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Concilio di Trento Il Concilio di Trento(1545-1563), va studiato come concilio di riforma, non come controriforma. Voleva essere un concilio di riunione per questo si scelse Trento, città italiana ma tedesca, fu un fallimento in questo senso. Sul piano dogmatico il tridentino vuole essere anzitutto una risposta alla Riforma Protestante. A Lutero abbiamo detto che non interessava tanto l’ecclesiologia quanto la salvezza della propria anima, solo a un secondo tempo a questa problematica si accompagneranno critiche sempre più radicali alla Chiesa, sino ad esprimere opinioni ecclesiologiche teoriche (preferenza della Chiesa invisibile, negazione del sacerdozio gerarchico, assolutizzazione del sacerdozio universale dei fedeli) e pratiche (autonomia delle singole comunità cristiane e poi loro soggezione al signore temporale). L’ecclesiologia dopo il Concilio di Trento sino al Vaticano II ha il suo fondamento proprio nelle decisioni del Concilio di Trento. Il concilio non ha dedicato alcun suo decreto a temi direttamente ecclesiologici. Di solito si parla di controriforma. Piuttosto, è un’autoriforma. Il Concilio di Trento fu una rivoluzione copernicana, perché diede chiare norme alla teologia, come alla predicazione, e delimitò, ma non separò, laddove non vi fosse già separazione. Contrappose la riforma cattolica a quella protestante, ma non fu un semplice ritorno al medioevo, bensì modernizzò. Anche il Concilio di Trento fu un concilio pastorale, scucì la base col vertice, ma non ristabilì la comunione nella Chiesa. Con il Decreto morone, il concilio andrà contro il sistema delle prebende, contro l’accumulo di titoli episcopali, l’obbligo di residenza. Se c'è una trattazione quasi sistematica della sacramentaria; non c’è invece un’ecclesiologia. A livello negativo, la visione di Chiesa del Concilio di Trento è una visione che fa quadrato intorno agli elementi contrastati dalla riforma. Si condanna ad esempio il principio del sola scriptura, che però produrrà una demonizzazione della bibbia nel cattolicesimo. Si parlò molto di tradizione, di sacramenti. Il Concilio di Trento su alcune cose non prese posizione: · rapporti tra papa e concilio · rapporti tra episcopato e poteri di ordine e giurisdizione: il vescovo aveva potere di giurisdizione, per l’ordine era alla pari col parroco · Altro tema è quello del sacerdozio dei fedeli, che scompare a favore del sacerdozio ministeriale. Il Concilio di Trento mostrò la vitalità della Chiesa romana, la sua capacità di riprendersi. In più, consolidò l’unità e la compattezza della Chiesa. Il Concilio di Trento richiama la stabile connessione tra sacrificio e sacerdozio, sancisce l’istituzione divina di un sacerdozio visibile ed eterno che oltre alla potestà di consacrare e di offrire ha anche quella di rimettere i peccati e predicare il vangelo. Riconosce la superiorità dei vescovi sui preti, soprattutto quanto alla potestà di confermare e di ordinare. Non esiste quindi una dottrina organica e compiuta del Tridentino sulla Chiesa, una finalità di questo genere era troppo al di là degli scopi prefissati da quel Concilio. In molti decreti dogmatici ci sono però indubbi temi ecclesiologici che però hanno una collocazione relativamente marginale rispetto all’economia globale dell’opera del Concilio e funzionale all’esigenza di dare risposte al protestantesimo. Una sorta di ecclesiologia implicita o pratica è rintracciabile nei dibattiti circa la predicazione della Parola di Dio, la residenza dei vescovi e del clero in cura d’anime che accompagnarono le discussioni teologiche; come pure nei tentativi di soluzione al problema beneficiale e di rinvigorimento dell’autorità episcopale. Il Tridentino imporrà la residenza, suggerisce l’istituzione dei seminari, stabilisce una serie di norme per tutelare la dignità dei sacerdoti e via di seguito. Una caratteristica positiva di questa epoca di crisi è il sorgere dei catechismi. Muovendo da Gerson l’idea prende corpo grazie alla devotio moderna e all’Umanesimo ed è accolta dalla riforma, con la quale avrà luogo una vera e propria guerra dei catechismi. Pio IV diede incarico a una commissione ristretta presieduta da Carlo Borromeo di predisporre il testo di un’esposizione della dottrina cattolica. Si ebbe così il Catechismus ex decreto Concilii Tridentini ad parochos, più noto come Catechismo del Concilio di Trento pubblicato a Roma nel 1566, a tre anni appena dalla fine del Concilio. Le pagine dedicate alla dottrina sulla chiesa sono inserite parte nel commento al Simbolo di fede, di cui costituiscono il IX articolo e parte nella sezione dedicata al sacramento dell’ordine. Si riprendono le immagini della Chiesa prendendole dall’Antico e dal Nuovo Testamento: edificio e casa di Dio, sposa e corpo di Cristo. Viene richiamata la distinzione tra Chiesa trionfante e Chiesa militante, a quest’ultima appartengono buoni e cattivi, questa è una realtà manifesta e visibile. Vengono enunviate e commentate le quattro proprietà della Chiesa. L’articolo si chiude con il commento alla formula communio sanctorum che si realizza mediante i sacramenti e le opere buone. Nel commento all’unità della Chiesa il Catechismo inserisce il tema del Successore di Pietro costituito come Capo visibile della Chiesa per stabilirne e conservarne l’unità. Egli è il vicario di Cristo, capo e pastore di tutti i fedeli. Altre considerazioni sulla struttura gerarchica della chiesa sono inserite nella sezione sul sacramento dell’Ordine. Il documento non contiene elementi nuovi rispetto al Tridentino: distingue sacerdozio interno, ricevuto con il battesimo, da un sacerdozio esterno, ricevuto con il sacremento dell’Ordine. Quest’ultimo è poi distinto in gradi: · il primo è costituito dai sacerdoti consacrati per amministrare i sacramenti e trattare le cose sacre · il secondo dai vescovi, preposti nei singoli vescovadi per governare gli altri ministri e i fedeli · il terzo gli arcivescovi o metropoliti · il quarto i patriarchi · e quindi il Sommo Pontefice, che è capo di tuta la Chiesa. Il Catechismo si muove quindi nell’ottica della duplice potestà di ordine e di giurisdizione.
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