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Madre Elvira Petrozzi, la suora che salva i drogati con il rosario | |||||||||||||||
“Sono una donna appassionata: dalla scopa alle pentole, dal fratello povero alla cappella. Sono una donna di strada non da tavolino” che non ha mai pensato “di imparare a leggere e a studiare per poter insegnare all'altro, per 'fare' la carità. La carità è la mia vita, è il dono di me stessa, il dono della mia gioia per un sì a Dio sempre più vero e appassionato”. Si descrive così con parole di grande semplicità, madre Elvira Petrozzi, che ha occhi guizzanti, più loquaci della lingua. Conosciuta da tutti come “la suora dei drogati”, nasce a Sora il 21 gennaio 1937. |
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Durante la seconda guerra mondiale, insieme alla sua povera famiglia, emigra ad Alessandria, dove vive i disagi e la miseria del dopoguerra, sperimentando in casa “il privilegio di regnare” nel servire gli altri, come racconta nel volume “L'abbraccio” (Edizioni San Paolo). Ricorda infatti con gratitudine quella scuola al sacrificio appresa in famiglia, con altri sette fratelli, quando ci si alzava da tavola sempre con i morsi della fame: “Che bella la povertà”, scrive, perché “la povertà è libertà! Ci siamo noi prima delle cose, prima della ricchezza, prima delle ambizioni”. Una sofferenza appresa in famiglia anche a causa del papà dedito all'alcolismo, che è stato “la mia università per imparare ad amare e a servire tutti con dignità”. A 19 anni capisce che un amore in esclusiva per un ragazzo era un abito troppo stretto: la sua vocazione era condividere la tenerezza dell'altro Sposo che bussava alla porta del suo cuore, e che l'aveva “amata, seguita, 'coltivata' sin da bambina”. Fino ai 46 anni è una suora “normale” e una maestra d’asilo. Nel 1983 fonda la comunità “Cenacolo” in una ex villa settecentesca sulla collina sopra Saluzzo, in Piemonte, a cui in seguito si sono affiancate in tutto 56 case sparse in Italia e nel mondo. All'inizio pensava di creare una comunità per giovani persi nella noia, nell'insicurezza, dalle vite sfilacciate, senza capo né coda. “Io desideravo che ci fosse ad ogni costo Maria – afferma la religiosa –, e pensando al Cenacolo ho subito pensato alla Chiesa, agli Apostoli radunati con Lei nel Cenacolo, chiusi e pieni di paura dopo la morte di Gesù. Ma poi nel Cenacolo, con Maria, pregano. Lo Spirito Santo scende e gli Apostoli si trasformano in testimoni coraggiosi. Quella porta, che era chiusa per la paura, si spalanca al coraggio e alla gioia della testimonianza”. I primi a bussare furono, invece, dei giovani tossicodipendenti affamati di altro. Madre Elvira cosciente “che una terapia solo umana non avrebbe saziato il loro cuore”, decide di ricorrere alla preghiera per riaccendere in loro la speranza. Nonostante i primi passi incerti e gli immancabili errori, non demorde salda nella convinzione che “le opere di Dio nascono nel silenzio e non fanno rumore”. Impara a leggere dentro di loro il libro della vita che porta al mistero della croce. E così contagiati dall’incontro con lei, i “suoi ragazzi” accettano diligentemente le sue regole: sveglia alle 6 per pregare, lavorare e condividere la vita, perché i centri da lei fondati non sono “comunità terapeutiche” ma “scuole di vita”. Quando si arriva lì si viene affidati a un “angelo custode”, un ragazzo in cammino verso la rinascita che ha già superato le prime grandi difficoltà e che è pronto a prendersi cura del ragazzo nuovo che entra “a pezzi”. Ciascuno ha un compito dalla cucina alle pulizie, ai lavori di muratura, al fine di riscoprire il valore della fatica vissuta con onestà e senso di responsabilità. Una volta la settimana poi c'è la “revisione di vita”: ci si raduna in piccoli gruppetti per condividere i trionfi e le sconfitte dei giorni precedenti. Grazie all'aiuto di alcuni amici sacerdoti, in ogni fraternità, generalmente tre volte la settimana, si celebra l’Eucarestia. La preghiera è infatti il centro e il cuore della giornata comunitaria. E il Rosario, tre volte al giorno, come sola medicina da assumere. Soprattutto madre Elvira coinvolge le famiglie nel cammino di rinascita dei loro figli. E “molti genitori – continua – vivono l'esperienza che proprio la croce del figlio perduto, quella croce che non hanno potuto 'risolvere' delegando a qualcun altro la soluzione del problema, quella croce che ha messo la loro vita in ginocchio, è stata la sorgente della loro conversione”. E ne ha viste tante di lacrime, di abbracci, di riconciliazioni, di famiglie risorte. Nei primi tempi, allo scadere dei tre anni di cammino, i ragazzi ricevevano la “benedizione” e dovevano andare ma alcuni, dopo aver ricostruito la propria vita, hanno scelto di rimanere per restituire l'amore che avevano ricevuto. Altri hanno espresso il desiderio di poter realizzare all'interno della Comunità la loro vocazione alla famiglia, vivendo in modo autentico e cristiano il fidanzamento e il matrimonio. E' nato così, “il noviziato della coppia” da cui hanno avuto origine diverse “famiglie missionarie”. Per i ragazzi che escono dalla comunità si organizza una festa in cui suor Elvira consegna a tutti il crocifisso e il rosario, perché non basta la guarigione, importante è la salvezza. |
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Fonte: Aleteia.org |
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