BENEDETTO XVI
DOCUMENTI
BILANCI DEL '900
Dal 1968 al 1989 un'epoca segnata da utopie che volevano imporsi e sostituirsi
al cristianesimo. Una riflessione di Ratzinger
I gulag dimenticati
di Joseph Ratzinger
Protesta giovanile e comunismo,
due forme di un'unica idea: l'appartenenza a questo mondo
A ben guardare, due anni sembrano aver segnato gli ultimi
decenni del secolo appena trascorso: il 1968 e il 1989. Il 1968 è legato
all'emergere di una nuova generazione, che non solo giudicò inadeguata, piena di
ingiustizia, piena di egoismo e di brama di possesso, l'opera di ricostruzione
del dopoguerra, ma che guardò all'intero svolgimento della storia, a partire
dall'epoca del trionfo del cristianesimo, come a un errore e a un insuccesso.
Desiderosi di migliorare la storia, di creare un mondo di libertà, di
uguaglianza e di giustizia, questi giovani si convinsero di aver trovato la
strada migliore nella grande corrente del pensiero marxista.
L'anno 1989 segnò il sorprendente crollo dei regimi socialisti in Europa, che
lasciarono dietro di sè un triste strascico di terre distrutte e di anime
distrutte. E, tuttavia chi pensava che l'ora del messaggio cristiano sarebbe
nuovamente scoccata si è illuso: sebbene il numero dei cristiani credenti nel
mondo non sia modesto, in questo momento storico il cristianesimo non è riuscito
a porsi distintamente come un'alternativa epocale. La «dottrina di salvezza»
marxista, in sostanza, era nata, nelle sue numerose versioni variamente
strumentate, come unica visione del mondo scientifica corredata di motivazione
etica e adatta ad accompagnare l'umanità nel futuro. Di qui il suo difficile
congedo, anche dopo il trauma del 1989.
Basti pensare a quanto contenuta è stata la discussione sugli orrori dei gulag
comunisti, a quanto inascoltata è rimasta la voce di Solzenicyn: di tutto questo
non si parla. A imporre il silenzio è una sorta di pudore. Persino al
sanguinario regime di Pol Pot si accenna soltanto occasionalmente, en passant.
Ma è rimasto il disinganno, accanto a una profonda confusione. Nessuno oggi
crede più alle grandi promesse morali. E proprio in questi termini era stato
inteso, il marxismo: una corrente che auspicava giustizia per tutti, l'avvento
della pace, l'abolizione degli ingiustificati rappo rti di predominio dell'uomo
sull'uomo e via dicendo. Per questi nobili scopi si pensò di dover rinunciare ai
principi etici e di poter utilizzare il terrore come strumento del bene. Da
quando, anche solo per un momento, sono affiorate in superficie, visibili a
tutti, le rovine dell'umanità prodotte da quest'idea, la gente preferisce
rifugiarsi nella pragmatica o professare pubblicamente il dispregio per l'etica.
Un tragico esempio è quello della Colombia, dove all'insegna del marxismo è
stata intrapresa in passato una lotta per la liberazione dei piccoli
agricoltori, soffocati dai grandi capitalisti. Al suo posto oggi è rimasta una
repubblica di ribelli sottratti al potere statale, che vive apertamente del
traffico illecito di droga e non cerca per questo giustificazioni morali,
soprattutto perché, soddisfacendo la domanda dei paesi ricchi, riesce a sfamare
un popolo che altrimenti faticherebbe a trovare un suo posto nell'ordine
economico mondiale. In situazioni confuse come questa non è forse compito del
cristianesimo tentare sul serio di ritrovare la propria voce per «introdurre» il
nuovo millennio al suo messaggio, per proporlo come segnavia, comprensibile e
universale del futuro? (...)
Dov'è stata, in tutti questi anni, la voce della fede cristiana? Il 1967, anno
della nascita di quest'opera, ribolliva ancora dei fermenti del primo periodo
post-conciliare. Il concilio Vaticano II si era proposto di rinnovare il ruolo
del cristianesimo come motore della storia. Nel XIX secolo, infatti, si era
diffusa l'opinione che la religione appartenesse alla sfera soggettiva e
privata, e che a questi ambiti dovesse limitare la propria influenza. Proprio
perché relegata alla sfera soggettiva, la religione non poteva porsi come forza
determinante per il grande corso della storia e per le decisioni da assumere in
essa. Terminati i lavori del concilio, quindi, doveva essere di nuovo chiaro che
la fede dei cristiani abbraccia l'intera esistenza, è un punto cardine della
storia e del tempo e non è destinata a limitare la propria sfera di influenza
alla sola soggettività.
Il cristianesimo tentò - perlomeno nell'ottica della chiesa cattolica - di
uscire dal ghetto in cui si trovava recluso dal XIX secolo e di tornare a
coinvolgersi pienamente nel mondo. Parlare in questa sede dei dissidi e dei
contrasti interni alla chiesa derivanti dall'interpretazione e dall'adozione del
concilio sarebbe superfluo. Nella determinazione del ruolo del cristianesimo
nella storia ha influito soprattutto l'idea di un nuovo rapporto tra chiesa e
mondo. Se negli anni Trenta Romano Guardini aveva coniato (giustamente)
l'espressione «distinzione di ciò che è cristiano» (Unterscheidung des
Christlichen), oggi tale distinzione sembrerebbe aver perso la sua
importanza in favore, piuttosto, del superamento delle distinzioni,
dell'avvicinarsi al mondo, del coinvolgersi nel mondo. Quanto rapidamente queste
idee potessero uscire dalla cerchia dei discorsi ecclesiastici accademici e
acquisire un taglio più pratico cominciò a essere evidente già nel 1968,
all'epoca delle barricate parigine, quando si celebrava un'eucaristia della
rivoluzione e, con essa, si sperimentava un nuovo connubio tra chiesa e mondo
all'insegna della rivoluzione, in attesa di tempi migliori. La partecipazione in
prima linea di comunità studentesche cattoliche ed evangeliche ai movimenti
rivoluzionari nelle università europee ed extraeuropee non fece che confermare
tale tendenza. (...)
Sembrava, a quell'epoca, che l'unica strada percorribile fosse il marxismo.
Sembrava che Marx avesse assunto il ruolo che nel XIII secolo aveva ricoperto il
pensiero aristotelico, una filosofia precristiana (ossia «pagana») da battezzare
per riavvicinare l'una all'altra fede e ragione e per porle in un rapporto
corretto. (...)
Chi si aspettava che il cristianesimo si sarebbe trasformato in un movimento di
massa ha capito di essersi sbagliato: non sono i movimenti di massa e
racchiudere in sè promesse per il futuro. Il futuro nasce quando delle persone
si incontrano su convinzioni comuni, capaci di dar forma all'esistenza. E il
futuro cresce positivo se queste convinzioni scaturiscono dalla verità e alla
verità conducono.
© Avvenire, 04 febbraio 2004