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Potere Gregorio VII Classificazione dei cristiani Ordini mendicanti e infallibilità Autori medioevali e scismi

Autori Medioevali e scismi

          Abbiamo visto come nel periodo patristico il rapporto tra Chiesa ed eucarestia è strettissimo nel medioevo invece va man mano perdendosi, la Chiesa viene chiamata "corpo mistico di Cristo", si inizia a fare un paragone tra il corpo della Chiesa e il corpo naturale dell'uomo, più tardi ci si concentrerà più che altro sull'espressione corpus, e quindi finirà per significare semplicemente società che come tale ha bisogno di un capo che è il Papa. Si realizza così uno scollamento con la Chiesa locale e anche la differenza tra Vescovi e Presbiteri rimane solamente sul piano giuridico.

San Pier Damiani

          San Pier Damiani (1007-1072) è nato a Ravenna, era un'eremita. Ebbe una grande attenzione ecclesiologica, i suoi contributi più importanti sono il Liber gomorrhianus (1049) contro il nicolaismo, e Liber gratissumus, contro la simonia. Consigliere di Gregorio VI, Clemente II, Leone IX e Gregorio VII, nel 1057 fu creato cardinale da Stefano IX. La teologia ecclesiologica di Pier Damiani è quella di una Chiesa come comunione nello Spirito Santo. Poichè nella Trinità l'unità del Padre e del Figlio è la divina persona dello Spirito, lo stesso Spirito è il vincolo soprannaturale che unisce le membra del capo e le membra tra di loro. La Chiesa romana è madre e maestra di tutta la religione cristiana, sancta sanctorum che come caput è sopra le altre membra

 

Umberto da Silva Candida

           Umberto (1000-1061) è un monaco dell'abbazia di Moyenmoutier. Nel 1049 è creato, da Leone IX, cardinale-vescovo di Silva Candida. Egli afferma senza mezzi termini la supremazia della Chiesa di Roma in quanto sedes Petri. Nella sua opera De sancta romana ecclesia egli presenta la Chiesa come un unico regno raccolto sotto la monarchia della Sede Romana, dalla quale le altre Chiese non partecipano che parzialmente la responsabilità universale. Per quanto riguarda i rapporti tra Chiesa e autorità civile in Adversus simoniacos enuncia la tesi della superiorità del potere sacerdotale su quello regio: "Come l'anima domina il corpo e gli comanda, così la dignità sacerdotale è superiore a quella regia come il cielo alla terra. Perchè tutto sia in ordine, il sacerdozio deve, come l'anima, stabilire ciò che bisogna fare; il regno, poi, come la testa, comanderà a tutte le membra e le dirigerà dove occorre. Perciò i re devono seguire gli ecclesiastici e adoperarsi a vantaggio della Chiesa e della patria. Un potere ammaestrerà il popolo e l'altro lo dirigerà"(1).

          Dovere dei laici è quello di occuparsi del retto andamento delle cose terrene e di quello soltanto. In questo modo si rendono i laici estranei alla vita della Chiesa.

San Bernardo di Clairvaux

          San Bernardo (1090-1153) designa la Chiesa con il titolo di sponsa Christi, come Origene anche lui ravvede nel Cantico dei Cantici il mistero delle mistiche nozze fra Cristo e la Chiesa, tra il Verbo e l'anima cristiana. Il contenuto del Cantico è l'amore tra lo sposo e la sposa, che è poi la Chiesa o l'anima che ama Dio. La Chiesa poi è l'insieme delle anime sante, l'insieme delle persone che amano Dio e aderiscono a lui con un cuore puro. Non per questo i peccatori non appartengono alla Chiesa, anche secondo Bernardo infatti segue la tesi della presenza di peccatori nella Chiesa sino a che sarà peregrinante sulla terra. la Chiesa non rimane senza macchia e ha sempre bisogno di purificazione. Per questo egli non smette mai di impegnarsi contro lo spirito secolare e la vita incontinente dei chierici e di operare per la riforma nella vita della Chiesa. Il cuore della Chiesa è la carità mediante cui le anime corrispondendo ad una elezione eterna, si uniscono a Dio come ad uno sposo.

          Le categorie preferite da San Bernardo sono dunque quelle di sponsus et sponsa, charitas, dilectio. Il Papa è Vicario di Pietro e e di Cristo, il capo del corpo visibile della Chiesa, colui il quale ha ricevuto il titolo di "Sposo della Chiesa" per tutto il tempo che durerà l'assenza dello Sposo-Cristo. In virtù della sua plena potestas il Papa può citare davanti al suo tribunale qualunque vescovo e qualunque fedele, trasferire e deporre i vescovi. Anche i vescovi sono vicari di Cristo e ottengono la loro giurisdizione direttamente da Dio.

 

San Bonaventura

          In San Bonaventura si vede chiaramente l'influsso dello Pseudo Dionigi, alla gerarchia ecclesiastica è applicato il modello della gerarchia celeste. Da qui si ha una gradazione fra i diversi ordini ecclesiastici che permette di vedere concentrato nel Papa il ministero gerarchico. Importanti sono le Collationes, una serie di lezioni avviate a Parigi nella Pasqua del 1273, sull'opera dei sei giorni della creazione. Il contesto di quest'opera è quello del conflitto tra clero secolare e ordine mendicante all'università di Parigi. Il senso delle Collationes è quello d'illuminare l'orizzonte spirituale e culturale della Chiesa, affinchè non disattenda la sua condizione di esodo e non sia illusa dalle promesse del secolo. Per sostenerla e fortificarla Bonaventura cerca di renderla cosciente della sua storia, l'idea di non è quella di fare la storia della Chiesa ma d'indurre all'acquisizione della sapienza in cui si attua il ritorno a Dio, e seguendo le orme dello Pseudo-Dionigi, chiama questo ritorno gerarchizzazione. Nella gerarchia interagiscono il Creatore, con la sua influenza e le creature, che con la scienza e con l'azione tendono in ogni modo possibile al deiforme. Bonaventura parte dalla gerarchia angelica la quale influisce sulla gerarchia terrestre che è la Chiesa militante. Così che la gerarchia terrestre riceve le influenze della gerarchia angelica secondo i nove ordini degli angeli.

          Riguardo alla chiesa militati e ai suoi ordini corrispondenti alla gerarchia celeste esiste una fondamentale tripartizione:

  • Ordini che riguardano il suo processo progressivo nel tempo;

  • Ordini che promuovono il suo processo ascensionale;

  • Ordini che ordinano le attività del vivere.

          Questi ordini a loro volta si articolano in tre, e poi ancora di tre in tre sino ad arrivare ai tre gradi dell'ordine che sono il sacerdotale, l'episcopale e il patriarcale.

          Sulla terra il Papa è in modo visibile, il summus, il primo, il vertice, il principio, il capo donde tutto deriva e il punto di convergenza nel quale tutte le realtà terrene si ordinano gerarchicamente e trovano la loro piena attuazione. Rimane Cristo a essere il principio interno dell'unità della Chiesa, ma il Papa ha una funzione esterna che deve sempre essere legata  al centro interiore.

San Tommaso d'Aquino

          Tommaso non tratta esplicitamente della Chiesa nelle sue opere lo fa solo nell'articolo corrispondente della sua Expositio in Symbolum. La prima risposta a  questa mancanza potrebbe essere che la Chiesa è una realtà ovvia non è un tema in questione, ma al tempo di Tommaso la Chiesa è già posta in questione su alcuni punti fondamentali. La risposta più giusta a questa mancanza probabilmente sta nell'ecclesialità di tutta la teologia di Tommaso: la Chiesa entra sempre in un modo o nell'altro nelle sue riflessioni teologiche, attento sempre a non discostarsi dall'insegnamento della Chiesa romana. E così Tommaso, contro le tesi di Gioacchino da Fiore e coloro che aspettavano la terza età dello Spirito, afferma chiaramente che il tempo della nuova legge è per sua stessa essenza il tempo della Chiesa e che prima del ritorno di cristo alla fine dei tempi non vi sarà un altro tempo che gli succeda. Con Cristo è giunta la pienezza della grazia, perciò egli è il centro della storia e la pienezza del tempo. Dopo Cristo non c'è che da attendere la fine dei tempi. A questa risposta si potrebbe comunque dire che anche Cristo è al centro di tutta la teologia di Tommaso ma non per questo ha rinunciato a una cristologia molto dettagliata. Una terza risposta che si potrebbe dare allora è quella dell'idea di teologia di Tommaso: una scienza centrata interamente su Dio come soggetto, al quale tutto si riferisce e verso cui tutto tende. La teologia quindi deve avere come suo tema o Dio stesso o Dio come origine e fine delle creature.

          La Summa Theologiae adotta proprio questo schema, tutto prende il principio da Dio (pars I) e tutto ritorna a Dio (pars II). Poichè questo ritorno a Dio si compie mediante Cristo, verbo incarnato, la pars III è destinata a studiare le condizioni cristiane di questo ritorno e per questo, si dedica interamente, dopo la cristologia, allo studio dei sacramenti della Chiesa. Ed è in questo schema che deve essere individuata precisamente la Chiesa, in questo schema che mediante Cristo pone in dialogo Dio e l'uomo. Per Tommaso la Chiesa non è altro che la comunione con Dio realizzata in Cristo: essa è nello stesso tempo la congregatio fidelium, ossia l'assemblea di quanti sono stati associati nella vita di Dio per l'accoglienza del dono della fede e, in quanto legge nuova, grazia e sacramenti, il mezzo per fondare la comunione degli uomini con Dio. La Chiesa è quindi il movimento di ritorno dell'uomo a Dio, del quale trattano esplicitamente la II e la III pars della Summa Theologiae. Per questo secondo molti studiosi se Tommaso avesse voluto scrivere un trattato sulla Chiesa avrebbe dovuto riscrivere la Summa, in quanto è proprio il suo schema teologico a costruire un'ecclesiologia.

          Dal momento in  cui il Verbo si è incarnato egli è divenuto il capo della creazione. Cristo realizza in sè solo la pienezza dell'entità grazia. Se altri individui dovessero ricevere anch'essi la grazia non potrebbero farlo che in dipendenza da Cristo, tanto più se si tratta di uomini. Del nuovo ordine Cristo è il principio e il capo, come Adamo lo era stato dell'ordine antico. Egli possiede in sè tutti gli effetti della grazia che in seguito si svilupperanno nella Chiesa. La Chiesa è quello che è per la partecipazione che ha del Cristo da cui prende, ma al quale nulla aggiunge. Cristo porta in sè l'ordine intero della vita nuova, porta in sè l'umanità rigenerata che muove in ritorno verso Dio, porta in sè la Chiesa, che antro non è che uno scaturire, un esplicarsi, uno svilupparsi di ciò che già fin dall'inizio si è compiuto in Cristo.

          Nell'ordine del ritorno verso Dio nulla esiste che non provenga da Cristo, che non sia da lui causato in noi e che in precedenza non sia conosciuto o voluto da lui. Tutto ciò che compiamo nell'ordine della nuova creazione che è la Chiesa, è in noi solo perchè derivante da Cristo, causato e voluto da lui stesso. La vita dell'umanità nuova che anima la Chiesa non è che la vita di Cristo. Nella sua umanità, piena di grazia, Cristo umanizza la vita divina che ci comunica. Per questo egli è veramente il capo della Chiesa, la quale può veramente dirsi il suo corpo, a lui omogeneo in forza della natura umana.

          Cristo nella sua santa umanità piena di grazia è propriamente la causa strumentale, intelligente e volontaria dei doni di Dio. E' prima di tutto a Cristo che siamo assimilati e in lui e per lui a Dio, col vivere con lui e in lui gli obiettivi della sua vita filiale di verbo incarnato e redentore. La Chiesa così concepita è la congregatio hominum fidelium. Nella teologia di Tommaso la Chiesa-istituzione appare sempre strettamente connessa alla Chiesa-corpo mistico, vita nuova nel Cristo per lo Spirito Santo:

  • La Chiesa istituzione è la forma stessa di esistenza del Corpo mistico e della vita nuova in Cristo. Tommaso unisce insieme gli elementi visibili e quelli invisibili, pone lo Spirito Santo, la grazia, la santità, le virtù, la comunione dei santi nella società istituita da Cristo e diffusa dagli Apostoli, sparsa nel mondo e unita al Papa di Roma. La Chiesa società non è realtà diversa dal corpo in cui vive la vita rinnovata in Cristo, di cui lo Spirito Santo è l'anima.

  • La Chiesa è il sacramento e il ministero, cioè lo strumento di realizzazione del Corpo mistico. La Chiesa si concretizza come corpo vivente negli uomini che divengono beneficiati del tesoro di grazia, di salvezza, di vita rinnovata in Cristo salvatore. Questa unione degli uomini al Cristo salvatore e alla croce vivificante, avviene mediante la fede e i sacramenti della fede. Tra i sacramenti vi è l'Eucarestia che li termina e li contiene tutti, dove sangue e corpo redentori del Signore sono presenti realmente. Per questo Tommaso afferma che la Chiesa è costituita, edificata, consacrata dalla fede e dai sacramenti della fede. D'accordo con la tradizione afferma che la Chiesa è nata sul Calvario, scaturendo sotto forma di acqua e sangue dal costato ferito di Gesù dormiente nella morte, come Eva era stata formata dalla costola di Adamo dormiente. La Chiesa così è anche la Madre di tutti i cristiani perchè possiede i mezzi per generare educare e accrescere in Cristo i suoi membri.

         In più luoghi Tommaso afferma che la huius sacramenti, cioè l'effetto procurato dal simbolismo efficace del sacramento, è la unitas corporis mystici. Tutta la Chiesa è, per Tommaso, un grande sacramento, di cui l'eucarestia è l'anima, da cui scaturiscono tutti gli altri sacramenti o sacramentali, tutti i poteri, tutti i ministeri. Sacramento che dall'esterno è sacramentum tantum, cioè Chiesa-Istituzione, riti, organizzazione, gerarchia, legislazione. Se però si analizza il sacramentum et res, cioè la sua ordinazione a produrre efficacemente, in gradi diversi, un effetto spirituale, è segno realizzatore di una pura realtà interiore di grazia: la res tantum. A immagine dell'eucarestia e in virtù di questa, la Chiesa-Istituzione, considerata come unico grande sacramento, procura questa unitas corporis mystici che San Tommaso dice consistere nella fede, nella carità e nella vita di fede viva.

          Compito del Papa è quello di mantenere la Chiesa sottomessa all'azione interiore del Cristo che, per l'opera dello Spirito Santo, si consacra, la sua Chiesa, imprimendole a sigillo la sua immagine.

Egidio Romano

          Egidio Romano, discepolo di San Tommaso ha lasciato la sua opera De ecclesiastica sive Summi Pontifics postate (1301) l'opera è importante soprattutto in rapporto alla bolla Unam Sanctam. Quest'opera va a favore del consolidamento delle posizioni assunte da Bonifacio VIII: la Chiesa è presentata come un corpo gerarchico sintetizzato nell'autorità del suo Capo che è Cristo, rappresentato sulla terra dal Papa. Nessuno perciò è nella Chiesa se non è subordinato al Papa che è il Vicario di Cristo. La plenitudo potestatis del Papa è per Egidio un potere derivato direttamente da Dio, che riflette la sua stessa onnipotenza divina.

 

Giacomo da Viterbo

          Discepolo di Egido Romano è autore del De regimine christiano (1302) è abitualmente indicato come il più antico trattato di ecclesiologia. La categoria da lui scelta per designare e descrivere la Chiesa è quella del regno. Nel prologo dell'opera ne offre una rapida descrizione: "La prima parte tratta della gloria del regno della chiesa e la seconda del potere di Cristo e del suo Vicario, affinché, conformemente alle modalità dell'intelletto umano, si proceda dalle membra al capo e da ciò che è inferiore a ciò che è superiore". La Chiesa appare come la perfetta realizzazione dello stato o della res publica dove il Papa è il monarca assoluto. Nella sua concezione la Chiesa è un'unica diocesi di estensione universale governata dal Papa. La bolla Unam Sanctam è del 1302, un anno dopo la pubblicazione del De ecclesiastica potestate e del De regime, queste due opere ne costituiscono un qualche modo la premessa ideologica.

 

Agostino Trionfo o di Ancona

          Scrive nel 1326 una Summa de potestate ecclesiastica dove la Chiesa diviene addirittura corpo del Papa: "il papa è il capo di tutto il corpo mistico della Chiesa in modo tale che egli non riceva nulla, quanto a forza e autorità, dalle membra, ma soltanto agisce sempre su di queste, perché egli ne è semplicemente il capo".

Grande Scisma

            Dopo Bonifacio VIII gli eventi precipitarono, collocando il papato in balia della potenza francese. A Benedetto XI (1303-1304), succedette nel 1305 Clemente V, si fece incoronare a Lione nel 1309 e avviò quel periodo della storia della Chiesa che si conosce come esilio avignonese. Questo fu un duro colpo per la Chiesa: ci fu una perdita di prestigio del papato, il quale vide allontanarsi notevolmente la fiducia del popolo cristiano.

            Per il ritorno del Papa a Roma insistettero tra gli altri due grandi sante: Brigida di Svezia e Caterina da Siena. Si dovrà attendere Gregorio XI per fare ritorno a Roma, questo avvenne nel gennaio nel 1377. Ma la vita della Chiesa si ricomplicò subito infatti a succedergli fu Urbano VI, dopo averlo eletto i cardinali tornarono sui loro passi e quindi eletto a marzo già ai primi di agosto del 1378 i cardinali dichiararono in Anagni che mai avrebbero voluto eleggere un papa italiano, e che se avevano eletto l’arcivescovo di Bari era solo per il grave timore dei tumulti della folla. Così avrebbero dato i voti al futuro Urbano VI nella supposizione che non avrebbe accettato l’intrusione del popolo e quindi avrebbe rifiutato di diventare Papa, invece lui accettò la tiara. Ritenendo invalida l’elezione, proclamarono papa il cardinale Roberto di Ginevra, che diventerà Clemente VII. Era così avviato lo scisma, la cristianità era ora divisa in due obbedienze, due papi, due collegi cardinalizi, due curie. Si tentò allora la via del concilio: un concilio viene riunito a Pisa nel 1409, venne eletto Alessandro V. La confusione aumentò e basta: da due papi contemporanei si passa a tre. I cristiani non erano divisi sul ruolo del Papa ma su chi fosse il vero papa. A sostegno del papa romano ci furono Santa Caterina da Siena, e Santa Caterina di Svezia, di obbedienza avignonese furono invece San Vincenzo Ferrer, che scrisse a favore di Clemente VII il De moderno Ecclesiae schismate, e santa Colletta di Corbie, riformatrice dell’ordine francescano.

Dopo il fallimento della via conciliare furono provate altre vie per risolvere lo scisma:

  • ·        Via cessionis, prevedeva la rinuncia dei due papi in modo da permettere l’elezione di un nuovo papa.

  • ·         Via compromissi, proponeva di affidare il giudizio a una sorta di commissione composta dai dottori, arbitri imparziali di entrambe le obbedienze.

  • ·         Via conventionis, un incontro fra i due papi coi rispettivi cardinali per giungere a un chiarimento su chi fosse il vero papa.

Dopo il fallimento di tutti questi tentativi l’unica soluzione era tentare ancora con la via concilii, quindi si tentò con la convocazione di un concilio universale quale suprema istanza della Chiesa e mezzo più appropriato per ricomporre l’unità.

Nel Decretum di Graziano era elaborata la dottrina del “papa eretico”. In caso di eresia del Papa questo è fuori dalla Chiesa e quindi non è più a capo della Chiesa. I commentatori del Decretum erano però andati oltre sostenendo che il termine eresia si estendesse sino ad identificare qualsiasi comportamento scandaloso per la Chiesa o creatore di confusione. Si trattava certo di stabilire quale fosse il tribunale di ultima istanza che avrebbe potuto dichiarare eretico un papa. Se alcuni dicevano che ipso facto in caso di eresia il Papa era fuori dalla Chiesa, altri prospettavano come ultimo appello un concilio generale.

Altro tema importante è quello del rapporto tra il papa e i cardinali. A partire dal XII secolo avevano una posizione sempre più rilevante nella Chiesa. L’Hostiensis di Enrico di Susa parla proprio di questo. Afferma che per volontà divina il collegio dei cardinali è unito al papa, essi sono insieme con il Papa oggetto della plenitudo potestatis. L’autorità suprema sarebbe costituita quindi dal Papa e dai cardinali. Nella sede vacante solo loro a possedere la massima giurisdizione.

Nella Glossa Palatina, scritta da un anonimo compilatore tra il XII e il XIII secolo, si afferma che il papa partecipa dell’autorità dei cardinali in quanto è capo del loro collegio. In caso di conflitto la prevalenza sarebbe dunque del collegio cardinalizio. Chiaramente queste sono sempre situazioni eccezionali che sono quelle del papa eretico e del papa defunto.

     Questi autori in realtà non cessano di affermare la plenitudo potestatis del papa, il quale è giudice supremo della Chiesa, questi rimangono casi eccezionali.

Giovanni di Parigi

         Giovanni di Parigi appartiene all’Università di Parigi, la struttura più prestigiosa del momento, le cui sentenze sono ritenute decisive. Nel 1300 scrive un trattato dal titolo De potestate regia et papali dove traccia uno schema ecclesiologico a metà strada tra la monarchia e la oligarchia. Parte dal concetto dell’unità della Chiesa, voluta da Cristo per la sua istituzione e che è inefficiente e impossibile senza il Papato. Giovanni però stabilisce subito un’equiparazione la potestas del Papa è quella dei Vescovi e dei Prelati: tutte derivano direttamente da Dio e sono tutte limitate dalla loro qualità ministeriale. L’autorità del Papa è certamente suprema rispetto ai singoli cristiani, ma è inferiore a quella assommata di tutti i membri della Chiesa. La cooperazione umana all’elezione del nuovo Papa, fa sì che venuto meno tale consenso, un Papa possa essere deposto senza che sia compromessa la sua origine divina. Se infatti il papato deriva immediatamente da Dio, il singolo individuo scelto per tale ufficio deriva dalla Chiesa.

Marsiglio da Padova

Marsilio da Padova (1275-1342) presenta un’ecclesia tutta rovesciata rispetto a quella presente nell’Unam Sanctam di Bonifacio VIII. Le sue tesi sono principalmente contenute nel Defensor pacis del 1324. Qui la tesi conciliarista è radicale: la Chiesa ha sicuramente un’origine e una missione divina, ma, attualmente, essa ha deviato dall’ideale apostolico. Un ritorno è possibile unicamente mediante il ritorno alla Sacra Scrittura, la quale, però, può autenticamente essere interpretata solo dai concili generali, che rappresentano la congregatio fidelium cui è promessa l’assistenza dello Spirito Santo. Marsilio quindi passa a provare come la gerarchia ecclesiastica non sia stata istituita da Cristo e che ogni differenza nella Chiesa ha solo origini umane. Tanto meno il vescovo di Roma gode di particolari privilegi o di un primato, questo infatti non è che il risultato della storia. Pone quindi sopra a tutto il concilio, che rappresenta tutti i cristiani, questa ha una potestà. Se nella Chiesa delle origini c’era bisogno di prestare obbedienza al vescovo, e in particolare al vescovo di Roma, ora c’è l’imperatore è lui che presiede e convoca un concilio generale, restando al papa la possibilità di sollecitarne la convocazione e attendere le decisioni. Le decisioni del concilio poi stanno sopra a tutto e possono riguardare tutte le vicende della Chiesa. Le decisioni di un concilio possono essere abrogate solo da un concilio successivo. Le tesi di Marsilio da Padova furono condannate da Giovanni XXII con la costituzione Licet iuxta doctrinam del 23 ottobre 1327.

Gugliermo di Occam

Analoghe idee si ritrovano anche nel francescano Guglielmo di Occam nel suo Dialogus de imperato rum et pontificum potestate. Una Chiesa non è che la somma dei credenti. Diversamente da Marsilio, però, Occam sembra riconoscere al papa una certa autorità di guida della società cristiana. Per quanto riguarda il concilio anche lui lo ritiene come rappresentante la Chiesa universale e quindi come il supremo detentore del potere nella Chiesa.

Corrado di Gelnhausen

Il vero fondatore della teoria conciliarista è però comunemente ritenuto Corrado di Gelnhausen (1320-1390), soprattutto con la sua Epistola concordiae del 1380, dove afferma che la Chiesa universale, rappresentata dal concilio generale è superiore al Papa e alla sua curia, ai cardinali e qualunque altro gruppo di persone: “il concilio generale è il riunirsi in un luogo comune di numerose persone – o anche del più grande numero – regolarmente convocate e che rappresentano i diversi stati, ordini, sessi e persone di tutta la Cristianità, venuti o delegati per trattare il bene comune della Chiesa universale”.

Sulla stessa linea si colloca Enrico di Langestein che afferma che in casi di emergenza il concilio può essere convocato anche dall’Imperatore senza il consenso del Papa e può giudicare sulla sua elezione. Queste tesi in realtà risultarono ardite nella stessa Università di Parigi e i due professori dovettero allontanarsene. Di fatto queste idee furono applicate già a Pisa nel 1409 con il risultato di porre solo altra confusione a causa dell’elezione di Alessandro V si hanno a questo punto 3 papi invece di 2.

Pietro d'Ailly

Altri avevano certamente una posizione più moderata. Così Pietro d’Ailly, anch’egli proveniente dall’Università di Parigi, era anch’egli sostenitore della via concilii ma secondo una linea moderata. Non nasconde una sua contrarietà all’identificazione della Chiesa con la gerarchia. Riconosce il primato della Chiesa romana, cioè del Papa e dei suoi cardinali e ammette pure che in circostanze normali questo primato romano è il fondamento della Chiesa. Tuttavia è chiaro che solo la totalità dei fedeli aderisce infallibilmente alla fede in virtù dell’assistenza di Cristo e del suo Spirito. Questa totalità è rappresentata dal concilio ecumenico, che è l’istanza suprema della Chiesa ed è superiore al Papa. Il concilio può radunarsi senza il papa, giudicarlo, deporlo ed eleggere un altro Papa, poiché non la Chiesa è per il papa ma il papa è per la Chiesa.

Giovanni Gerson

Giovanni Gerson (1363-1429) è un discepolo di Pietro d’Ailly, principio unificatore della sua ecclesiologia è il tema del Corpo mistico del quale Cristo è il capo. Egli ha voluto la struttura gerarchica della Chiesa e ad essa trasmetta la sua qualità di capo, ma in modo secondario. Il papa è capo secondario e visibile della Chiesa, Cristo invece è il capo principale. Anche lui distribuisce le potestas nei vari soggetti:

·         Il papa: ha la pienezza del potere spirituale, nel senso che egli è la persona che la esercita, è lui che modera la vita ecclesiastica. La sua potestà deriva da Dio ma è una potestà inclusa nella Chiesa.

·         Il concilio ha per competenza tutto il regime della Chiesa, normalmente convocato dal papa in casi eccezionali può essere anche convocato senza il papa e dichiarare la situazione di sede vacante, particolarmente nel caso di “papa eretico”

Concilio di Costanza

A queste dottrine si ispira il decreto Haec Sancta del concilio di Costanza. Questo concilio ebbe inizio nel novembre del 1414. Il suo scopo era quello di riportare l’unità. Tra i personaggi di spicco oltre a Gerson e Pietro d’Ally: Francesco Zabarella, il cui Tractatus de schismate rappresenta anch’esso una forma di conciliarismo moderato.

La tesi ecclesiologica sostenuta dal decreto Haec Sancta e approvata nella V sessione generale del 6 aprile 1415 riguarda la superiorità del concilio rispetto al papa. Il santo sinodo riconosce di essere legittimamente convocato e quindi che rappresenta la Chiesa cattolica e riceve la potestas non dal papa ma immediatamente da Cristo. Il concilio si riconosce istanza giuridica massima in materie di fede e titolare del governo supremo della chiesa, a cui si deve obbedienza da parte di tutti, papa compreso.

Se il decreto costituisca o meno una definizione dogmatica, la risposta rimane ancora oggi aperta sul piano storico.

Tra le questioni affrontate a Costanza ci furono anche quelle relative alla condanna di Giovanni Wyclif.

Giovanni Wyclif

Giovanni Wyclif (1328-1384) anticipa in qualche modo la riforma protestante: contesta la ricchezza e le pretese temporalistiche della gerarchia ecclesiastica. In un crescendo polemico Wyclif passa da un’ammissione con riserva del primato papale , presente nel De ecclesia pubblicato nel 1378, ossia in coincidenza con l’inizio dello scisma, al rigetto dei principi della Sede Apostolica dopo il 1381, alla lotta aspra contro le prerogative papali nell’ultima fase. Di fronte alla grave decadenza morale e spirituale del papato e della gerarchia, Wyclif propone il recupero di una chiesa spirituale, il cui fondamento e la cui garanzia di unità non sono dati dalla gerarchia ma soltanto dall’amore predestinante di Cristo. Wyclif separa l’essere della Chiesa dall’essere nella Chiesa. Il Papa stesso potendo essere escluso dal numero dei predestinati, non può assumere apoditticamente di essere il capo della Chiesa. Quindi nessun decreto può obbligare a credere che la sottomissione al papa sia necessaria alla salvezza, la prova di questo è nel fatto che prima che s’imponesse l’istituzione del papato troviamo uomini santi. Quindi il dovere di ogni battezzato è di verificare i pronunciamenti e gli ordini papali sulla base delle Scritture e di conseguenza anche l’esigenza per ogni cristiano di conoscere la Bibbia. La salvezza dipende soltanto dalla grazia di Dio e non dalla mediazione del clero.

Jan Hus

Le dottrine di Wyclif condannate in patria giunsero nel continente europeo attraverso i contatti dell’Università di Oxford con quella di Praga. Hus a questo punto cercò di portare avanti un processo di riforma, anche se può essere considerato come molto più moderato rispetto a John Wyclif, non aveva ad esempio mai negato la dottrina della transustanziazione. La Chiesa di Cristo però è la chiesa dei giusti, l'insegnamento della Parola ha più importanza dei sacramenti, e il valore di questi dipende dallo stato di grazia del sacerdote. Questo movimento di riforma cominciò ad avere un ruolo politico e nazionale e cominciò a preoccupare le autorità ecclesiastiche e imperiali, l'arcivescovo di Praga, il cardinale Zbynek, dopo averlo all'inizio sostenuto, condanna e fa bruciare gli scritti di Hus, e emette una sentenza di scomunica, deve lasciare quindi l'università di Praga. Ma continua ad avere il sostegno del re di Boemia. Viene invitato da Sigsimondo a Costanza per difendere le sue idee, ma appena arrivato a Costanza fu arrestato e incarcerato, ebbe la possibilità di esprimere le sue idee, si riunì una commissione composta dai migliori teologi del tempo, fu condannato al rogo come eretico pertinace.

Fin dal secondo capitolo del suo De ecclesia propone una definizione di Chiesa “l’unità della Chiesa consiste nell’unità di predestinazione e nell’unità di beatitudine, e quanto al presente, nell’unità della fede, delle virtù e della carità”. Una condotta abitualmente buona è l’unica garanzia di un probabile stato di grazia. Nella visione hussiana quindi, la Chiesa universale e definitiva rimane sempre altra rispetto alla stessa Chiesa visibile, gerarchicamente strutturata. Il papa può essere chiamato capo della Chiesa ma soltanto esteriormente e non in riferimento alla Chiesa universale e definitiva. Il papa può anche ritenersi vicario di Cristo ma soltanto a condizione che sia fedele a Cristo, se c’è un pontefice indegno la disubbidienza è assolutamente lecita.

Il concilio di Costanza condannò a posteriori le dottrine di Wyclif, e Hus fu giudicato come uno Wyclif redivivo e abbandonato al giudizio secolare che lo portò al rogo. Entrambe le condanne furono confermate da Martino V il 22 febbraio 1418.

Concilio di Basilea

In osservanza delle disposizioni del decreto Frequens del concilio di Costanza il 23 luglio del 1431 si aprì ufficialmente un nuovo concilio a Basilea. Le sue linee guida furono:

·         L’eliminazione delle eresie;

·         Il rafforzamento della fede;

·         Il ristabilimento della pace fra i cristiani;

·         La riforma all’interno della Chiesa.

La via concilii, dopo il successo del Concilio di Costanza, sembra l’unica in grado di risolvere i problemi. Le due visioni della Chiesa vennero di nuovo a scontrarsi, una posizione si rifaceva all’affermazione tradizionale della suprema potestas del Vescovo di Roma mentre l’altra ripresenta l’idea sul concilio generale, che riceve la sua autorità solo da Dio e può imporre le sue decisioni anche al Papa.

Il 16 maggio 1439 nella XXXIII sessione furono dichiarate le cosiddette tre verità:

·         Il concilio generale, come rappresentanza della Chiesa universale è superiore a tutti, anche al papa;

·         Il papa di autorità propria non può né trasferire né sciogliere senza il suo consenso un concilio in atto;

·         Chi trasgredisce queste due verità è eretico.

Qui siamo alla radicalità della posizione conciliarista.  Eugenio IV con la bolla Doctoris gentium del 18 settembre 1437 ordinò il trasferimento del concilio a Ferrara e successivamente, nel gennaio del 1439 a Firenze. Intanto l’assemblea di Basilea si organizzò con una curia parallela e ad Eugenio IV contrappose come papa Amedeo VIII di Savoia, che assunse il nome di Felice V (5 novembre 1439).

Nicolò da Cusa

Nicolò da Cusa (1401-1464) è una figura importante, cerca di far uscire la Chiesa dai vicoli ciechi in cui è finita a causa delle contrapposizioni tra i sostenitori del concilio e i suoi avversari. Per fare questo attinge ai tesori della tradizione cristiana: anzitutto saluta con entusiasmo la ripresa di un tema antico ma dimenticato che è quello dei concili universali. Partendo dal modello di unione di Adamo ed Eva Nicolò spiega che Cristo è lo sposo della Chiesa, la quale è costituita dalla concordantia di tutte le creature razionali con Cristo, quale unico capo e tra loro quali membra molteplici, secondo i vari gradi gerarchici. Come la Chiesa universale è il corpo mistico di Cristo, così le chiese particolari sono i corpi mistici dei loro capi, i quali sono rappresentanti di Cristo. In altri termini ciascun vescovo raffigura e rappresenta la Chiesa.

Da San Cipriano, Nicolò da Cusa ricava la convinzione che Pietro, al quale è affidato il potere delle chiavi, raffigura tutta la Chiesa e che l’unità e l’unicità della sua cattedra è da intendersi come l’unica cattedra di tutti i vescovi, dell’unico episcopato, ossia il potere di governo della Chiesa. Tuttavia l’autorità di cui gode il singolo vescovo è proporzionata all’importanza del luogo in cui presiede, per questo la Sede romana gode di un primato riconosciutole dai decreti conciliari. L’origine di tale primato è storico e il papa stesso è soggetto al giudizio definitivo del concilio universale. Un concilio universale ha sempre maggiore autorità e minore infallibilità che il Papa da solo e pertanto può deporlo anche per cause diverse dall’eresia. È vero però che se il concilio comprende anche il Papa la sua rappresentanza risulta maggiore.

Nicolò resta ai margini del trionfalismo conciliarista, allineandosi inizialmente dalla parte dei conciliarismi, egli se ne distanziò nel dicembre del 1436 affiancandosi a Papa Eugenio IV.

Giovanni di Torquemada

Giovanni di Torquemada (1338-1468) il suo impegno a favore del papato e della Sede Romana fu intenso tanto che nel 1436 Eugenio IV gli conferisce il titolo di Defensor fidei. Nato a Valladodid nel 1388, Torquemada entrò nel 1403 nell’ordine domenicano, al concilio di Costanza difese la supremazia del Papa. Partecipa anche al concilio di Ferrara-Firenze (1438-1443) è una figura prestigiosa della Curia romana, dopo aver svolto le funzioni di Maestro del Sacro Palazzo, il 18 dicembre 1439 fu creato cardinale da Eugenio IV.

La sua opera principale è la Summa de Ecclesia dedicata a Niccolò V, qui si difendono i diritti del papato e la plenitudo potestatis del Romano Pontefice. Si può riconoscere in quest’opera il primo trattato sistematico di ecclesiologia, questa è infatti una summa dedicata esclusivamente alla Chiesa. Il carattere polemico di quest’opera è chiaro, non è difficile scoprire gli avversari: si tratta certamente da un lato dell’ecclesiologia spiritualista di Hus, dall’altro delle tesi conciliariste sulla superiorità del concilio sul papa. L’opera è suddivisa in quattro libri che trattano rispettivamente:

·         La Chiesa universale;

·         La Chiesa  romana e il primato del suo Pontefice;

·         I concili universali;

·         Gli scismatici e gli eretici.

Torquemada si dimostra un profondo conoscitore delle fonti bibliche, abbondanti le citazioni dei Padri. Quest’opera fu, sino al Concilio di Trento, l’arsenale dei difensori del primato del Papa. Secondo Torquemada un papa eretico con la sua eresia si distacca da sé dal Corpo mistico di Cristo e, cessando di essere membro della Chiesa, cessa pure di essere Papa. Perciò l’evidenza di un Papa eretico giudicato dal concilio non implica affatto che il concilio sia superiore al Papa.

Tommaso De Vio

Dopo Torquemada diversi sono gli autori successivi che vanno sulla sua scia. Tommaso De Vio (1469-1534) è uno di questi, egli è un punto di forza per il superamento della crisi conciliarista e la restaurazione di una ecclesiologia centrata sul papato. La sua attenzione è fissata soprattutto sull’unità della Chiesa e l’autorità papale, superiore a quella del concilio per origine divina. All’unità creata dai sacramenti va affiancata un’unità sotto un solo capo che è Cristo, nel cielo, mentre sulla terra è il suo vicario, il papa. La Chiesa è un corpo, un’unità organica animata dallo Spirito Santo.

La Chiesa è una monarchia, nella quale i vescovi ricevono la loro giurisdizione dal papa. Come apostoli i vescovi sono tutti uguali tra di loro, ma come pecore del gregge di Cristo, separati momentaneamente da lui e private della sua presenza corporale, essi sono sottomessi a Pietro. Tommaso de Vio sottolinea anche l’infallibilità del Papa, che nelle sue decisioni private può sbagliare ma non lo può fare nelle decisioni formali riguardanti la fede, in queste il papa gode dell’assistenza dello Spirito Santo.

Il Papa essendo capo della Chiesa ha un potere superiore al concilio, il Papa è il capo del concilio. Anche per la famosa questione del papa eretico dà una soluzione simile a quella di Torquemada: il potere ministeriale della Chiesa non può giudicare il papato ma può sciogliere, in determinati casi, con sentenza giuridica, efficace e veramente autoritativa il legame tra la persona del papa e la sua carica pastorale. In concreto nel caso che il papa eretico si rifiutasse di convocare un concilio, questo potrebbe riunirsi di propria iniziativa unicamente per risolvere la questione contingente. Una volta riunito deve per due volte ammonire il papa caduto in eresia e se egli è pertinace nell’errore è ipso facto decaduto dal suo incarico. Quanto ai motivi per un simile procedimento, l’unico ammesso è l’eresia in senso stretto. Con Tommaso De Vio, ci si lega anche alla crisi successiva della Chiesa, infatti Tommaso incontrerà Lutero ma senza ottenerne esito positivo. Da quell’incontro ne uscì convinto che il punto di confronto doveva essere posto nella Sacra Scrittura e per questo, rientrato dalla legazione in Germania, nel 1521 compose il De divina istituzione pontificatus, per cercare di rispondere, alla luce dei classici testi di Mt 16,13-19; Gv 21,15-17.


(1) Umberto di Silva Candida, Adversus Simoniacos, III, 21: PL143, 1175

 

 

 

Scrittura e Padri