la possibilità di deviare o di trovare la
via che corrisponde al suo essere propriamente una persona umana".
In questo scenario tutto occidentale sta irrompendo l'Islam. Come
dovrebbe fronteggiarlo il cattolicesimo?
"Anzitutto l'Islam è multiforme, non è riducibile solo all' area
terrorista o a quella moderata. Esistono interpretazioni diverse: sunniti,
sciiti, eccetera. Culturalmente c'è una grande differenza tra Indonesia, Africa
o penisola araba e forse si sta formando anche un Islam con una specificità
europea, che accetta elementi della nostra cultura. In ogni caso è una sfida
positiva per noi la ferma fede in Dio dei musulmani, la coscienza che siamo
tutti sotto il giudizio di Dio, insieme ad un certo patrimonio morale e all'
osservanza di alcune norme che dimostrano come la fede per vivere abbia bisogno
di espressioni comuni: cosa che noi abbiamo un po' perso".
E sul versante critico?
"Si tratta di cogliere anche le debolezze culturali di una religione troppo
legata ad un libro considerato come verbalmente ispirato, con tutti i pericoli
che ne conseguono. Possiamo offrire il concetto di libertà religiosa ad una
religione in cui è determinante la teocrazia, cioè l'inscindibilità tra potere
statale e religione. Potremmo mostrare loro che un Dio che lascia più libertà
all'uomo, offre nuovi spazi all'uomo e al suo sviluppo culturale".
Si fa strada la tendenza nei nostri paesi a voler esportare in ogni
modo i valori occidentali nel resto del mondo, perché considerati migliori.
"Non dobbiamo imporre e dogmatizzare tutte le nostre idee. Dobbiamo
essere consapevoli della relatività di tante nostre forme politiche, religiose,
economiche. D'altra parte, dobbiamo lasciare agli altri popoli la possibilità di
contribuire alla molteplicità del concerto della cultura umana. Noi cerchiamo di
convincere gli altri di cose che ci paiono essenziali, ma ciò deve avvenire nel
rispetto, senza imposizioni".
La Repubblica 19 nov. 2004