Questa è la sezione
più ampia del vangelo di Matteo, e rappresentano la missione galilaica di Gesù,
questa missione presenta nel suo interno quattro parti:
Questi discorsi raccolgono detti di Gesù che in
Marco sono sparsi e Matteo li pone in maniera ordinata nel suo vangelo, sono
quindi discorsi tematizzati, nel senso che scelgono un tema ben preciso e lo
sviluppano, è proprio dell’arte matteana
conferire un ordine e una organicità nei discorsi di Gesù. Questo non
vuol dire che Matteo ha inventato i discorsi di Gesù, Matteo ha solo dato un
ordine, se vogliamo li ha anche sviluppati, ma non li ha inventati. Gli eventi più importanti della
vita di Gesù sono i miracoli,
anche qui è ben ordinato la sezione dei miracoli si trova nella sezione 7-8,
qui Gesù è un taumaturgo, compie dei prodigi. I discorsi e i
miracoli sono rivelativi dell’identità di Gesù, di questi discorsi il più importante è i primo, il discorso della
montagna, questo ci presenta Gesù come nuovo Mosè che non viene a negare Mosè,
ma si presenta in continuità, Mosè insegna, Gesù insegna, Mosè riceve dalla
montagna, Gesù dalla montagna dice le beatitudini. Fondamentale è la
prospettiva di Matteo dell’interiorizzazione, o in termini più semplici “nel
segreto”, il discorso della montagna è un discorso pubblico ma che si attua nel
segreto, nel segreto l’elemosina, nel segreto il digiuno contro un’esposizione
della pietà, polemica quindi
contro la sinagoga. Al centro del discorso della montagna Matteo colloca
il Padre Nostro che si trova proprio nel cuore del capitolo 6. Il Padre Nostro
rappresenta per Matteo la preghiera del discepolo, di chi si stacca dalla folla
per accettare di diventare discepolo, in questo primo discorso abbiamo una relazione tra Gesù e la Torah,
una relazione di continuità
senza dubbio, Matteo non dice mai che Gesù è venuto per abrogare la legge, c’è
invece una continuità importante, la legge continua, ma c’è anche una discontinuità non rispetto alla
legge, ma alle tradizioni giudaiche, quelle tradizioni che vanno a indugiare
sulla pratica di ciò che è formale e non sulla sostanza, qui Gesù diventa
polemico, la polemica è per una tradizione giudaica che si sofferma sulla forma
più che all’interiorità, Matteo ci presenta un Gesù che va al cuore, al
segreto. La sezione dedicata ai miracoli, in questa
sezione Gesù compie miracoli
che ne attestano l’origine divina, ma anche qui i miracoli sono un’attestazione dell’Emmanuele,
per questo nei miracoli di Gesù in Matteo abbiamo sempre lo stesso canovaccio,
gli ammalati si accostano a Gesù, si prostrano a Gesù, ai piedi di Gesù e
domandano. Nei miracoli di Gesù Matteo
ci presenta un Gesù ieratico, non piange, non si commuove, Dio è in mezzo a noi,
uomo come noi, ma resta più di tutto Emmanuele, è trascendente. Avvicinarsi a Gesù prostrarsi e
chiedere, ma non tocca, è in
Marco che si arrabbia, si commuove piange, qui resta invece con tutta la sua
trascendenza. Questo ci fa cogliere una originalità molto importante, i
miracoli fanno da veicolo per l’attestazione della fede, prima del miracolo c’è
la prostrazione, un gesto compiuto ogni giorno quando si entra nel tempio che
sta a significare la professione di fede, sta quindi a dire che lui è il
Signore, ma Matteo non usa questo termine ma Emmanuele, preferisce utilizzare
un termine giudaico. I miracoli non generano la fede, ma il fideismo, è la fede
che genera i miracoli, per questo prima del miracolo c’è sempre la prostrazione.
Matteo duplica gli interlocutori,
le persone che vengono miracolate, abbiamo due indemoniati non uno (Mt 8,34)
(Mt 9,18-25) Due ciechi (Mt 9,27-31). Questo perché per Matteo due è il numero della testimonianza, cioè al tempo di Matteo la
regola giudaica fondamentale di qualsiasi contesto di tribunale era “sulla
bocca di due o più testimoni” ogni testimonianza non si può prendere da sola,
una donna, un bambino, ma neanche un uomo da solo non può testimoniare, solo
due adulti maschi possono testimoniare. La sezione della polemica con gli scribi e i
farisei, ci presenta l’acuirsi del conflitto tra la chiesa domestica matteana e
i farisei, il conflitto è ormai acceso, la polemica coinvolge non soltanto
scribi e farisei, ma anche la famiglia di Gesù. La prospettiva parabolica di
Matteo è diversa di quella di Marco, hanno qui una funzione sapienziale, non
sapienziale-escatologica, in Matteo soprattutto sapienziale, hanno la funzione
di rendere nuovo l’antico, il sapiente per Matteo è questo, colui che sa
rendere nuovo l’antico, una visione tipicamente giudaica, dalla storia riesce a
cogliere per la vita presente. Attraverso le parabole Matteo ci indica la via
della sequela, al discepolato. Mt13,53-18,35 qui subentra il rapporto tra Gesù e la sua comunità,
in questa sezione l’episodio centrale è quello di Cesarea di Filippo, in cui
Gesù è riconosciuto come il Figlio del Dio vivente. L’aggiunta “il figlio del
Dio vivente” è esclusiva di Matteo, non di Marco. In Cesarea è riconosciuto Figlio di Dio non solo da Dio (il
battesimo) ma anche dai suoi discepoli. L’ecclesiologia di Matteo è
composta di due categorie di persone: i piccoli e i fratelli. Piccoli nella
scelta alla partecipazione nel regno, fratelli perché condividono la fede,
tutta la ecclesiologia di Matteo si colloca tra questi due termini. In questo
brano di Matteo di Cesarea, Gesù affida il primato a Pietro, riflette il ruolo
che Pietro occupa nelle comunità della Siria e della Palestina, l’episodio è
presentato da Matteo in una nuova prospettiva, Gesù riconosciuto non solo come
il Cristo, ma il figlio del Dio vivente, quindi la presenza visibile di Dio tra
gli uomini. Per quanto riguarda il discorso ecclesiale (Mt 18) pone in evidenza
come la comunità cristiana è
composta da piccoli e da fratelli, il piccolo per Matteo è semplificato
dalla scelta di un bambino che pone in mezzo ai suoi, e chiede ai suoi di
diventare piccolo come un bambino e di diventare come loro. Il bambino non è
scelto per la sua innocenza, ma per una motivazione molto più concreta, il
bambino non poteva attestare in contesto giuridico, non aveva diritto
giuridico, così fa comprendere ai suoi che proprio perché perseguitati dalla
comunità giudaica sono alla stregua di un bambino che non ha alcuna prova di
attestare. Il problema è di diritto, non di etica, i discepoli devono essere
anche piccoli, cioè coloro che non hanno alcun peso. Il piccolo che non ha
accoglienza nella comunità sinagogale deve averla nella comunità cristiana. |