TESTIMONIANZE CRISTIANE

 

Conosciamo e crediamo

 

Esegesi dell'Antico Testamento

 

La Pasqua ebraica

 

La pasqua è un rito che non è sorto in Israele ma che risale a una tradizione preisraelitica, poi mano mano ha acquistato sempre più importanza nella fede di Israele e nel Nuovo Testamento.

Il testo che contiene il riferimento più antico alla celebrazione della pasqua è Es 12,21-23, in questo testo si riflette la pasqua che era celebrata agli inizi della monarchia, già al tempo dei Giudici.. Nel v. 23 si afferma che “JHWH passerà per colpire”, mentre alla fine si capisce che chi colpisce è lo Sterminatore. Questo ha permesso agli studiosi di capire che la Pasqua subì una profonda reinterpretazione in senso jahwistico. “In origine essa era un rito di pastori che ogni anno, nella notte di plenilunio di primavera, si riunivano secondo i loro clan, immolavano ‘un capo di bestiame minuto’ e con il rito apotropaico dell’aspersione del sangue intendevano tutelare le loro greggi dai pericoli insiti nella transumanza. Questi pericoli erano simbolicamente unificati nella sinistra immagine dello Sterminatore (l’etimologia del nome induce a pensare a una potenza che distrugge la vita e porta la corruzione della morte)1 La celebrazione della pasqua portava quindi nel periodo preisraelitico i valori dei pastori:

  • La comunione: la pasqua era un rito celebrato da tutto il clan, che volendo proteggere il gruppo dallo Sterminatore, intendeva proteggere la vita di ciascuno dei suoi membri.

  • L’apertura fiduciosa verso il futuro: proprio in questa finalità di tutela della vita, appare questa apertura fiduciosa verso il futuro. Quell’atteggiamento che nella scrittura sarà chiamato con il nome di speranza.

Questo rito arcaico venne poi trasformato nella pasqua protoisraelitica cioè nella celebrazione della liberazione dalla schiavitù dell’Egitto. “Proprio il testo che ci ha permesso di riscoprire i valori della Pasqua nel rito primitivo dei pastori, ci consente di individuare i valori che ne caratterizzano la celebrazione a partire dal momento in cui il rito fu assunto da Israele. Come era da attendersi, essi sono anzitutto quelli della comunione fraterna e della speranza. Questo dato risulta confermato sia dall’aspetto comunitario, che caratterizza la celebrazione del rito pasquale, sia dall’aspersione del sangue sugli stipiti e sugli architravi delle porte2. Con l’esodo i valori della pasqua israelita acquistano un nuovo significato:

  • La comunione fraterna è resa possibile dalla comunione con JHWH, che libera dalla schiavitù e quindi da ciò che crea divisione, discordia e violenza

  • Nella speranza invece c’è l’attesa del Signore come liberatore e salvatore, per mettere fine all’oppressione che subiscono i deboli dai più forti


 

Un ulteriore rinnovamento della pasqua si ha con la riforma del re Giosia (640-609 a.C.). Riusci a riconquistare i territori del regno del nord e a unificare quindi di nuovo Israele, e oltre al regno unificò anche il culto: tutti gli atti relativi al culto dovevano essere compiuti solo al tempio di Gerusalemme. La pasqua quindi diventa festa di pellegrinaggio, inoltre sono fuse insieme la festa degli azzimi e la festa della Pasqua, che avvenivano in date ravvicinate prima; sono ora fuse insieme in modo da evitare due pellegrinaggi a tempo breve l’uno dall’altro. Questo si può vedere in Dt 16,1-8, in cui la tradizione degli azzimi e quella della Pasqua si vedono fuse insieme.

La festa degli azzimi si realizzava così “ottenuto il nuovo orzo, si eliminava il lievito vecchio, così tutti gli alimenti risultavano privi di questa sostanza fino a che dal nuovo raccolto non si potesse disporre di nuovo lievito. In questo modo durante sette giorni, nei quali si usavano gli azzimi, si esprimeva la certezza che l’uomo ha sempre davanti a sé la meravigliosa possibilità di entrare in una nuova vita3 Celebrando questa festa insieme alla pasqua il popolo di Israele comprese una nuova dimensione dell’esodo: la liberazione dalla schiavitù costituisce la dimensione fondamentale di una nuova vita.

Quando il popolo subì l’esilio, la Pasqua non poté più essere considerata un sacrificio, in quanto il popolo è lontano dalla terra e dal tempio, quindi in questo periodo si sottolineano altri aspetti della pasqua (Es 12,1-14). La comunione di vita, visto che non si può celebrare il rito nello stesso luogo, avviene celebrandola nello stesso momento, al tramonto del sole. Il valore della speranza invece si vede nel consumare la vittima pasquale in fretta come se si dovesse intraprendere il viaggio dell’attesa della liberazione. Finito l’esilio i valori della pasqua torneranno quelli del periodo di Giosia, arricchiti però della maturazione avvenuta durante l’esilio. Una volta ricostruito il tempio nel 515 a.C. la Pasqua ritorna ad essere sacrificio.

1 Giovanni Odasso, Bibbia e religioni, p.143

2 Giovanni Odasso, Bibbia e religioni, p.144

3 Giovanni Odasso, Bibbia e religioni, p.146

 

Esegesi dell'Antico Testamento