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Nello
specifico l’attenuante dovrebbe essere ravvisata nel consenso prestato dalla
bambina, cioè dal fatto che – come vedremo più in dettaglio tra qualche riga
– la piccola non subì coartazione alcuna perché “innamorata”. In sintesi la
Cassazione giudicava erroneo che per i magistrati dell’Appello “non rilevava
che l’imputato non avesse adottato forme di violenza e coartazione verso la
vittima. Erano poi irrilevanti [per la Corte di Appello] il consenso della
vittima e la circostanza che i rapporti sessuali si erano innestati
nell’ambito di una relazione amorosa”. La corte di Appello invece stabilì
che “l’attenuante in questione non poteva essere riconosciuta perché vi era
stata congiunzione carnale e perché si trattava di una ragazza minore di
anni quattordici, il cui consenso non rilevava”.
In altri termini ciò
che è importante per i giudici d’Appello e per il Codice Penale ai fini
della configurazione dell’ipotesi delittuosa è il fatto in sé, con o senza
consenso della vittima. La minore gravità inoltre non si può ravvisare
perché appare evidente che se l’imputato si fosse fermato a qualche bacio la
situazione – pur sempre aberrante – sarebbe stata oggettivamente di minore
gravità rispetto a rapporti completi e pure reiterati nel tempo. Ma così non
è stato e dunque non si può configurare un minor grado di gravità del reato.
In merito poi al “consenso” prestato dalla undicenne – consenso che secondo
la Cassazione dovrebbe mitigare la pena - l’art. 609 quater configura
l’illecito anche se la vittima è consenziente proprio per evitare attenuanti
in casi dove, per l’immaturità del soggetto coinvolto, un valido consenso
non si può ipotizzare essendo questi facilmente manipolabile dall’adulto e
non in grado comunque di comprendere appieno la portata del gesto intimo che
andrà a compiere. Ciò non toglie che se ci fosse stata violenza, la pena
sarebbe stata ancor più grave (art. 609 ter comma 1, n. 1). Insomma la Corte
di Appello si è limitata ad applicare la legge.
Ed invece cosa ti
scrivono i giudici di Roma? “L’attenuante è stata quindi esclusa sulla
base di elementi in realtà non voluti e non previsti dal legislatore”.
Infatti gli ermellini della Cassazione individuano “ragioni mitigatorie
attenuative”. La prima sarebbe che “l’atto sessuale si inseriva
nell’ambito di una relazione amorosa; e che […] lo stesso nel caso di specie
non poteva ritenersi invasivo allo stesso modo dell’ipotesi in cui avvenga
con forza e violenza e al di fuori di una relazione amorosa”. Sul punto
ci sono da rilevare almeno due critiche. La prima: come ha detto la Corte di
Appello parlare di “amore” tra un sessantenne e una undicenne è “innaturale”
e ciò che è insano come fa ad essere un’attenuante? Ai giudici di Roma
invece appare cosa normale, tanto da poter attenuare la pena inflitta.
In secondo luogo
laddove la Cassazione considera la mancanza di violenza come un motivo di
attenuazione della pena, il Codice Penale invece la considera come
fattispecie a se stante. Non è una sottigliezza da legulei, ma è un problema
di sostanza. La legge ti dice che se tu adulto hai rapporti con una minore
di anni 14 che non si ribella a te è molto grave (art. 609 quater). Se
invece c’è stata violenza è ancor più grave e la pena è maggiorata (art. 609
ter comma 1, n. 1). Le norme del Codice Penale non parlano di attenuanti
laddove non c’è violenza, bensì parlano di atto grave (senza violenza) e
ancor più grave (con violenza), distinguendoli in due reati separati.
L’attenuante infatti rimanda ad un elemento in sé buono da applicarsi ad un
reato, capace di suscitare nei giudici non giustificazione dell’atto ma
tuttalpiù comprensione. Chi plaudirebbe il reo perché, sebbene abbia abusato
della piccola, non l’ha fatta oggetto di violenza? Ed è proprio per il fatto
che la mancanza di violenza nei rapporti con una minore di anni 14 non è
considerata un’attenuante che questa fattispecie trova una sua norma ad hoc,
per ribadire il suo carattere comunque delittuoso, stante un presunto
consenso da parte della vittima.
Se invece seguiamo
la logica della sentenza della Cassazione allora dovremmo abrogare l’art.
609 quater perché la stessa sentenza ne vuole sopprimere proprio la sua
peculiarità: l’illiceità degli atti sessuali compiuti con minore di anni 14
anche se questo è consenziente. La cifra caratteristica di questo articolo è
il fatto in se stesso, cioè l’avere avuto atti intimi con un bambino, nulla
rilevando la personale maturità psicologica, gli stati d’animo, il consenso,
la mancanza di violenza, etc. Forse che la Cassazione vuole cancellare il
reato di pedofilia? Invece i magistrati capitolini vanno per la loro strada
e si appellano a precedenti pronunciamenti dei loro colleghi in Cassazione.
Ma andando a leggere gli stralci riportati di queste sentenze, si comprende
che il rimando non è pertinente. Infatti i giudici semplicemente tengono a
puntualizzare che le attenuanti di minore gravità ex art. 609 quater ultimo
comma possono applicarsi anche laddove la vittima è davvero piccola. Ma non
scrivono da nessuna parte che un’attenuante da tenere in considerazione è la
mancanza della violenza sessuale o una relazione “amorosa” tra vittima e
carnefice.
“I casi di minore
gravità” di cui parla l’art. 609 quater devono essere ravvisati ex art 133
cp in alcuni elementi oggettivi della condotta quali la natura, la specie, i
mezzi, l'oggetto, il tempo, il luogo e ogni altra modalità dell'azione che
costituisce reato. Nel caso in esame il reo non si è “limitato” a toccamenti
e carezze ma si è spinto ben più oltre e dunque, come abbiamo già visto,
queste attenuanti non si possono tenere in conto. Sempre ex art 133 la
gravità del reato deve essere giudicata in base alla “gravità del danno o
del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato”. E’ di palmare
evidenza che una bambina violata nella propria intimità porterà per
moltissimi anni nella sua psiche danni gravissimi e forse irreparabili. E’
proprio perché la presunzione è certa che il Parlamento ha novellato la
materia con la legge n. 38/2006 sanzionando sempre questi particolari
illeciti. Infine la quantità di pena da comminare deve tenere conto della
“intensità del dolo” o del “grado della colpa”. Nel nostro caso il dolo è
stato assai “intenso” dato che c’è stata reiterazione dell’atto illecito
come rilevato dalla Corte di Appello che ha ravvisato la continuazione di
reato ex art. 81 cp. Insomma nessuno dei criteri previsti dall’art. 133 e
richiamati dalla stessa Cassazione per mitigare la pena può essere applicato
a questo caso. Ed invece i giudici della Cassazione rinvengono una “minore
lesività del fatto in concreto” nei seguenti elementi oggettivi: “la qualità
dell’atto compiuto (più che la quantità di violenza fisica)”. Traduciamo: l’
“affetto” tra vittima e reo è un aspetto qualitativo importante da tenere in
considerazione per essere equi, più che la mera mancanza di violenza fisica.
Peccato che il
nostro ordinamento giuridico disapprova anche il solo “affetto” perché lo
considera insano - tentando di reprimere anche le sole avances dei pedofili
- nonché pericoloso perché può aprire la porta ad azioni più lesive. Poi la
Cassazione trova un’attenuante anche nel “grado di coartazione esercitato
sulla vittima”, scordandosi che una undicenne non comprende quasi per nulla
quale sia il reale significato dell’atto sessuale e che la sua libertà è
minima nelle mani di una persona adulta. I giudici inoltre fanno riferimento
alle “condizioni (fisiche e mentali)” della vittima e alle sue
“caratteristiche psicologiche (valutate in relazione all’età)” sempre
nell’intento di mitigare la pena. Ma è proprio tenendo in considerazione
queste caratteristiche che è stato introdotto il reato di “atti sessuali con
minorenne”. Se escludiamo tali aspetti di natura fisiologica e psicologica
dobbiamo mandare in soffitta lo stesso reato di “atti sessuali con
minorenne”. Infine si fa menzione, come altro motivo attenuante, all’“entità
della compressione della liberà sessuale” e al “danno arrecato alla vittima
anche in termini psichici”.
Sulla questione del
consenso e del danno ci siamo soffermati più sopra ricordando che una
undicenne non può esprimere un consenso davvero valido in relazione a
rapporti intimi e che i danni ci saranno sicuramente in futuro nella psiche
di questa bambina. Ed invece la Cassazione rimbrotta i propri colleghi
dell’Appello perché “il turbamento e le conseguenze patite dalla vittima
anche in un’ottica futura” sono solo ipotesi non verificate, perché
mancherebbe la “prova di aver ancorato il proprio asserto su emergenze
specifiche (sì che l’assunto si propone quasi come un’affermazione di
principio frutto di mera supposizione)”. Avete compreso bene: un rapporto
pedofilo non è di suo dannoso, sempre e comunque. Si deve dare prova
contraria per sostenerlo. Ci deve essere inoltre un’emergenza specifica per
attivarsi, altrimenti lasciamo correre. Perché il danno – per la Cassazione
– se si è verificato, è stato comunque mitigato da fattori quali “il
‘consenso’, l’esistenza di un rapporto amoroso, l’assenza di costrizione
fisica, l’innamoramento della ragazza”. E quindi la Corte rimanda
l’incartamento di nuovo in Appello perché quest’ultima non ha spiegato il
motivo per cui tutti gli elementi suddetti non configurano una minore
gravità dell’atto. E tutto questo in nome del Popolo italiano, cioè a nome
nostro.
DocumentiIL
TESTO DELLA SENTENZA DELLA CASSAZIONE PER PEDOFILIA |