Di Marco noi sappiamo ben poco, il nome Marco è un nome diffuso nel mondo romano, nel mondo imperiale, non abbiamo nessun dato autobiografico chiaro nel vangelo di Marco, l’autore resta nell’anonimato, saranno i codici successivi, gli amanuensi successivi a porre la stringa Vangelo “secondo Marco”. Nello stesso vangelo non solo non si nomina, ma sono pochissimi gli accenni che possano farci capire la sua identità, lo chiamiamo Marco perché è stato subito attribuito a Marco. Se vediamo negli atti e nelle lettere, forse possiamo arrivare all’identità, Marco è stato discepolo di Paolo, poi il carattere impetuoso di Paolo ha creato conflitti quindi ha seguito Barnaba e poi Pietro. Discepolo quindi della seconda generazione cristiana. Non è un caso che la centralità della croce nella teologia di Marco ha qualcosa con la centralità della croce nella teologia di Paolo. Teologia della croce che non è risucchiata dalla resurrezione, ma resta con tutto il suo mistero. Non è fortuito neanche il fatto che Pietro svolga un ruolo di primo piano, maggiore di quello che svolge negli altri evangelisti, è uno dei discepoli prediletti, ci racconta la partecipazione alla trasfigurazione di Gesù, il tradimento, questo potrebbe portarci a pensare che abbia ricevuto questi dati da Pietro stesso, ma di questo non siamo certi, siamo certi che occupa invece un ruolo di primo piano. Alcuni l’hanno identificato con il ragazzo che fugge durante la passione lasciando il suo vestito, in una condizione di nudità, ma questa resta una pura ipotesi. Il linguaggio di Marco è essenziale, semplice, domina la paratassi (struttura delle frasi in cui si comincia sempre con “e”), Marco non ha proposizioni condizionali, stile semplice. Il vocabolario di Marco contiene pochi termini, il greco di Marco non è di certo quello di Luca. Questo fa pensare a Marco come a un uomo di origine umile, non avrebbe di certo pensato che il suo vangelo fosse consegnato alla letteratura, ma che servisse puramente per la fede. Importante per capire qualcosa di più di Marco è il fenomeno del semitismo, termini traslitterati dall’aramaico e tradotti in greco, come Abbà padre, queste forme di traduzione, ci fanno comprendere quanto meno che il vangelo di Marco non appartiene al giudaismo palestinese, altrimenti non avrebbe bisogno di spiegarlo ogni volta che usa un semitismo, sarebbe stato conosciuto, quindi appartiene a un autore che non è palestinese, ma del giudaismo della diaspora. Fenomeno originalissimo è che dietro al greco c’è il latino. In tutto l’impero veniva parlato il greco, il latino era delle classi elevate. Marco quasi sicuramente può essere ricondotto all’ambiente italico, in cui il latino è più diffuso, questo ci riconduce nella tradizione per la quale Marco è stato scritto nell’ambiente romano, non possiamo esserne certi, ma possiamo dire che i latinismi rivelano un contesto di diaspora giudaica, non certamente un contesto palestinese. |