Il Termine Vangelo |
Il termine euaggelion è un messaggio di vittoria, il termine è composto da buono e notizia, in genere il termine si trova non solo in contesti politico militari ma assume una connotazione di notizia breve e nello stesso tempo bella. Non ci troviamo di fronte a un racconto, non ha a che fare con un racconto. L’abitudine corrente a livello comune di riservare il termine vangelo ai primi quattro scritti del canone neotestamentario non corrisponde all’originario impiego cristiano del termine stesso. Questo uso non si attuò prima della fine del II secolo, ed è già testimoniato in Sant’Ireneo di Lione, Adv. Haer. 2,27,2 “Tutte le scritture, le profezie e i vangeli proclamano che…”. Viene così applicato a una serie di scritti e assume senso letterario un termine che originariamente significava semplicemente “buona notizia, annuncio glorioso” e aveva quindi una portata soltanto orale e per di più ristretta ad un contenuto molto breve. A noi ora interessa il passaggio dallo stadio orale a quello scritto. E' di grande importanza la testimonianza di Papia di Gerapoli, che agli inizi del II secolo, portò una storia dei vangeli, riportata da Eusebio nella sua Storia ecclesiastica "E questo diceva il presbitero: Marco, divenuto interprete di Pietro, tutto quanto ricordò accuratamente scrisse, benchè non ordinatamente, delle cose dette e fatte dal Cristo. E infatti egli non ascoltò il Signore nè lo seguì, bensì più tardi come ho già accennato, seguì Pietro: il quale secondo le necessità faceva le sue istruzioni, ma non con lo scopo di fare un'esposizione ordinata dei logia riguardanti il Signore, sicchè nessuna colpa ebbe Marco nello scrivere in questa maniera alcune cose come le ricordava; di una cosa sola infatti si preoccupò: di non tralasciare nulla delle cose che aveva ascoltato e di non alterare niente di esse. Matteo da parte sua in lingua ebraica ordinò i detti e ciascuno li interpretò come potette" (Eusebio, Storia ecclesiastica, 3,15-16). Papia afferma anche il vangelo di Matteo tradotto dall'ebraico in realtà nonostante i tanti semitismi non abbiamo niente che attesti che sia stato tradotto. L’evangelo parte da Gesù, lui ne è stato in prima persona soggetto e autore. Egli è stato il primo evangelizzatore, offrendo agli uomini del suo tempo orizzonti nuovi di speranza e di fiducia. Già nella sinagoga di Nazaret, secondo Luca, citando il profeta Isaia egli descrive programmaticamente la propria missione in questi termini “Lo Spirito del Signore… mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per ploclamare ai prigionieri la liberazione” Lc 4,18 = Is 61,1. La stessa cosa ribadisce agli invitati di Giovani Battista il quale, dubitando forse della sua identità messianica in quanto Gesù impostava la propria azione più sulla misericordia che sulla condanna, gli manda a chiedere se fosse proprio lui colui che deve venire; ed egli sottolineando il proprio impegno in favore dell’uomo bisognoso, lo formula compendiosamente con il dire “ai poveri è annunciata la buona novella” (Mt 11,5; Lc 7,22). Gli stessi evangelisti in quanto narratori sono pienamente coscienti di questo dato e lo affermano a chiare lettere “Egli se ne andava per le città e i villaggi, predicando e annunciando la buona novella” (Lc 8,1; cfr. Mt 4,23; 9,35; Mc 1,39) e il suo invito concreto e immediato è riassunto in queste parole: “Convertitevi e credete nel vangelo” Mc 1,15. Qui si pone la domanda su quale fosse il vangelo di Gesù, che si rivolgesse ai poveri è assodato, ma per annunciare loro cosa? La risposta a questa domanda cambia a seconda che la cerchiamo nei sinottici o nel quarto vangelo. Diciamo subito che l’evangelista Giovanni non usa mai né il sostantivo euaggelion né il verbo euaggelizomai: per lui Gesù non è tanto un evangelizzatore, neanche il concetto di povero è centrale per lui. Gesù è il rivelatore di ciò che ha visto e sentito presso il Padre, cosicché egli in sostanza annuncia o proclama se stesso nella propria molteplice funzione salvifica, metaforicamente espressa come quella del vino buono, del’acqua sorgiva del pane, della luce, della vita, del pastore, ecc.. Riteniamo però con la critica contemporanea che una tale cristologia rispecchi più l’ottica della tradizione giovannea che non quella del Gesù terreno. Tutta questa tematica è assente nei sinottici, i quali invece all’unanimità definiscono e qualificano l’annuncio di Gesù come vangelo del regno. Come è da intendersi questo regno? Oggi è superata l’interpretazione politica proposta da alcuni, secondo cui Gesù avrebbe propugnato la teocrazia in Israele sulla falsariga degli zeloti e dei vari rivoltosi di cui riferisce Flavio Giuseppe; questa ipotesi naufraga di fronte al fatto che Gesù né predica una sollevazione antiromana, né permette che si divulghi la propria identità messianica per timore di malintesi temporalistici (cfr Mt 16,20 e spesso, in particolare Gv 6,15). Egli piuttosto è più vicino a quei circoli apocalittici, che ritenevano imminente l’irruzione escatologica della sovranità universale di Dio (gli esseni e Qumran): non però in senso israelocentrico e tanto meno nomistico, bensì come promozione integrale dell’uomo e con la scandalosa preferenza per tutti i poveri, compresi i pubblicani e le prostitute rispetto a chi si crede invece giusto e non bisognoso di conversione. Infatti per entrare nel regno dei cieli occorre diventare come bambini (cfr. Mt18,3), cioè dimentichi di sé e disponibili a compiere la volontà di Dio (cfr. Mt 7,21). In sostanza ciò che Gesù annuncia sono i cieli nuovi e la terra nuova, in cui la vita tanto individuale quanto sociale dell’uomo corrisponda pienamente al progetto divino di quella che alcuni giudaici chiamano la gloria di Adamo. Questo vangelo di Gesù è in parte segnato dall’urgenza di una fine incombente, in parte dalla certezza che già oggi con l’adesione allo stesso Gesù si entra a far parte del regno di Dio. Il vangelo cambia di contenuto e di attori dopo i fatti del terzo giorno. Effettivamente dopo la morte-risurrezione di Gesù, i responsabili del buon annuncio si trovano ad essere i suoi discepoli. Il verbo euaggelizomai viene usato 44 volte qui, rispetto alle 11 riferite al Gesù prepasquale, il sostantivo euaggelion circa 64 volte contro 12. Dopo la pasqua si mette quindi in moto una intensa attività evangelizzatrice, della quale è forza propulsiva lo Spirito di Cristo stesso a partire dalla Pentecoste. Cosicché il vangelo caratterizza più la missione della Chiesa che non quella del Gesù terreno, e la sua oralità è confermata dal frequente impiego di altri termini, come il verbo keryssein, proclamare, e il sostantivo Logos, parola. Ma la cosa importante da notare è che il contenuto di questo buon annuncio diventa sempre meno il regno di Dio e sempre più la persona stessa di Gesù, soprattutto considerata nei momenti supremi di morte e risurrezione, nonché nelle sue qualità personali di Messia, Signore, Figlio di Dio, ecc… Il fulgore del terzo giorno affascinò inizialmente i discepoli, che solo successivamente rileggeranno i vari avvenimenti della vita di Gesù alla luce della morte e risurrezione, all’inizio ci si soffermerà più che altro sulla morte e risurrezione. Il recupero dell’azione e della parola del Gesù terreno. Non rappresentò altro che una estensione dell’originaria dimensione narrativa del vangelo pasquale. In questo processo di recupero dobbiamo notare due componenti fondamentali:
|