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"Non facciamoci del male, curiamo la vita, curiamo la famiglia, curiamo la natura, curiamo i bambini, curiamo gli anziani" Papa Francesco

 

Confessioni di un ex trans. Walt: «Ero malato. Stavo male. Ora sono la prova che Dio è vivo»

Ti piacerebbe avere disturbi di identità, depressivi, dissociativi, al punto da spingerti alla droga, all’alcol, al suicidio, e sentirti dire che vai bene così? Questo domanda Walt Heyer (nella foto) a chi dice che il sesso non è un dato naturale. «Non si nasce transessuali. Ti accade qualcosa per cui cerchi di fuggire da ciò che sei».

A parlare contro chi sostiene che l’identità di genere sia una scelta soggettiva è un ex transessuale americano. E questa è la sua confessione resa a Tempi. Walt Heyer è un ragazzo ventenne quando si sposa.

 

Ma l’essere di sesso maschile lo terrorizza da tempo. Sono gli anni Sessanta. L’idea di potersi trasformare da uomini in donne sta diventando una concreta possibilità grazie alla chirurgia. La vita procede. Carriera, moglie, figli. Tutto ciò non basta più a lenire la segreta sofferenza di Walt.

Così, un giorno, abbandona la famiglia, entra in una clinica. E Walt diventa Lara. Lara Jensen. Purtroppo, a parte l’involucro, testa e natura restano quelle di prima. E il dolore, anziché diminuire, cresce. «I medici che incontrai prima dell’operazione e che dovevano valutare il mio stato psicologico diedero un giudizio molto approssimativo: la diagnosi di disturbo dissociativo arrivò solo dieci anni dopo». Si dice che ognuno deve essere ciò che “sente” di essere. Il pensiero dominante ci insegna che si è felici scegliendo quel che si vuole. Fosse anche la cosa più terribile.

Violenti, talebani e intolleranti, quelli che affermano il contrario?

 Sì, a detta del politically correct, è così. Eppure sono loro quelli che mi hanno salvato la vita. Perciò io li chiamo caritatevoli, realisti, buoni. Se sono sopravvissuto, e sono finalmente in pace, è grazie a chi mi ha detto che della mia condotta di vita non andava bene nulla. Per colpa mia? No, non c’erano colpe. C’era un trauma che a un certo punto decisi di affrontare. Bene. Quella gente che definiscono retrograda, bigotta e intollerante non mi ha mai mollato e ha lottato con me per la mia felicità.

Come comincia la sua storia, Walt?

 Per strane ragioni mia nonna sin da piccolo mi vestiva da bambina e quando mio padre lo scoprì non fece che peggiorare le cose: basò la mia educazione su una disciplina severissima. Vennero poi ad aggiungersi le molestie di mio zio, un adolescente disturbato, che cominciò a toccarmi quando avevo 10 anni. Inconsciamente pensavo che se fossi stato una bambina non mi avrebbero più trattato in quel modo. E così cominciai segretamente a pensare di cambiare sesso. All’età di 15 anni mi sentivo intrappolato. Volevo fuggire dal mio corpo. Lo reputavo la causa del mio malessere.

Però lei si è sposato a 20 anni e sua moglie sapeva.

Sì. Mi disse che non era un problema. Che le andavo bene così. Non volle affrontare la cosa e comunque tutto filò via liscio per un po’. A parte l’ansia che tentavo di curare e dominare con lavoro e alcol. Feci una carriera brillante come ingegnere aerospaziale. Guadagnavo bene ma stavo sempre peggio. Dopo diciassette anni di matrimonio non vedevo soluzioni. E così un giorno presi la decisione di cambiare sesso per via chirurgica.

Cosa è successo, poi?

È successo che invece della felicità sono caduto in una depressione ancora più forte. In una vita fatta di promiscuità e follie. Solo dopo otto anni mi resi conto che non avevo fatto altro che peggiorare le cose. Non ero diventato una donna. E la depressione mi annientava. Ma sentivo che ormai era troppo tardi per tutto.

O forse no.

 Mi ricordai che all’università avevo studiato psicologia e che quando le persone hanno una grande pena nella vita diventano depresse o alcolizzate o tossicodipendenti. O tutte e tre le cose insieme. Perciò, dovevo capire da dove veniva la mia pena. Dovevo sapere quale era la verità. E così mi venne in mente che l’unico che poteva conoscere il mio dolore e la mia verità era Colui che mi aveva creato. Perciò feci la cosa più semplice di questo mondo: andai in chiesa a cercarlo. A cercare Dio. E lì trovai uno che mi aiutò per davvero. Un prete. Gli chiesi se avrebbe provato a cambiarmi e lui, sorridendo, mi rispose: «Il mio mestiere è volerti bene, a cambiarti ci penserà Dio».

Ed è stata la svolta della sua vita.

È così, sembrava che Gesù fosse proprio lì, in quella chiesa, in quel prete, ad aspettarmi. Cominciai la terapia psicologica e incontrai la donna che ora è mia moglie. Oggi sono un padre, un marito e un uomo nuovo. Ma sono anche la prova che Dio è vivo. E che i suoi più grandi miracoli sono le ricostruzioni di vite distrutte come la mia. Dio ha il potere di costruire opere usando macerie.

Quanto sono lontane da questa sua esperienza l’iconografia di spensierata normalità che del mondo gay e trans ci mostra il sistema massmediatico.

È un cliché che conosco molto bene, fatto di superficialità e di comode apparenze. In realtà è un mondo di frustrazione, rabbia, dolore che riversa le sue contraddizioni contro le persone che vivono una condizione normale e, giustamente, la difendono. Chi soffre pensa (o per razionalizzare il dolore o perché viene convinto di questo) che la colpa del suo disagio sia della società eterosessuale. Quella che viene erroneamente definita “omofoba”. Perciò la maggioranza dei trans e gay desiderano che sparisca qualsiasi sesso. Dall’altra parte c’è la responsabilità di chi sa, ha studiato ma tace per paura di mettere a repentaglio la propria carriera o per timore di finire in tribunale. Il problema è questo: transessuali, gay e lesbiche nascondono pubblicamente il loro disagio. Quando ero uno di loro ho ascoltato tanto dolore. Ma privatamente non ho mai sentito parlare di amore.

In effetti le statistiche sul tasso di suicidi tra la popolazione di persone transessuali sono agghiaccianti.

 Negli Stati Uniti sono il 30 per cento, ma c’è chi rimane vivo, alzando la soglia dei tentati suicidi al 40 per cento. In Svezia tutti coloro che hanno subìto operazioni per cambiare sesso tra il 1973 e il 2003 hanno tentato il suicidio o hanno avuto gravi problemi psichiatrici. Spesso chi ha disturbi di identità sessuale si prostituisce. Sul mio sito web (sexchangeregret.com) mi contattano migliaia di persone all’anno, sento storie terribili di gente che maledice il giorno in cui si è messa sotto i ferri, che soffre e non trova nessuno che li aiuti. Ora faccio quello che ha fatto chi ha salvato me.

Cosa, precisamente?

 Amore, amicizia, Dio. Anche se sono minacciato. Anche se la legge vuole mettere a tacere chiunque cerchi di offrire un aiuto in questo campo. Anche se il dogma è che essere transessuali non è un problema.

Sappiamo che hai subìto e subisci minacce, censure, boicottaggi sui media.

Sì, l’America è sempre più intollerante con chi vuole anche solo raccontare la propria storia. È vietato ricordare che non c’è evidenza scientifica che sostenga la base biologica della omo e transessualità. E non si possono menzionare gli studi che confermano il fallimento delle operazioni chirurgiche senza essere calunniati.

Ma che interesse c’è a non riconoscere il disagio della persona transessuale?

In America molti trans sono così fragili psicologicamente che non lavorano e sono definiti “disabili”. Il governo li “tiene buoni” elargendo loro assegni di invalidità. Li presi anch’io, ma quando cominciai a guarire e incontrai la mia attuale moglie le dissi che era una cosa folle. Non volevo più dipendere dal governo che mi addomesticava in quel modo. Avevo bisogno di qualcuno che mi aiutasse a essere me stesso. Avevo bisogno di terapie. E di veri amici. Ma gli uomini liberi non piacciono.

Lei sa che la cosiddetta “terapia riparitiva” su omo e transessuali è violentemente contestata dagli attivisti dell’agenda gay e che ovunque, almeno in Occidente, c’è una fortissima spinta alle leggi sull’omofobia e a criminalizzare ogni tipo di dissenso contro quell’agenda.

Questo è appunto merito delle lobby Lgbt, che per decenni hanno perseguito l’obiettivo di occupare gli organi politici, istituzionali, rappresentativi e internazionali per piegarli alla loro agenda. È un’operazione che, come si vede, ha avuto successo.

Perché in Occidente c’è questa costante indifferenza per il matrimonio e la famiglia, mentre c’è un’enorme sopravvalutazione della questione gay, anche se parliamo di percentuali molto piccole delle popolazione?

Il movimento politico gay e transgender è intollerante nei confronti della società eterosessuale perché è intimamente persuaso che il proprio senso di frustrazione terminerà solo con l’eclissi della società tradizionale.

Beh, ci sta riuscendo…

Il problema è che alla fine di questo processo non arriverà nessuna nuova società. Arriverà il disastro.

E da dove si può ripartire, secondo lei, per evitare il “disastro”?

 Dalla famiglia. La famiglia deve tornare a essere un luogo di amore vero. Bisogna andare incontro a chi soffre. E occorrono medici che parlino senza paura. Che contestino il sistema omertoso. E che pubblichino i molti dati esistenti che vengono normalmente censurati. Servono poi le testimonianze di chi è cambiato, affinché chi sta male sappia che c’è una via di uscita reale, come la mia. Ero malato, depresso, alcolizzato. Oggi ho 72 anni e sono sanissimo. Mentre la maggioranza di chi ora si trova nella mia condizione di un tempo, statisticamente non arriva alla mia età, muore prima per abuso di alcol, droga e promiscuità, il miglior viatico ad Aids e malattie letali di ogni genere.

E che ruolo può avere il “fattore religioso” nella riconquista della propria integrità?

 Spesso ci si vergogna a parlare di Dio, di lavoro su di sé, di terapie, perché si temono ritorsioni. Bene, voglio dire a chiunque sta soffrendo quello che un tempo ho sofferto io: non avere paura, ti insulteranno come adesso insultano me, ma non importa, chi ti insulta è perché non è a posto lui. Perciò io ti dico: vai avanti lo stesso, cerca amici e aiuti medici, anche se lo Stato nega a psicologi e psichiatri la possibilità di curarti. Per questo c’è tanta gente che mi cerca: io non ho licenze professionali e la legge non può ancora colpirmi. Se mi chiudessero la bocca? Nessun problema. Una via d’uscita c’è sempre. La vita è più forte di qualsiasi disastro. Anche quello promosso per via legale e statale.

Fonte: Tempi.it