Per capire come Jacalyn, 63 anni, medico ematologo e storica
canadese, docente di medicina alla Queen’s University, autrice di cinque
libri di cui due scritti «analizzando più di 1.400 miracoli contenuti
negli Archivi Vaticani», sia arrivata a sostenere una posizione così “eretica”
agli occhi dei suoi contemporanei bisogna ripercorrere gli eventi della sua
vita che non aveva «pianificato» e l’incredibile ed «estremamente
insolito» ruolo che lei, scienziata atea, ha avuto nella canonizzazione
del primo santo del Canada nel 1990: Marie-Marguerite d’Youville.
Un’esperienza che «mi ha cambiato la vita».
Santi e miracoli: non sembra affare da
scienziati. Cosa l’ha spinta ad occuparsene?
Il mio amore per la scienza, anche se il modo in cui ci
sono arrivata non è comune.
Lei è un medico o uno storico?
Mi sono laureata in medicina e specializzata in malattie del
sangue. Quando ho perso il mio primo marito, mi sono risposata con un
diplomatico e l’ho seguito a Parigi. Mi annoiavo tremendamente e così, non
potendo esercitare in Francia la mia professione, ho preso un dottorato alla
Sorbona in storia della medicina. Quando siamo tornati in Canada, però,
volevo riprendere a fare il medico ma gli ospedali dicevano: «Hai
studiato storia, potresti uccidere qualcuno».
Addio carriera medica, quindi?
Niente affatto, io mi fiondavo in ospedale appena c’era una
conferenza e cercavo di intervenire sempre: volevo fargli vedere che ero
intelligente. Sapevo fare il mio lavoro e volevo dimostrarlo, anche se
intanto l’università di Ottawa mi aveva offerto un post-dottorato.
Quando è arrivata la grande occasione?
Un giorno una collega ematologa mi ha chiesto di leggere dei
vetrini di midollo osseo: «Non posso dirti niente su questo caso, solo
che serve una seconda opinione di un testimone cieco». Cioè di un medico
che analizza i dati senza sapere niente del caso. Io non ho accettato perché
avessi già fatto queste cose ma perché volevo fargli vedere che ero capace e
speravo mi assumessero. Ma non sapevo a cosa andavo incontro.
Perché?
Pensavo che avrei dovuto analizzare qualche vetrino, invece
erano più di 300, senza contare gli esami del sangue. Mi sono messa sotto e
ho visto che il paziente aveva la leucemia mieloide acuta, cioè il peggior
tipo di leucemia esistente, che in media uccide in 18 mesi. Fin dal primo
vetrino ho pensato che il paziente doveva essere morto: era il 1986 e quegli
esami risalivano al 1978. Ma il midollo osseo raccontava un’altra storia.
Gli esami mostravano che la leucemia era stata curata ed era andata in
remissione. Questo già era incredibile, ma non impossibile. Dopo quattro
mesi la leucemia è tornata, aggressiva come prima, e a questo punto la
Bibbia degli ematologi parla chiaro: se la leucemia torna, dopo essere
andata una volta in remissione, il paziente è spacciato. Questo dice la
scienza, e non è mai stata contraddetta. Per cui sapevo che il paziente
doveva essere morto ma i vetrini indicavano una seconda incredibile
remissione e l’ultimo disponibile mostrava un midollo osseo perfetto. Allora
ho pensato: «Peccato, sarà morto mentre era in remissione». Le
medicine che si prendono per non far tornare la leucemia, infatti, possono
causare infezioni. Il quadro allora mi si è chiarito: la famiglia del
paziente aveva denunciato il medico perché il loro caro era morto nonostante
avesse superato in modo inusuale la malattia e il medico, durante il
processo, aveva chiesto le analisi di un testimone cieco per dimostrare che
aveva agito nel migliore dei modi.
Quando ha scoperto che si trattava di
tutt’altro?
Quando ho finito il mio lavoro, l’ho consegnato alla mia
collega e le ho detto: «Allora, è una causa legale o un miracolo?».
Quando mi ha risposto che era un miracolo e che la paziente, otto anni dopo,
era ancora viva non potevo credere alle mie orecchie.
Il Vaticano quindi aveva chiesto il suo
consulto per una canonizzazione?
Niente affatto. Gli esperti del Vaticano avevano già
rifiutato questo caso: per loro non si poteva parlare di miracolo perché,
leggendo i vetrini, non avevano riscontrato la prima remissione ma solo la
seconda. E secondo la scienza una remissione è possibile, due no. Quindi
niente miracolo. Ma questo era un insulto: io sono una scienziata, nessuno
può prendermi per stupida.
Cosa è successo allora?
Il Vaticano ha rifiutato il caso, i postulanti in Canada si
sono infuriati, hanno fatto appello e raggiunto questo accordo: affidare i
vetrini a un testimone cieco, cioè io. Una volta consegnati i miei risultati
sono andata in Vaticano al processo a testimoniare con una pila di documenti
e di prove. Per me era una questione di principio, di scienza.
Per lei, scienziata atea, era un miracolo e
per il Vaticano no?
Come una canonizzazione ha delle regole, così anche la
medicina: ci sono criteri precisi per riconoscere una remissione e una
ricaduta. Il Vaticano si stava sbagliando.
Chi era stato guarito per miracolo?
Una donna canadese che dopo la prima remissione della
leucemia, e la ricaduta, ha deciso di pregare Marie-Marguerite d’Youville
per chiedere la grazia. Se l’hanno chiesta proprio a Marie-Marguerite è
perché una zia della malata era entrata nell’ordine da lei fondato: le suore
della carità di Montréal, chiamate Suore Grigie. Il bello è che la paziente
non era particolarmente religiosa o praticante ma insieme a lei hanno
pregato, in momenti stabiliti, la famiglia e tutte le parrocchie della
città. È incredibile quante preghiere servano per un miracolo.
Alla fine l’ha spuntata lei sul Vaticano?
Certo: loro volevano la scienza e io gliel’ho data. Il 9
dicembre 1990 Giovanni Paolo II ha deciso di canonizzare Marie-Marguerite
d’Youville e mi hanno invitata.
Un’atea a una Messa di canonizzazione?
E con un marito ebreo non praticante, per giunta. È il motivo
per cui mi sono rifiutata: non è il mio campo quello. Ma le suore e i
dottori che hanno curato la paziente, che oggi è ancora viva, hanno
insistito e ho pensato: «È il primo santo del mio paese, sarei stupida a
non andare». Così sono partita ed è stato stupendo, ho anche incontrato
il Papa e mi ha stupito vedere quanto tutti fossero aperti. Tutto mi ha
stupito di questa storia.
Che cosa in particolare?
Io non sapevo niente di un processo di canonizzazione. Mia
madre era anglicana, quindi un background culturale religioso lo possiedo,
ma poi sono diventata atea e pensavo che la Chiesa cattolica si
accontentasse di qualcosa del tipo: «Stavo male, ho pregato e ora sono
guarita. Quindi è un miracolo». Invece no, il processo è davvero
tecnico: il Vaticano non vuole opinioni ma fatti e richiede che vengano
messe in campo le più avanzate conoscenze scientifiche disponibili. E quando
a Roma mi hanno regalato gli atti del processo, la “Positio super
miraculo”, e mi hanno detto che tutto sarebbe stato schedato negli
Archivi vaticani, mi sono illuminata e ho pensato: chissà quanti miracoli ci
sono là dentro e chissà se sono tutti scientifici come quello con cui ho
avuto a che fare. Da quel momento la mia vita è cambiata.
Come?
Innanzitutto in Canada mi hanno offerto un lavoro come
ematologa ed è davvero paradossale che io sia tornata a fare il medico
grazie alla Chiesa. Poi ho fatto più di 20 viaggi agli Archivi vaticani,
dove ho analizzato 1.400 miracoli usati nelle canonizzazioni degli ultimi
400 anni. Tutte guarigioni di malattie fisiche. Allora ho capito che Chiesa
e scienza hanno una lunga tradizione comune.
Lei da atea crede che siano avvenuti
più di 1.400 miracoli?
Mi sembra di sentire molti dei miei colleghi, che mi guardano
schifati dicendo: «Ah, ma allora tu credi nei miracoli?». Voglio
chiarire: accadono cose inspiegabili che la scienza non può dimostrare. Le
persone che hanno fede e credono in Dio sostengono che accadono per merito
della preghiera. Io in questi anni ho imparato l’umiltà: se io non posso
spiegare certi fatti con la scienza, chi sono per dire che non è stata la
preghiera? Noi siamo molto arroganti in medicina e ci permettiamo di
ignorare questi fatti, ma la scienza medica dovrebbe prestare più attenzione
ai miracoli, che accadono molto spesso.
Crede che sia Dio a fare i miracoli?
Io non so spiegare perché accadono e non credo in Dio, però
sono aperta alla possibilità che la causa sia Lui. Quando vado a fare le
conferenze, anche a medici cattolici, c’è sempre qualcuno che mi chiede: «Ma
lei a questo punto deve credere in Dio e convertirsi al cattolicesimo».
Ma non è così, io sono atea.
Non ha mai pensato alla conversione?
Sì, ma poi mi sono detta: la fede in Dio è essa stessa un
miracolo. Un miracolo che a me non è successo. Questa è l’unica risposta che
so dare o almeno l’unica che fa desistere i detrattori che si arrabbiano con
me. Io sono una persona spirituale, ho avuto un’educazione precisa ma non ho
mai sentito il bisogno di andare a Messa o confessarmi. Una mia amica è
tornata alla Chiesa e adesso ha ritrovato un senso e un significato per la
sua vita. Posso capirla, ma per me non è lo stesso.
Lei è consapevole che oggi dire che fede e
ragione, Chiesa e scienza, non sono divise è un’eresia?
Sì, e secondo me la colpa di questa ostilità è degli
scienziati, che sono ignoranti. Loro dicono: «I miracoli non possono
esistere, quindi non accadono». Negare i fatti in questo modo è triste e
controproducente, perché avere a disposizione i vetrini di midollo osseo di
leucemia che ho visionato io sarebbe una risorsa incredibile da studiare.
Invece nessuno ci bada. La medicina è colpevole di ignorare la Chiesa e di
avere eretto un muro artificiale per dividerla dalla scienza.
La Chiesa non ha nessuna colpa invece?
Oddio, tutta la faccenda di Galileo non è che abbia aiutato
molto. Ma poi hanno anche chiesto scusa. Le persone religiose non vedono
alcuna contraddizione nel fatto che il Vaticano consulti gli scienziati per
capire se un miracolo è tale. Per loro anche la capacità di fare scienza è
un dono di Dio. E se lo scienziato in questione è ateo, tanto meglio:
nessuno potrà dire che non è indipendente.
Come è cambiata la sua vita dopo questa
esperienza?
Io non ho pianificato niente di quanto mi è accaduto. Prima
di tutto, sto diventando una storica della religione e neanche in 100
milioni di anni l’avrei mai immaginato. La mia identità è cambiata, sono più
umile e sono migliorata anche nel lavoro: ho imparato ad ascoltare di più i
miei pazienti, ci sono cose che mi dicono che prima non ascoltavo perché
pensavo solo alla malattia e a nient’altro. Ora guardo di più alla persona,
è cambiata la mia identità come dottore. Ed è diverso anche il mio
atteggiamento verso la Chiesa.
Lei suona l’organo, un’attività sospetta.
Mia madre guidava il coro in chiesa, amava la musica. Anche
mio nonno cantava nel coro e suonava l’organo. Io adoro la musica della
Chiesa ma mi fermo lì. Infatti non sono brava a suonare.
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