TESTIMONIANZE CRISTIANE

 

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Lettere Paoline

 

    LA SECONDA LETTERA AI CORINZI 

            La seconda Corinzi quasi certamente è scritta in Macedonia e da essa traspare tutto l'amore di Paolo per una comunità che non gli dà pace, qualcuno l'ha pensata come la lettera delle confessioni di Paolo. È vero che Paolo apre il suo cuore alla comunità di Corinto con questa lettera, la situazione conflittuale tra Paolo e la sua comunità lo induce a mandare queste due lettere.

            2 Cor 1-9 lettera della riconciliazione, 10-13 lettera sulla controversia della colletta. Sono due lettere autonome poste insieme da un relatore. La tematica dominante che attraversa queste due lettere è quella dell'apostolato di Paolo. L'apostolato di Paolo è difeso in entrambe le due lettere in maniera molto diversa. Nella prima corinzi ci sono tematiche di tutti i tipi, qui invece sembrebbe monotona, ma a prima vista.

            C'è un break nei capitoli 8-9, toccano un argomento concreto, la colletta per i poveri di Gerusalemme. Sono di una profondità teologica una, interrompono questi due la questione dell'apostolato, la tematica della colletta interrompe solo indirettamente la questione dell'apostolato, Paolo da una parte si vanta di non aver mai chiesto soldi per l'apostolato, dall'altra chiede soldi per le comunità di Gerusalemme.

            Questa lettera è ritenuta da molti studiosi la più complessa, la più evocativa, abbiamo detto che è composta da due lettere, una è la lettera della riconciliazione, al capitolo 7 si vede come sta per avvenire questa riconciliazione. Dopo pochissimo temmpo degli offensori esterni alla comunità calunniano Paolo davanti alla comunità, allora Paolo scrive i capito 10-13, capitoli violenti non solo per gli avversari esterni, ma anche per la comunità di Corinto che non l'ha difeso.

            Alcuni studiosi vedono in 2 Cor cinque o sei lettere, però non basta un cambiamento stilistico, devono entrare in conflitto delle proposizioni nella lettera, questo è l'unico caso in cui abbiamo più lettere, il resto dovrebbe essere tutto unitario come ci è pervenuto. In 2 Cor 1,15-22 (“Con questa convinzione avevo deciso in un primo tempo di venire da voi, perchè riceveste una seconda grazia, [16]e da voi passare in Macedonia, per ritornare nuovamente dalla Macedonia in mezzo a voi ed avere da voi il commiato per la Giudea. [17]Forse in questo progetto mi sono comportato con leggerezza? O quello che decido lo decido secondo la carne, in maniera da dire allo stesso tempo «sì,sì» e «no,no,»? [18]Dio è testimone che la nostra parola verso di voi non è "sì" e "no". [19]Il Figlio di Dio, Gesù Cristo che abbiamo predicato tra voi, io, Silvano e Timoteo, non fu "sì" e "no", ma in lui c'è stato il "sì". [20]E in realtà tutte le promesse di Dio in lui sono divenute "sì". Per questo sempre attraverso lui sale a Dio il nostro Amen per la sua gloria. [21]E' Dio stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo, e ci ha conferito l'unzione, [22]ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito Santo nei nostri cuori”) parla di un suo cambiamento di viaggio, in realtà Paolo radicalizza i problemi, anche un cambiamenti di viaggio, lo usa per regalarci degli squarci di cristologia che sono molto belli.

 

            L'apostolato di Paolo

 

            Apostolo è un termine che deve essere ben chiarito, deriva dal verbo apostello, che significa inviare, l'apostolo è una persona inviata da qualcuno a qualcuno. Non necessariamente da Dio per gli uomini, nel cap 8 i fratelli scelti dalla Macedonia per portare la colletta sono chiamati apostoli, apostolo è Fede, diaconessa del porto di Corinto. Paolo ha una cognizione molto ampia del termine apostolo:

1.      da questo versante il termine apostolo è molto vicino allo Shaliah, colui che scelto da una sinagoga e inviato ad un altra sinagoga per questioni economiche, amministrative, etiche.

2.      Nel secondo versante del termine apostolo, è Dio stesso che manda presso la sua chiesa degli apostoli, si passa con il secondo versante al livello teologico. Quando Paolo parla del suo apostolato, si riferisce al secondo versante a questo. Paolo parlando del suo ministero ne parla in termini di profeta, il profeta non in termini di escatologia, ma come una persona che parla al posto di, parlano al posto di Dio.

3.      Il terzo livello ci fa passare da Paolo ai sinottici e agli Atti atti, qui il termine apostolo indica uno dei docici, che non è più invitato soltanto da Dio, ma da Gesù Cristo, è Lui che invia. Il termine apostolo in questo caso indica persone ben precise, che si caratterizzano per la loro esperienza, la loro sequela dietro a Gesù. Anche dopo la pasqua, la scelta del dodicesimo è fatta su questo criterio, una persona che è stata con Gesù.

Negli Atti la cosa si complica, Luca utilizza il termine apostoli per indicare i 12 espande però l'utilizzo del termine agli altri apostoli, insieme ai 12 ci sono altri apostoli che sono inviati per annunciare il vangelo. Paolo si muove su tutti e tre i livelli, ma per la sua apostolicità sul secondo livello, quello è il suo.

            Il paradigma dell'ambasciatore 2 Cor 5,14-21 (“Poiché l'amore del Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti. [15]Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro. [16]Cosicché ormai noi non conosciamo più nessuno secondo la carne; e anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così. [17]Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove. [18]Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. [19]E' stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. [20]Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. [21]Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio.”), ci fa intendere come Paolo intende il suo apostolato in termini ambasciatoriani, l'ambasciatore è legatus, colui che è inviato dall'imperatore dal centro dell'impero alle provincie romane, per portare un decreto, un’ambasceria.  Quando l'ambasciatore porta il decreto la sua funzione non è di interpretare il decreto, l'ambasciatore legge e comunica solamente il decreto, non può assolutamente manomettere il decreto, la sua funzione è fedeltà al suo ministero. Paolo usa un'immagine molto comune in quell'ambiente per evidenziare che il suo è un ministero di fedeltà. Se l’ambasciatore viene meno a questa fedeltà c'è la pena di morte, conseguenza penale molto grande. Questa metafora ci fa cogliere che Dio invia l'apostolo affinché sia fedele al ministero affidato.

            Qual è il contenuto dell'ambasciatore? Dio ha affidato il ministero della rinconciliaziome, ha ricevuto un decreto da Dio che consiste nella riconciliazione universale, questa è la novità fondamentale del vangelo di Paolo. C'è una novità nel rapporto tra Dio e l'uomo che è la riconciliazione, questo è il contenuto imprenscidibile della sua vocazione, questa riconciliazione precede qualsiasi pentimento, è totalmente gratuita, il pentimento sarà conseguenza della riconciliazione, che però è totalmente gratuita.

           

            Apologia di Paolo

 

Paolo si difende con due difese molto ricche e battagliere, la prima difesa 2,14-7,4, Paolo rende grazia a Dio perché aveva incontrato Tito e aveva avuto la risposta alla lettera delle lacrime (2 Cor 7,6-9 “Ma Dio che consola gli afflitti ci ha consolati con la venuta di Tito, [7]e non solo con la sua venuta, ma con la consolazione che ha ricevuto da voi. Egli ci ha annunziato infatti il vostro desiderio, il vostro dolore, il vostro affetto per me; cosicché la mia gioia si è ancora accresciuta.[8]Se anche vi ho rattristati con la mia lettera, non me ne dispiace. E se me ne è dispiaciuto - vedo infatti che quella lettera, anche se per breve tempo soltanto, vi ha rattristati - [9]ora ne godo; non per la vostra tristezza, ma perché questa tristezza vi ha portato a pentirvi”).

La tesi fondamentale dell'apologia è qui, la dignità. Chi è degno di questo ministero? Non siamo come molti che mercanteggiano la parola di Dio, la tematica della dignità attraversa tutta la prima apologia. Di fronte a questa domanda Paolo non risponde subito, ma lascia intendere che abbiamo due possibilità:

·        Una negativa: nessuno, prima risposta implicita, questa è la prima sensazione che si ha.

·        Paolo poi dimostra che noi lo diventiamo, attenzione non dice noi lo siamo. Dietro questo c'è il modello profetico dell'A.T. Di Isaia (Is 6); Mosè (Es 3,4). Il modello di Mosè è unico, il paradigma dell'indegnità che diventa dignità, Mosè esprime il rifiuto di andare in Egitto, Mosè è un balbuziente, incapace di comunicare. Lo stesso modello lo riscontriamo in Geremia (1,5-10), che è giovane e Dio gli dice di fidarsi, ripresa della dignità acquisita non naturale.

            Quindi nessuno è degno, ma noi lo diventiamo. Poi Paolo in 3,1-4,6 dice prima dimostriamo che lo diventiamo degni. Come diventiamo degni apostoli all'altezza del ministero? Prima di tutto mediante lo Spirito, è lo Spirito che rende all'altezza del ministero, non è la volontà, ma lo Spirito che rende capace, per questo al capito terzo il soggetto principale dello scritto è lo Spirito, per questo l'espressione più bella è ministero dello Spirito, ministero generato dallo Spirito, noi abbiamo prima lo Spirito e quindi il  ministero. Come si verifica che una persona ha ricevuto il ministero dallo Spirito, lo dimostra la libertà, la franchezza, la mancanza di timore, la sincerità, ha tolto il velo che copriva il volto di mosè, tolto in Cristo per mezzo dello Spirito, Paolo ha una visione esperienziale, ecclesiale dello Spirito, non teorica.

            Il contenuto di questo ministero è Gesù Cristo, lo Spirito rende degni di non predicare se stessi, ma Cristo (2 Cor 4,1-6 “Perciò, investiti di questo ministero per la misericordia che ci è stata usata, non ci perdiamo d'animo; [2]al contrario, rifiutando le dissimulazioni vergognose, senza comportarci con astuzia né falsificando la parola di Dio, ma annunziando apertamente la verità, ci presentiamo davanti a ogni coscienza, al cospetto di Dio. [3]E se il nostro vangelo rimane velato, lo è per coloro che si perdono, [4]ai quali il dio di questo mondo ha accecato la mente incredula, perché non vedano lo splendore del glorioso vangelo di Cristo che è immagine di Dio. [5]Noi infatti non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore; quanto a noi, siamo i vostri servitori per amore di Gesù. [6]E Dio che disse: Rifulga la luce dalle tenebre, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo. ”) il contenuto della predicazione di Paolo è Gesù Cristo, per mezzo dello Spirito. Pone in evidenza questo quasi un trionfo del ministero, una risposta troppo bella e positiva, subentra così la seconda parte da 4,7 a 6,13. Qui Paolo evidenzia i limiti del ministero, 2 Cor 4,7(“Però noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi”), abbiamo questo tesoro in vasi di Creta, con questo riconosce che non siamo vasi d'oro, di ferro, d metallo, ma di Creta, debolezza nel ministero che è sostenuta dallo Spirito, doppia lettura quindi dignità acquisita e limite che permane. Il proprio ministero è posto in una fragilità strutturale. Un limite umano per cui Dio ha messo questo tesoro in vasi di creta, notare è Dio che sceglie, non la persona, il vaso di creta è tutto l'essere, tutta la persona è segnata da questa fragilità. Per dimostrare questo Paolo ricorre a quello che chiamiamo catalogo delle avversità (2 Cor 4,8-12” Siamo infatti tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; [9]perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, [10]portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. [11]Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo esposti alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù sia manifesta nella nostra carne mortale. [12]Di modo che in noi opera la morte, ma in voi la vita.”) la debolezza del ministero è chiamata a divenire forte. Quel tesoro del vaso di creta è chiamata a una metamorfosi, trasformati di gloria, trasformazione interiore che realizza quella dignità. Per realizzare questo c'è bisogno di un processo in atto quello della necrosi e della vita di Gesù (2 Cor 4,7-14).

            Dinamica relazione tra la necrosi e la vita di Gesù, Paolo utilizza necrosi non taratros, la seconda è la costatazione di morte, è il bollettino che il dottore emette quando si trova davanti al cadavere, necrosi è un avanzare della morte, un evoluzione. Nella vita dell'apostolo si realizza questa evoluzione, come un diabete, una malattia che avanza, ma per Paolo l'esito finale non è la morte ma la Zoe la vita di Cristo in noi, la necrosi di Cristo in noi affinchè anche la vita di Cristo sia in noi. La debolezza di cui parla non è una debolezza caratteriale o psicologica, ma la debolezza che si incontra nell'esercizio del ministero. "quando sono debole è allora che sono forte" non si riferisce alla debolezza persona, ma a ciò che incontro nel mio ministero che rivela la mia difficoltà, una debolezza di Paolo è  l'ansia per tutte le chiese, un'altra è quella di non parlare perfettamente in greco, il greco di Paolo è orribile, allora lo accusano, non capisci niente di greco. Le debolezze non sono un alibi, sono debolezze acquisite che si incontrano.

Altro versante è quello del rapporto con le comunità, che rappresenta la verifica del proprio ministero, non la causa, affinchè in noi la morte in voi la vita. Si verifica nell'esercizio, non c'è solo un processo di necrosi e di vita in Gesù, ma anche di morte di noi per vita delle comunità. Paolo sente una relazione vitale con la sua comunità paragonabile a quella del Padre. È un padre che vive una relazione profonda con i figli. L'unico sposo della chiesa è Cristo, l'apostolo non è lo sposo, e neppure l'amico dello sposo, Paolo si presenta come il padre della comunità, mai come lo sposo, è colui che prepara l'incontro con lo sposo. Perchè di fronte a una sposa infedele lo sposo può anche lasciarla, di fronte a uun figlio infedele il padre resta padre (2 Cor 12). Chi è apostolo deve mturare in paternità. 

            Capitoli 8-9, sono stati interpretati in maniera problematicissima, perchè a prima vista il capitolo 8 sembra una piccola lettera sulla colletta, con il capitolo 9 sembra che rinizi da capo, diversi studiosi vedono qui due biglietti autonomi sulla colletta, la colletta del capitolo 8 per i corinzi, il 9 per la Gallia. Paolo però in queste due sezioni affronta il tema in due angolature diverse, la prima è quella della rispresa della colletta, capitolo 8, interrotta da un anno la colletta. Con il capitolo 9 affronta la problematica della qualità della colletta non più della ripresa. Partecipate con benedizione, non dando quattro soldi, dalla ripresa alla qualità della colletta.

 

Significato della colletta

 

Qual è il significato della colletta? La colletta è iniziata non da Paolo, un'iniziativa intrapresa dalle chiese di Siria a favore delle chiese della Galilea a causa di una carestia. Un evento importantissimo è quello dell'assemblea di Gerusalemme At 15, gli apostoli raccomandano a Paolo di ricordarsi dei poveri di Gerusalemme. L'iniziativa nasce dalle chiese, ma Paolo la fa sua subito, anzi la propone a tutte le sue comunità, bisogna aiutare le chiese dei poveri della Galilea soprattutto quella di Gerusalemme che versa sempre in difficoltà.

            Comunità dell'Anatolia, Macedonia, Gallia, Asia, è a macchia d'olio, una iniziativa unica. Paolo, in 1 Cor 16,1-4 la chiama con il suo nome proprio: logheia, con il termine proprio, in tutti gli altri testi non la chiama mai con il nome proprio, sempre con altri termini che ne arricchiscono il significaato: benedizione, amore, liturgia. Tutti termini che elevano il significato della colletta che non è solo raccolta di denaro, è altro, il significato della colletta è molto importante perchè è un segno visibile di comunione delle sue comunità, e dall'altra un debito che tutti devono alla Chiesa madre da cui hanno ricevuto il battesimo.

La colletta non trova nessun paradigma religioso antico, non è uguale alla tassa per il tempio, il dramma, o le monete per il tempio erano obbligatorie e fisse, questa è libera, spontanea e senza fissazione economica, non c'è nessuna decima, è libera e spontanea: “Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia” (2 Cor 9,7), non è obbligatoria, ma non deve neanche essere una spilorceria, un segno di avarizia. La colletta è un segno originalissimo, non nasce da niente di antico, questa è la sua forza e la sua debolezza.

            Come gestisce la colletta? Prima cosa sceglie i delegati, sceglie non di gestire la colletta in prima persona ma attraverso alcuni delegati, gli apostoli della prima accezione, questi devono essere vanto per tutta la chiesa, qui c'è l'imposizione delle mani, per una missione, perchè tutta la chiesa è coinvolta in un ministero. L'imposizione delle mani sta a indicare la partecipazione ecclesiale, scelta di candidati integgerrimi. I candidati devono essere scelti da ogni comunità, in genere due per ognuna, la comunità è rappresentata dai delegati. Chi propone l'iniziativa non la gestisce di prima persona, la colletta è diventato un segno di comunione enorme, arriverà aGerusalemme con i delegati, lui non li può portare i soldi della colletta, non la gestisce lui. Ma nonostante questo sarà accusato di deufradare la comunità. 

            La colletta è definita al capitolo 9 come liturgia, la prima accezione è quella profana, opera per il popolo, chi gestisce le tasse imperiali, perchè opera per il popolo, la liturgia è a favore del popolo, qualsiasi liturgia. La LXX lo usa anche per rendere il termine ebraico di servizio per Dio. Il termine nelle lettere di Paolo assume questo doppio versante, azione di servizio per il popolo e per Dio, cuto offerto a Dio e servizio per la comunità. La colletta è segno visibile dell'uno e dell'altro, azione di servizio per Dio e la comunità, ogi liturgia cristiana dovrebbe avere entrambi questi aspetti.

           

            2 Cor 10-13: seconda lettera

 

            Cambia il tono, con il capitolo 10 Paolo torna in battaglia. Che cosa è successo? Non è la lettera delle lacrime come qualcuno dice, se la leggete è tuttaltro che lacrimosa, entra in conflitto con tutti, è violenta, molto polemica, alcuni cristiani di origine giudaica si sono infiltrati a Corinto e denigrano l'apostolato di Paolo su quattro capi d'accusa fondamentali:

  1. Ipocrisia, mentre le lettere sono aggressive, forti e violente, la sua presenza è debole e fiacca, di persona un agnellino, da lontano un lupo (Perché «le lettere - si dice - sono dure e forti, ma la sua presenza fisica è debole e la parola dimessa».”2 Cor 10,10)
  2. Retorica, nella retorica è un ignorante, questo Paolo che va evangelizzando Gesù Cristo ha un greco debole, è un greco terra terra non nega questo ma dice di essere dotto nella dottrina (“Ora io ritengo di non essere in nulla inferiore a questi «superapostoli»! [6]E se anche sono un profano nell'arte del parlare, non lo sono però nella dottrina, come vi abbiamo dimostrato in tutto e per tutto davanti a tutti.”2 Cor 11, 5-6). Questa accusa è forte in quell'ambiente, voleva dire che doveva tacere, che non doveva parlare.
  3. Gestione economica, con la mano sinistra dice che non chiederà mai soldi ai corinzi, con la mano destra ha chiesto espressamente soldi per la colletta accusa di simonia in ambito religioso o di dolo in ambito civile
  4. Ultima accusa i segni dell'apostolato non sono così grandiosi, non ha visto il signore, non ha fatto miracoli, non è un apostolo eccezionale, non è neanche buono a parlare, è un mediocre.

 

            2 Cor 5,14-21

           

            Dal verso 11 al verso 13 c'è l'exordium (“Consapevoli dunque del timore del Signore, noi cerchiamo di convincere gli uomini; per quanto invece riguarda Dio, gli siamo ben noti. E spero di esserlo anche davanti alle vostre coscienze. [12]Non ricominciamo a raccomandarci a voi, ma è solo per darvi occasione di vanto a nostro riguardo, perché abbiate di che rispondere a coloro il cui vanto è esteriore e non nel cuore. [13]Se infatti siamo stati fuori di senno, era per Dio; se siamo assennati, è per voi.”).  Importante una traduzione letterale del testo che ci consente di entrare nel significato del testo. Il verso 11  è il terminus a puo inizia qui e si chiude con il verso 21 il terminis ad quiem. Si chiude con il 21 perchè poi Paolo si rivolge direttamente ai corinzi. Con 6,1 abbiamo un cambiamento di registro, un esortazione. Vediamo la struttura interna del brano. Dobbiamo stabilire di quante parti si compone un testo. Soltanto in seconda battuta gli elementi contenutistici, ora bisogna capire i movimenti del brano. I versi 11-13 sono un'introduzione, introducono questo brano e tutta la sezione di appartenenza che giunge fino a 7,4.

C'è un verso che si stacca per la sua capacità di suscitare attenzione, ed è il verso più importante di tutta la struttura è il verso 14 (“Poiché l'amore del Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti.”), prima di tutto dal versante formale, si stacca dal suo contesto è chiuso in se stesso e provoca molti interrogativi. È quella che chiamiamo propositio o tesi, la tesi fa capire qual è la meta a cui vuole arrivare, se non si trova la tesi nelle lettere di Paolo ci si perde. Le tesi vanno identificate formalmente non contenutisticamente, creano un attesa nel destinatario.

Versi 15-17 (“Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro. [16]Cosicché ormai noi non conosciamo più nessuno secondo la carne; e anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così. [17]Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove.”) qui Paolo spiega subito che cosa vuol dire questa tesi, al verso 15  la riprende proprio e la spiega attraverso la relazione di Cristo con noi e di noi con lui.

            Versi 18-21 (“Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. [19]E' stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. [20]Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. [21]Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio”) il linguaggio che domina in questi versi è quello della riconciliazione. La tesi fondamentale  del versetto 14  ha bisogno di essere spiegata, non ha detto cosa vuol dire l'amore di Cristo. sunecei vuol dire abbracciare, tormentare angosciare, è uno dei verbi più polisemantici in tutto il greco. Cosa significa l'amore di Cristo? Cosa vuol dire sunecei? In che senso tutti morirono? In un verso Paolo colloca un enorme possibilità di domande, suscita l'attenzione del destinatario, prima di tutto l'amore di Cristo.

            L'amore di Cristo, cosa vuol dire il genitivo l'amore di Cristo? Nella storia dell'interpretazione gli si dà tre significati:

1.      l'amore che noi abbiamo per Cristo, genitivo oggettivo, contenuto del nostro amore è Cristo. L'ipotesi nelle ultime interpretazioni è stata abbandonata perchè subito dopo Paolo non parla del nostro amore per Cristo.

2.      La seconda ipotesi è il genitivo soggettivo, l'amore che Lui ha per noi.

3.      Terza ipotesi più recente ma poco seguita, genitivo oggettivo e soggettivo, l'amore che noi abbiamo per Cristo e nello stesso tempo l’amore che Cristo ha per noi, in termini teoretici si, ma nel testo non si parla mai del nostro amore per Cristo, è Dio che ci ha riconciliato, da Dio, per Cristo per noi.

            La traduzione più pertinente del termine sunecei è tormentare, ma racchiude anche le altre. Ma prima di tutto il verbo è utilizzato poco, In Fil 1,23-24 (“Sono messo alle strette infatti tra queste due cose: da una parte il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; [24]d'altra parte, è più necessario per voi che io rimanga nella carne”) Paolo è tormentato qui tra l’essere con Cristo definitivamente con lui e restare in questo mondo e vivere per la comunità. Chiede a chiunque di spostare il centro della sua esistenza da lui a Cristo. Lo stesso verbo Luca lo usa per la suocera di Pietro guarita dalla febbre, tormentata dalla febbre: sunecomenh (“Uscito dalla sinagoga entrò nella casa di Simone. La suocera di Simone era in preda a una grande febbre e lo pregarono per lei. [39]Chinatosi su di lei, intimò alla febbre, e la febbre la lasciò. Levatasi all'istante, la donna cominciò a servirli.” Lc 4,38-39). L'amore che Cristo ha per noi è un amore febbrile, non è quello dei baci perugina.

            Uno è morto per tutti e tutti sono morti per uno. Uno per tutti, tutti per uno. Fa sue le parole di Gesù questo è il mio corpo dato per voi, ma aggiunge l'universalismo della morte in croce, è morto per tutti indistintamente, senza differenza, per peccatori e giusti, questa morte di Cristo vale per chiunque. L'evento di riferimento è la croce, sulla croce è morto per tutti, non al posto di tutti, ma per tutti, non muore al posto nostro, la prospettiva non è quella della sostituzione, è quella del favore, del vantaggio, Gesù muore a favore nostro, non tanto una morte espiatoria, Paolo utilizzera la categoria dell'espiazione, Rm 3,25 (“Dio lo ha prestabilito a servire come strumento di espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue, al fine di manifestare la sua giustizia, dopo la tolleranza usata verso i peccati passati,”), ma per Lui Cristo muore sempre per noi, vedremo cosa ci darà la morte di Cristo. 

            Potenziale possibilità per tutti di morire in Cristo, il tutti morirono è potenziale, una possibilità. Questa ipotesi non risolve il problema, la morte di Cristo per tutti non è potenziale, è reale, non ipotetica, lui muore per tutti a prescindere, quindi se reale è la prima parte, quella della morte di Cristo, così deve essere anche la seconda, quella della morte di noi tutti.

La chiave di soluzione la riscontriamo al verso 21, dovremmo rileggere dal verso 21  a ritroso, il verso 21 dice chiaramente che Dio lo rese peccato per noi, si tratta di una relazione reale, è universale la morte di cristo e di tutti, è reale, nella realtà umana c'è una nuova creazione che è come se fosse il sorgere di un isola nel panorama geografico che prima non c'era, tutti sono posti di fronte a una nuova creazione, una mentalità nuova, per Paolo Gesù Cristo è morto per tutti, c'è una realtà, il tutti morirono in positivo vuol dire che tutti sono posti in una nuova creazione. Tutti morirono vuol dire tutti sono posti davanti volenti o nolenti a una realtà nuova, a un essere nuovo.

            La portata della morte di Cristo è talmente universale che nessuno può restatre indifferente, ha una portata antropologica addirittura, non c'è schiavo o libero a questo punto. Ne versi 15-17 c’è il rapporto tra Cristo e noi e tra noi e Cristo, in questa prima parte è importante che Paolo sottolinei il rapporto con Cristo in termini di nuova creazione, il linguaggio è quello profetico, ci troviamo di fronte a una realtà apocalittica tutta nuova, nuova creazione vuol dire modo diverso di essere e di pensare non vivere più per se stessi ma per lui. Se l'amore di Cristo ci tormenta noi siamo chiamati a vivere per lui. Qui tocca anche la questione del rapporto con Gesù. 

            Quel “secondo la carne” del versetto 16 non si riferisce a Gesù noi abbiamo conosciuto secondo la carne, noi abbbiamo conosciuto in maniera umana Gesù Cristo non vuole dire che noi abbiamo conosciuto il Gesù terreno. Paolo non sta negando l'importanza della vita terrena di Gesù, ma il modo di vedere Gesù non è più quello umano.

            Dal versetto 18 al 21, questa parte ha una continua presentazione del tema della riconciliazione, Rm 5,1-11, c'è una differenza tra i due brani, qui Paolo parla in termini personali, in Rm ne parlerà intermini universali.  Il linguaggio della riconciliazione era tra persone, tra nemici, tra avversari, trovare una via di conciliazione. Dio non aspetta più per iniziare l'itinerario della riconciliazione non aspetta più penitenza e altre cose, queste partono come risposta alla riconciliazione che parte però  da Dio. La riconciliazione parte da Dio per raggiungere l'uomo, la penitenza il pentimento, l'accoglienza della riconciliazione è fondamentale ma nasce da quell'amore di Cristo che ci tormenta, la risposta, "lasciatevi riconciliare con Dio" dice Paolo al versetto 20.

            Il brano è densissimo, Paolo tocca un'altra tematica molto bella il ministero della riconciliazione. Che cosa vuol dire? Certamente non si riferisce al sacramento della riconciliazione anche se tutto l'ambito sacramentale della riconciliazione va riletto in questo brano. Qui riconciliarsi con Dio vuol dire anche conciliarsi con Paolo, è parte in causa di questa riconciliazione Paolo, non si riferisce assolutamente quindi al ministero della confessione, si può utilizzare ma l'ambito è totalmente diverso, tutta la chiesa è sacramento di riconciliazione, tutta la chiesa è chiamata a questo, anche se non si riferisce al sacramento della confessione è vero che qui Paolo sta parlando del suo apostolato, del suo ministero, che è diverso dalla profezia, ogni ministero è diverso dall'altro. Qui l'apostolato di Paolo è apostolato per la riconciliazione, che non significa che io mi trovo in mezzo da pacere tra Dio è l'uomo, qui dice che Dio riconcilia il mondo a sè e affida a noi questo ministero.

            Il cuore del messaggio che gli ambasciatori di Cristo devono portare è che Cristo è morto per tutti, il ministero della riconciliazione non è un ministero di distanza, Dio ha scelto e scegliendo invia ad annunciare questo mistero.

            Verso 21: tutta la chiave della risoluzione del testo si trova qui. Colui che non aveva conosciuto peccato diventa peccato, “lo fece peccato” dice nel testo, lo fece peccato, non peccatore, va al limite del paradosso. Gesù non ha commesso peccato, ma non vuol dire che non lo riguarda, egli diventa peccato, l'astratto al posto del concreto. Gesù diventa addirittura peccato. Cosa vuol dire? Che la croce è e resta il massimo abominio, sulla croce il peccato dell'uomo è massimalmente visibile (“Infatti ciò che era impossibile alla legge, perché la carne la rendeva impotente, Dio lo ha reso possibile: mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e in vista del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne, [4]perché la giustizia della legge si adempisse in noi, che non camminiamo secondo la carne ma secondo lo Spirito” Rm 8,3-4), la croce è il luogo in cui il peccato si vede massimamente, ma lo è nello stesso tempo, non dopo con la resurrezione, la croce è il luogo della massima giustizia, della massima salvezza. La coincidenza degli opposti, nello stesso tempo in cui è peccato è giustizia. 1 Cor 1,30 (“Ed è per lui che voi siete in Cristo Gesù, il quale per opera di Dio è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione”) Egli che per noi è diventato giustizia, santificazione, redenzione, sapienza, Gesù sulla croce è diventato tutto questo. È diventato giustizia per noi. Massima espressione della lontananza di Dio, ma allo stesso tempo massima vicinanza di Dio.

            La croce è il luogo della visibilità massima del peccato. Paolo trova nella croce il segno della sua teologia ma non come dolore, ma come massima visibilità di Dio, qui Dio si rende presente, qui aggiunge un altro elemento quello che noi diveniamo giustizia di Dio, diventiamo luogo della riconciliazione, il credente diventa strumento della riconciliazione, non vuol dire che siamo giusti, ma che diveniamo strumento visibile della riconciliazione. La croce determina non soltanto una cristologica rivelazione, ma anche una ecclesiale conseguenza, la chiesa come sacramento della riconciliazione. In sintesi quello che rileviamo dal brano, gli spunti principali sono:

  1. L'amore di Cristo
  2. La problematicità del tutti morirono si trova nella conclusione paradossale del verso 21, Gesù è fatto peccato affinchè noi diventassimo giustizia in lui, tutto è comprensibile solo dal verso 21
  3. Centrale è la tematica da una parte della nuova creazione, dall'altra della riconciliazione, la prima legata alla croce, la seconda dal ritorno di Dio, è un qualcosa di originale, la riconciliazione non è causata dal pentimento, ma questo è risposta alla riconciliazione.
  4. Tutto ciò che chiamiamo conversione nel paradigma paolino è conseguenziale della riconciliazione, consequenzialità che non è relativa, la riconciliazione come dono gratuito determina una obbligatorietà della conversione, del pentimento, del riconoscimento del peccato. Non è nella possibilità di esserci o non esserci, noi dobbiamo lasciarci riconciliare con Dio.

            La morte dei credenti è qualcosa di non visibile ma non metaforico (2Cor 5,1-10; 2 Cor 4,13-17) ma reale, è così a livello interno. Noi siamo liberi alla legge non perchè sia abrogata ma perchè siamo morti alla legge. Paolo non distingue anima e corpo, il dualismo di 2 Cor è solo apparente, ciò che muore in Cristo è tutta la persona umana, la morte fisica è slo un passaggio dall'essere in Cristo nella fede a essere con lui nella resurrezione.

 

Lettere Paoline