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Hitler era infatti,
oltreché vegetariano, astemio e odiatore fanatico del fumo, un acceso
animalista e sotto di lui la Germania fu la prima nazione a vietare la
vivisezione negli istituti di ricerca. Il Terzo Reich arrivò a proibire il
fumo nelle caserme della Luftwaffe, negli anni in cui tutto il pianeta
fumava con gusto e gli Usa erano costellati di cartelloni in cui si invitava
a fumare perché «faceva bene». Cosa sarebbero i films degli anni Trenta
senza Humphrey Bogart e la sua perenne sigaretta accesa? Hitler adorava la
sua cagna Blondie, un pastore (va da sé) tedesco (deutscherschäferhund), da
cui non volle separarsi nemmeno nel bunker finale e che condivise con Eva
Braun la pozione avvelenata.
I giornali italiani
anteguerra riportavano vignette satiriche in cui Hermann Goering (che
condivideva le passioni di Hitler) passava tronfio in rivista tra due file
di cani che gli facevano il saluto nazista. Il Reich costrinse gli
scienziati tedeschi a studiare gli effetti del fumo e questi furono i primi
a evidenziare il rapporto tra fumo e cancro ai polmoni. Insomma, l’attuale
trend di pensiero ha tutto il suo apparato salutista, animalista,
vegetariano, abortista, eutanasico ed eugenetico già presente nel Terzo
Reich. È un’ascendenza imbarazzante, certo, ma carta canta.
L’amore sviscerato
della filosofia nazista per le bestie dimostra che il vecchio detto «chi non
ama gli animali non ama gli uomini» non è altro che una emerita fesseria. La
Federfauna, confederazione italiana di allevatori, commercianti e detentori
di animali, intende col premio Hitler «riaffermare l’idea che gli animali,
pur con i loro diritti, restano sempre funzionali all’uomo». Ovviamente, i
favoriti al premio e gli animalisti in toto si sono infuriati per l’evidente
presa di fondelli. Ma il presidente della Federfauna, Massimiliano Filippi
sembra deciso ad andare fino in fondo, tant’è che al premiato verrà
imbandita una cena di gala «a base di prodotti di origine animale, che
costituisce il resto del premio».
Gli animalisti,
ripetiamo, non hanno gradito e hanno risposto per le rime. Ma certi loro
metodi - taglio di reti, distruzione di gabbie (e conseguente morte per fame
di visoni “liberati”), vernice sulle pellicce delle signore, vetrine di
pelletterie spaccate, blitz nei centri di ricerca - ricordano alla lontana,
piaccia o no, quelli delle camicie brune. Notizia recente: la morte di
decine di cani da caccia in Valtrompia, storica zona di doppiette,
letteralmente disseminata di bocconi avvelenati per opera di ignoti. Le
autorità hanno dovuto mettere sull’avviso i proprietari di cani, perché il
rischio è realmente alto (anche i cani da compagnia possono imbattersi nei
nefasti bocconi, magari passeggiando nei boschi).
Certo, non è giusto
puntate il dito sulle associazioni animaliste, perché nessuno ha rivendicato
il gesto. È però vero che gli uccellini del bresciano quest’anno potranno
stare tranquilli. Ormai i cani, anche di grossa taglia, e ogni altro animale
da compagnia possono salire sui treni, entrare nei negozi e aggirarsi tra
gli ombrelloni. Ciò, certo, darà (e già dà) luogo a infiniti litigi con
strascichi negli intasatissimi tribunali italiani, perché non tutti
proprietari di animali sono educati o almeno non egoisti. Ma gli animalisti
sono una minoranza aggressiva e ideologizzata. E, come tale, non si fermerà
finché non avrà imposto i suoi diktat a tutta la nazione. Comprensibili le
tasche piene della Federfauna, che, a differenza di altri, ha scelto
l’innocua arma dello sberleffo.
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